Si è svolto fra sabato 30 e domenica 31 marzo, il 28° viaggio pastorale di Papa Francesco. Dopo la visita del febbraio scorso ad Abu Dhabi, Bergoglio, si è recato in Marocco, dove ha incontrato la piccola comunità cristiana di Rabat, capitale marocchina, di culto prevalentemente islamico, per promuovere ancora una volta, sulle orme di San Francesco d’Assisi e del Sultano al-Malik al-Kamil e di S. Giovanni Paolo II, che vi si recò nel 1985, il dialogo interreligioso e la conoscenza reciproca tra i fedeli cattolici e islamici. Al centro della sua visita pastorale, poi, anche il tema delle migrazioni e l’appello per preservare la città di Gerusalemme come città santa.
di Federica Marengo lunedì 1 aprile 2019
Ad accogliere Papa Francesco sulla spianata della Tour Hassan II, sabato 30 marzo, sotto una pioggia battente, c’era il re Mohammed VI. Così è cominciata la 28a visita pastorale del Vescovo di Roma, a Rabat, capitale del Marocco, conclusasi nel pomeriggio di domenica 31.
Dinanzi al minareto della moschea, risalente al XII secolo, dopo il discorso di benvenuto del sovrano, Francesco ha sottolineato l’importanza di promuovere il dialogo interreligioso e la conoscenza reciproca tra i fedeli cattolici e musulmani, a ottocento anni dallo storico incontro tra San Francesco d’Assisi e il Sultuno al-Malik al-Kamil.
“Quell’evento profetico dimostra che il coraggio dell’incontro e della mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità, là dove l’estremismo e l’odio sono fattori di divisione e di distruzione”, ha detto papa Bergoglio, soffermandosi sulla necessità della costruzione di un dialogo, nel rispetto delle identità di ogni popolo, specialmente in un’epoca in cui “si rischia di fare delle differenze e del misconoscimento reciproco dei motivi di rivalità e disgregazione”.
A tal proposito, Francesco, ha più volte fatto riferimento al Documento sulla fratellanza firmato il 4 febbraio scorso ad Abu Dhai, durante l’incontro con l’Imam di Al Azhar, ribadendo come la “solidarietà di tutti i credenti” sia la sola strada per affrontare il fondamentalismo religioso.
“La fede in Dio ci porta a riconoscere l’eminente dignità di ogni essere umano, come pure i suoi diritti inalienabili, in quanto noi crediamo che Dio ha creato gli esseri umani uguali in diritti, doveri e dignità e che li ha chiamati a vivere come fratelli e a diffondere i valori del bene, della carità e della pace”, ha spiegato il Pontefice, citando la Conferenza internazionale sui diritti delle minoranze religiose nel mondo islamico, svoltasi a Marrakech nel gennaio 2016, durante la quale furono formulate dichiarazioni d’intenti volte ad superare la categoria delle minoranze religiose in nome dei concetti di “cittadinanza” e di “persona”, che “devono rivestire un carattere centrale in ogni ordinamento giuridico”.
“La solidarietà tra credenti”, ha poi sostenuto il Papa, è indispensabile all’intera famiglia umana, per approcciarsi a emergenze globali come quella ecologica e delle migrazioni: la prima, affrontata dalla Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici, COP 22, tenutasi proprio in Marocco nel 2016, che ha proposto di “proteggere il pianeta in cui Dio ci ha posto a vivere attraverso una vera conversione ecologica, la seconda, dalla Conferenza intergovernativa sul Patto mondiale per una migrazione sicura (Global Compact), tenutasi sempre in Marocco, nel dicembre 2018.
“Dopo i documenti prodotti da quella conferenza, occorrono azioni concrete e un cambiamento di disposizione verso i migranti, che li affermi come persone, non come numeri”, ha ammonito Bergoglio, evidenziando come il fenomeno dell’immigrazione “non troverà mai una soluzione nella costruzione di muri, nella diffusione della paura dell’altro o nella negazione di assistenza a quanti aspirano a un legittimo miglioramento, per se stessi e per le loro famiglie”.
Poi, terminata la cerimonia di accoglienza, Papa Francesco e il Re Mohammed VI si sono recati presso l’Istituto Mohammed V, centro di formazione di imam, predicatori e predicatrici, inaugurato il 27 marzo del 2015, con l’obiettivo di combattere l’estremismo e l’intolleranza alla base della violenza e del terrorismo.
Per la prima vota, dunque, un Pontefice è stato accolto in un centro studi per imam, dove ha ascoltato gli interventi di numerosi studenti.
Ultima tappa, della sua prima giornata a Rabat, è stata invece, la Caritas diocesana, presso la quale, il Vescovo di Roma ha incontrato alcuni dei 4 mila migranti assistiti dall’opera marocchina.
“Voi sapete quanto ho a cuore la sorte, spesso terribile, di queste persone, che , in gran parte non lascerebbero i loro Paesi se non fossero costrette”, ha detto il Papa, auspicando che “il Marocco, con grande disponibilità e squisita ospitalità, vorrà continuare ad essere, nella comunità internazionale, un esempio di umanità per i migranti e i rifugiati, affinché essi possano essere qui, come altrove, accolti con umanità e , protetti, si possa promuovere la loro situazione e vengano integrati con dignità”.
Sottoscritto a sorpresa, inoltre, insieme con il Re del Marocco, un appello per preservare Gerusalemme come città santa, luogo di incontro tra le tre religioni monoteiste: cattolicesimo, islamismo ed ebraismo, simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo.
