Celebrato fra sabato 9 febbraio e domenica 10, dal Presidente della Repubblica e dalle istituzioni, il Giorno del Ricordo, dedicato alla memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, istituito il 30 marzo del 2004 con la legge n.92.
di Federica Marengo lunedì 11 febbraio 2019
Si sono svolte nello scorso fine settimana, le celebrazioni del Giorno del Ricordo, istituito il 30 marzo del 2004 con la legge n.92 e dedicato alla memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, che ebbe luogo fra il 1943 e il 1945 e nell’immediato Dopoguerra.
Fra 5 e 12 mila, infatti, furono i morti, prima legati con il filo spinato e poi fucilati e gettati nelle Foibe (cavità carsiche tipiche del territorio triestino e giuliano) dai partigiani jugoslavi del Maresciallo Josip Broz Tito, 250 mila, invece, i profughi, costretti all’esodo dall’Istria, dalla Dalmazia, da Fiume e dalla Venezia Giulia, e , altrettanto numerosi, i deportati nei campi di concentramento in Slovenia e in Croazia, per il solo fatto di essere italiani, cattolici, fascisti, non comunisti, proprietari terrieri o di aziende.
Accusata di essere responsabile della guerra di aggressione, in quanto alleata della Germania nazista e , ritenuta cobelligerante, dopo l’armistizio del’8 settembre del 1943, l’Italia era stata obbligata a cedere alla Jugoslavia : l’Istria, il Quarnaro e la maggior parte della Venezia Giulia, siglando, il 10 febbraio del 1947, il trattato di Parigi (trattato di pace), con cui l’eccidio e l’esodo dei giuliano-dalmati e dei fiumani italiani raggiunsero il culmine, per poi terminare progressivamente fra il 1954 e il 1960 (Memorandum di Londra), quando gli italiani ripresero il controllo di Trieste e lasciarono l’Istria alla Jugoslavia.
“Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenze e spargimento di sangue innocente”, ha definito così, l’immane strage a opera dei comunisti jugoslavi capitanati da Tito, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’inizio del suo discorso, pronunciato sabato mattina, al Quirinale, davanti alle alte cariche dello Stato, ai Ministri e ai parlamentari, agli esuli istriani, friulani e dalmati e agli ambasciatori di Slovenia, Croazia e Montenegro, in occasione della cerimonia ufficiale di commemorazione delle vittime delle Foibe e del conseguente esodo.
“Mentre, infatti, sul territorio italiano, la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave”, ha proseguito poi il capo dello Stato, precisando: “Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo, quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell’ideologia ,ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti. Un destino crudele per gli italiani dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia, attestato dalla presenza , contemporanea, nello stesso territorio di due simboli dell’orrore: la Risiera di San Sabba e le Foibe”.
Poi, ha ricordato: “La zona al confine orientale dell’Italia, già martoriata dai durissimi combattimenti della Prima Guerra Mondiale, assoggettata alla brutalità del fascismo contro le minoranze slave e alla feroce occupazione tedesca, divenne, su iniziativa dei comunisti jugoslavi, un nuovo teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani, lì da sempre residenti. Non si trattò, come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare , di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni. Tanti innocenti , colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti conclusero tragicamente la loro esistenza nei durissimi campi di detenzione, uccisi in esecuzioni sommarie o addirittura gettati, vivi o morti, nelle profondità delle foibe. La tragedia delle popolazioni italiane non si esaurì in quei barbari eccidi , concentratisi , con eccezionale virulenza , nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945. Alla fine del conflitto , l’Italia si presentava nella doppia veste di Paese sconfitto nella sciagurata guerra voluta dal fascismo e, insieme, di cobelligerante. Mentre il Nord Italia era governato dalla Repubblica di Salò, i territori a est di Trieste erano stati formalmente annessi al Reich tedesco e, successivamente, vennero direttamente occupati dai partigiani delle formazioni comuniste jugoslave. Ma le mire territoriali di queste si estendevano anche su Trieste e Gorizia. Un progetto di annessione rispetto al quale gli Alleati mostravano una certa condiscendenza e che, per fortuna, venne sventato dall’impegno dei governi italiani”, spiegando che : “Molti italiani rimasero oltre la cortina di ferro. L’aggressività del nuovo regine comunista li costrinse, con il terrore e la persecuzione, ad abbandonare le proprie case, le proprie aziende, le proprie terre. Chi restava, chi si opponeva, chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla. Essere italiano, difendere le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria religione, la propria lingua era motivo di sospetto e di persecuzione. Cominciò il drammatico esodo, uno stillicidio durato un decennio. Paesi e città si spopolavano dalla secolare presenza italiana, sparivano lingua, dialetti e cultura millenaria, venivano smantellate reti familiari, sociali ed economiche. Il braccio violento del regime comunista si abbatteva furiosamente cancellando storia, diversità, pluralismo, convivenza, sotto una cupa cappa di omologazione e di terrore.
Ma quei circa duecentocinquantamila italiani profughi, non sempre trovarono in Italia la comprensione e il sostegno dovuti. Ci furono, è vero, grandi atti di solidarietà. Ma la macchina dell’accoglienza e dell’assistenza si mise in moto con lentezza, specialmente durante i primi anni, provocando agli esuli disagi e privazioni. E alle difficoltà materiali in Patria si univano , spesso, quelle morali : certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, come nemici del popolo che rifiutavano l’avvento del regime comunista, come una ,massa indistinta di fascisti in fuga . Non era così, erano semplicemente italiani.
