Resi noti dall’Istat i dati relativi al Lavoro. In calo, nel 2018, il tasso di disoccupazione, attestatosi al 10,6%. Cresce, invece, l’occupazione, ma l’aumento riguarda esclusivamente i lavoratori a tempo determinato, mentre, dopo quattro anni di crescita, diminuiscono quelli a tempo indeterminato. L’Inps, intanto, ascoltata in audizione, presso la Commissione Lavoro del Senato, ha stimato che il 22% dei lavoratori dipendenti delle aziende private ha una retribuzione al di sotto dei 9 euro lordi l’ora. Tuttavia, imprese e sindacati si sono detti contrari alle proposte di legge per aumentare il salario minimo in discussione al Senato.
di Federica Marengo mercoledì 13 marzo 2019
Secondo i dati pubblicati oggi, dall’Istat (Istituto Nazionale di Statistica), nel 2018, il tasso di disoccupazione sarebbe calato di un punto, raggiungendo il 10,6% , rispetto all’11,2% del 2017. Si è ridotto, infatti, il numero dei disoccupati di 151 mila unità (-5,2% fino a quota 2 milioni 755 mila) e la diminuzione riguarda sia le persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi (-82 mila, -4,9%) che i disoccupati di breve durata.
Un calo della disoccupazione, poi, è stato registrato dall’Istat, anche fra i giovani, con un miglioramento di 2,6 punti fino a un tasso del 32,2%..
Percentuali in parte positive, anche sul fronte dell’occupazione, in crescita, nel 2018, per il quinto anno consecutivo. Sono aumentati, infatti, gli occupati di 192 mila unità (+0,8%) , facendo salire il tasso di disoccupazione al 58,5% (+0,6 punti), ovvero 0,1 punti al di sotto del picco della crisi del 2008.
L’aumento degli occupati, tuttavia, riguarda “esclusivamente quelli a tempo determinato”(+323 mila, +11,9%), mentre diminuiscono, dopo quattro anni di segno positivo, i contratti di lavoro a tempo indeterminato(-108 mila, -0,7%).
Cresce dunque il numero dei lavoratori, ma sempre più precari e con una retribuzione, che a detta dell’Inps, pare essere al di sotto dei 9 euro lordi l’ora. L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, ascoltato questa mattina in audizione, presso la Commissione Lavoro del Senato, ha infatti riportato alcuni dati relativi al salario minimo, che per il 22% dei lavoratori delle aziende private (esclusi operai agricoli e i domestici) si attesterebbe al di sotto dei 9 euro lordi l’ora, cifra stabilita per il salario minimo, da uno dei quattro disegni di legge (Pd, Leu e FdI), presentato dal M5Stelle, in discussione, in questi giorni al Senato.
Il 9% lavoratori, addirittura percepirebbe un salario orario inferiore agli 8 euro lordi e il 40% al di sotto dei 10 euro lordi.
E in merito alla proposta dei pentastellati di innalzare al soglia minima del salario a 9 euro l’ora, l’Istat, in audizione in Parlamento, nella mattinata, ha rilevato che con tale proposta si avrebbe un aumento annuo della retribuzione di poco più di mille euro per 2,9 milioni di lavoratori (2,4, esclusi gli apprendisti) e un aumento del monti salari di circa 3,2 miliardi di euro.
L’adeguamento del salario minimo a 9 euro inciderebbe in media dello 0,9%, per il totale dei rapporti e del 12,7%, per quelli interessati dall’intervento. Tale aumento riguarderebbe per lo più i lavoratori nei servizi(+8,8%), gli apprendisti (+10%) e i giovani sotto i 29 anni (+3,2%).
Ma il disegno di legge sul salario minimo, non sembra entusiasmare né gli imprenditori, né i sindacati. Per Pierangelo Albini , direttore dell’Area Lavoro e Welfare di Confindustria, 9 euro l’ora “è un livello fuori dalla realtà, perché i minimi di retribuzione fissati ai livelli più bassi dai contratti di lavoro si aggirano sui 7,5 euro lordi”, linea sostenuta anche dalle altre associazioni di imprese come Confapi (Confederazione italiana della piccola e media industria), che ha avvertito: “Salterebbe il sistema. L’eventuale fissazione di un salario legale spiazzerebbe la contrattazione in quanto le aziende non avrebbero altri obblighi che l’applicazione della paga di legge, determinando una fuga dal contratto nazionale di lavoro che non fissa solo i minimi di retribuzione, ma integra il trattamento economico del lavoratore con molte altre voci”.
Secondo imprese e sindacati, insomma, la soluzione migliore sarebbe quella di individuare i contratti di riferimento di ogni settore (contratti nazionali), firmati dai rappresentanti sindacali, ed estendere a tutti i lavoratori i relativi minimi di retribuzione.
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