Dedicato alla piccola comunità cristiana di Rabat, invece, il secondo giorno della sua visita pastorale in Marocco. Il Papa, infatti, ha incontrato nella Cattedrale della città i sacerdoti, i religiosi, i consacrati e il Consiglio Ecumenico delle Chiese.
“La nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione; dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze”, ha detto Francesco nel suo discorso al consesso di religiosi, continuando: “Le vie della missione non passano attraverso il proselitismo che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri. Il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo o una luce che non illumina più niente. Penso che la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi, ma la vita si gioca con la capacità che abbiamo di “lievitare”lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati”.
In un paese come il Marocco, a maggioranza musulmana, ha poi affermato il Papa, un cristiano non può che essere simile a un po’ di lievito “che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino a che tutta la massa fermenti”, perché “Gesù ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno nel quale come cristiani ci possiamo tutti ritrovare per rendere presente il suo Regno. Essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro”.
Quindi, in quanto tale, un cristiano non può che ricercare sempre il dialogo con tutti, in nome della fratellanza, sull’esempio di San Francesco d’Assisi, che , in piena crociata , andò ad incontrare il Sultano Al-Malik Al-Kamil.
“E’ un dialogo che possiamo realizzare concretamente tutti i giorni in nome della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende tutti uguali”, ha aggiunto Bergoglio, appellandosi all’ecumenismo della carità, specialmente nei confronti dei più deboli, che è “la migliore opportunità che abbiamo per continuare a lavorare in favore di una cultura dell’incontro”.
Nel primo pomeriggio, poi, la Messa, celebrata nel complesso sportivo “Principe Abdullah” di Rabat, nel corso della quale, il Vescovo di Roma, si è rivolto ai 10 mila fedeli presenti, dicendo: “Per un cristiano, entrare in una dinamica che ci consenta di guardare e di osare vivere non come nemici, ma come fratelli, è la più grande eredità e ricchezza. Sicuramente sono tante le circostanze che possono alimentare la divisione e il conflitto; sono innegabili le situazioni che possono condurci a scontrarci e a dividerci. Non possiamo negarlo. Ci minaccia sempre la tentazione di credere nell’odio e nella vendetta come forme legittime per ottenere giustizia in modo rapido ed efficace. Però l’esperienza ci dice che l’odio, la divisione e la vendetta non fanno che uccidere l’anima della nostra gente, avvelenare la speranza dei nostri figli, distruggere e portare via tutto quello che amiamo. Solo a partire da un orizzonte ampio, capace di aiutarci a superare le nostre miopi logiche di divisione, saremo capaci di raggiungere uno sguardo che non pretenda di oscurare o smentire le nostre differenze cercando forse un’unità forzata o l’emarginazione silenziosa. Invece di misurarci o di classificarci in base ad una condizione morale, sociale, etnica o religiosa possiamo riconoscere che esiste un’altra condizione che nessuno potrà cancellare né annientare, dal momento che è puro dono: la condizione di figli amati, attesi e festeggiati dal Padre. “Tutto ciò che è mio è tuo”, anche la mia capacità di compassione , ci dice il Padre”.
A conclusione delle celebrazioni, Francesco, ha ringraziato la comunità per il modo in cui essa “dà testimonianza del Vangelo della misericordia in queste terre. Grazie per gli sforzi compiuti affinché le vostre comunità siano oasi di misericordia. Vi incoraggio e vi incito a continuare a far crescere la cultura della misericordia, una cultura in cui nessuno guardi l’altro con indifferenza né giri lo sguardo quando vede la sua sofferenza”.
Infine, accompagnato all’aeroporto di Rabat dal premier Saadeddine El Othmani, Papa Bergoglio è salito a bordo del Boeing 737-800, che lo ha condotto a Roma, dov’è atterrato verso le 20:55.
A bordo del volo, il Santo Padre, ha poi tenuto una conferenza stampa, rispondendo alle domande dei cronisti. Riguardo il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza, Francesco, ha confessato di aver pianto, quando, nella scorsa settimana, il giornalista spagnolo Jordi Evole gli ha mostrato un campione del filo spinato che separa il Marocco dalle città autonome di Ceuta e Melilla. “Ho pianto, perché non entra nella mia testa e nel mio cuore tanta crudeltà. Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare le persone nel Mediterraneo”, ha spiegato Bergoglio, aggiungendo: “I muri sono frutto della paura alimentata dal populismo. E tanta gente di “ buona volontà” ne finisce vittima. Ma, dalla caduta di Weimar in poi, la storia insegna e noi non possiamo non imparare. La Germania aveva necessità di un’uscita e con promesse e paure è andato avanti Hitler. Conosciamo il risultato. Chi costruisce muri, siano di filo spinato o di mattoni, finirà prigioniero delle sue barriere. Una volta ho parlato con un governante che rispetto, Alexis Tsipras. Discutendo degli accordi per non lasciare entrare i migranti , lui mi ha spiegato tutte le difficoltà. Ma alla fine mi ha parlato con il cuore e ha detto: “I diritti umani vengono prima degli accordi. Questa frase merita il premio Nobel”.
Poi, in merito al discusso Congresso delle famiglie, svoltosi a Verona dal 29 al 31 marzo, ha dichiarato di non sapere cosa fosse, forse : “uno dei tanti day che fanno”, ribadendo la sua posizione, in linea con quella espressa dal segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, che, invitato alla tre giorni, ha preferito non parteciparvi in quanto l’evento: “giusto nella sostanza, ma sbagliato nel metodo”.
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