La guerra fredda, con le sue durissime contrapposizioni ideologiche e militari , fece prevalere, in quegli anni , la real-politik. L’Occidente finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito, considerato come un contenimento della aggressività della Russia sovietica. Per una serie di coincidenti circostanze , interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani, cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria.
Solo dopo la caduta del muro di Berlino, il più vistoso, ma, purtroppo, non l’unico simbolo della divisone europea , una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e del successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e alla identità della nazione”.
Per affermare in conclusione : “L’ideale europeo e la sua realizzazione nell’Unione, è stato ed è tuttora , per tutto il mondo, un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace. Un modo di vivere e di concepire la democrazia che va incoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee, che vanno dalle guerre commerciali, spesso causa di altri conflitti, alle negazioni dei diritti universali, al pericoloso processo di riarmo nucleare, al terrorismo di matrice islamica, alla tentazione di risolvere la complessità dei problemi attraverso scorciatoie autoritarie.
Desidero ricordare qui le parole di una dichiarazione congiunta tra il mio predecessore, il Presidente Giorgio Napolitano, che tanto ha fatto per ristabilire verità su quei tragici avvenimenti e l’allora Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipovic del settembre 2011 : “Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell’Europa unita, mai più. Condanniamo ancora una volta le ideologie totalitarie che hanno soppresso crudelmente la libertà e conculcato il diritto dell’individuo di essere diverso, per nascita o per scelta”.
“I bimbi morti nelle foibe e i bimbi morti di Auschwitz sono uguali. Non esistono martiri di serie A e vittime di serie B. Ci sono vittime della follia criminale dell’uomo”, ha detto, invece, all’inizio del suo discorso, tenuto sul Carso triestino, presso il mausoleo di Basovizza, (il pozzo di miniera di carbone usato dai titini come foiba, dichiarato “monumento nazionale”, con decreto del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, l’11 settembre del 1992), domenica 10 febbraio, il Vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, sottolineando: “Non esiste un “però” per Auschwitz e un “però” a Basovizza. Sono crimini gli uni e sono crimini gli altri. Oggi, mi porto a casa qualcosa: verità, giustizia, amore e libertà. Farò tutto quello che sarà in mio potere, da vicepresidente del Consiglio, perché su tutti i banchi, di tutte le scuole italiane, la storia non si fermi, perché non ci siano stragi dimenticate. Per questo faccio affidamento su insegnanti, su donne, su uomini, educatori liberi che portino in classe il passato, affinché il futuro non riproponga mai orrori simili. Questa è terra sacra , questa è terra di sudore e di dolore, di onore e di memoria senza “però”. Da ministro, ho il dovere di costruire un futuro e, quindi, di guardare avanti e di fare in modo che questa sia una terra di comunità e di fratellanza, di amore e di accoglienza”.
Presente alla cerimonia solenne, alle porte di Trieste, anche il presidente del Parlamento Europeo e Vice Presidente di FI, Antonio Tajani, che ha detto : “I negazionisti sono stati sconfitti dalla Storia, chi nega è complice di quello che è accaduto. Ci sono migliaia di vittime innocenti, uccise perché italiane. Rendere onore ai caduti è parte della nostra civiltà. Purtroppo, queste vittime, per molti anni sono state dimenticate. La Patria per i quali sono morti non ha fatto il suo dovere. Ora dal 2004, le cose sono cambiate. E questo deve essere un messaggio per il futuro, affinché non accada mai più quello che ha ferito il Friuli Venezia Giulia, i dalmati, gli istriani. Che questo sia un monito. L’Europa, oggi, è riuscita a far prevalere la pace, ma questa pace va difesa, ricordando quanto è accaduto a persone come Norma Cossetto, ai 97 Finanzieri che non avevano anche loro ammainato il Tricolore, buttati in una Foiba, e a don Bonifacio, ucciso , perché non aveva ammainato la bandiera italiana e quella della sua fede”.
Mentre, il presidente della Camera, Roberto Fico, ha esortato a “coltivare” e a “trasmettere la memoria”, assicurando un’adeguata e approfondita conoscenza , in particolare alle nuove generazioni, di quanto avvenuto al confine orientale del Paese. “Solo mantenendo vivo il ricordo e alimentando la riflessione su questo abominio della storia, che ha preso forma dalla discriminazione etnica e dall’odio verso chi è portatore di posizioni politiche diverse”, ha precisato la terza carica dello Stato, “contribuiremo a costruire un futuro in cui simili tragedie non si ripetano mai più. E a garantire pace e stabilità nel nostro continente e nel mondo”.
Promotrice di una proposta di legge per revocare la medaglia di Cavaliere di Gran Croce e decorato di Gran Cordone , conferita il 2 ottobre del 1969 al Maresciallo Tito dall’allora capo dello Stato Giuseppe Saragat, invece, la presidente di FdI, Giorgia Meloni, che in un post pubblicato su Facebook, ha scritto: “E’ una vergogna che il maresciallo Tito, che ha trucidato gli italiani Giuliano Dalmati, sia stato insignito della più alta onorificenza italiana. Pazzesco, che chi ha perseguitato i nostri connazionali abbia ricevuto tale riconoscimento”.
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