Sabato 7 dicembre, nel giorno della Festa di S. Ambrogio, patrono di Milano, come di consuetudine, è stata inaugurata la stagione lirica del Teatro alla Scala con l’opera in 3 atti di Giacomo Puccini, “Tosca”, per la prima volta in cartellone, presso il Massimo milanese, per la regia “cinematografica” di David Livermore e la direzione musicale del Maestro Riccardo Chailly, che ha rieditato l’edizione critica di Roger Parker per Ricordi della versione andata in scena al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900, con otto inserti inediti, al fine di drammatizzare ulteriormente il libretto scritto da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, tratto da un dramma in 5 atti di Victorien Sardou. Largo, il consenso raccolto dagli interpreti, il soprano Anna Netrebko, nel ruolo di Tosca, il tenore Francesco Meli (Cavaradossi) e il baritono Luca Salsi (Scarpia), che, durante l’esecuzione, hanno ottenuto applausi a scena aperta e , ad opera conclusa, ben 16 minuti di ovazione. Successo, anche per la diretta televisiva su Rai Uno, che ha tenuto incollati agli schermi oltre 3 milioni di telespettatori.
di Federica Marengo sabato 21 dicembre 2019
Quest’anno , ad inaugurare la stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano, come di consueto nel giorno caro ai milanesi della festa di Sant’Ambrogio, per la prima volta in cartellone, la storia di “Tosca”, vicenda di amore e morte, pulsioni alla base delle dinamiche drammaturgiche fin dagli albori del teatro.
A curare la regia dell’opera, con impostazione ed effetti cinematografici, resi ancor più efficaci dalle scene di Giò Forma , dagli effetti video di D-wok, dalle luci di Antonio Castro e dai costumi di Gianluca Falaschi , il regista David Livermore, mentre la direzione musicale è stata affidata al maestro Riccardo Chilly, accoppiata vincente, che nella scorsa stagione aveva già collaborato alla messa in scena di “Attila” di Giuseppe Verdi, e in precedenza, a quella del “Don Pasquale” di Gaetano Donizetti.
Fuori dal Teatro , prima dell’inizio dell’opera, un Carnevale : signore e signori bene, in abiti scintillanti, (alcuni piuttosto eccentrici), hanno fatto passerella, mentre dall’altra parte della strada, al posto dell’immancabile picchetto di attivisti in difesa dell’ermellino, un gruppo di lavoratori di una nota catena di supermercati ha protestato per gli imminenti esuberi, specchio dei tempi che cambiano, non sempre e non del tutto in meglio.
Terminata la sfilata,intorno alle 18:00, minuto più, minuto meno, l’ingresso in teatro e ,dopo qualche immancabile selfie,si sono spente le luci, è calato il buio in sala e il silenzio è stato interrotto dalle note dell’inno di Mameli, suonato dall’orchestra, sotto l’egida della bacchetta di Chailly.
A un certo punto però, un faro di luce puntato sul palchetto Reale, ha illuminato il volto del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha ricevuto, insieme alle altre cariche dello Stato presenti, la Presidente del Senato, Casellati e alcuni Ministri, oltre al sindaco della città ,Sala e al Governatore della Regione Fontana, gli applausi della platea.
Poi, l’opera in 3 atti, un dramma di Giacomo Puccini, su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, tratto dal dramma dell’autore francese Victorien Sardou e riadattato da Chailly sull’edizione critica di Roger Parker per Casa Ricordi, corrispondente alla versione andata in scena per la prima volta presso il Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900, comprensiva di otto inserti inediti, ha avuto inizio.
La prima scena,rivelatrice di una regia tutta cinematografica, ha come protagonista un sagrestano (il basso Alfonso Antoniozzi) che corre immerso in un fascio di luce verso un portone, quello della chiesa Sant’Andrea della Valle e apertolo conduce il pubblico con sé all’interno dell’edificio e nel mezzo della narrazione: siamo infatti a Roma ,nel giugno del 1800 , con la città divisa, sulla scia della Rivoluzione francese, tra sostenitori del Papa e bonapartisti , promotori di una Repubblica romana, indipendente e laica, appena caduta, alla vigilia della battaglia di Marengo, nella quale la vittoria napoleonica sull’Austria ripristinerà il domino francese sull’Italia.
Mario Cavaradossi ( il tenore,Francesco Meli), un pittore, riprende il suo lavoro, (sta dipingendo una pala rappresentante la Maddalena), mentre Angelotti (il basso Carlo Cigni), bonapartista ed ex console della Repubblica romana, fuggito dalla prigione di Castel Sant’Angelo, si nasconde all’interno della chiesa, dove la famiglia possiede una cappella e dove la sorella di quest’ultimo, la marchesa Attavanti , ritratta a sua insaputa sulla tela di Cavaradossi, gli ha fatto trovare un travestimento femminile con il quale potrà mimetizzarsi.
L’ingresso a sorpresa del sagrestano costringe il bonapartista a nascondersi nella cappella,per uscirne solo alla fine di un duetto tra questi e Cavaradossi, che,sostenitore anch’esso di Bonaparte contro l’autorità pontificia, prepara un piano di fuga, interrotto nuovamente dall’arrivo di Floria Tosca, ( il soprano Anna Netrebko) cantante, donna amata dal pittore, alla quale non ha intenzione di rivelare il suo segreto, temendo, in quanto ella una fervida credente, possa rivelarlo alla Polizia papalina.
Tosca, allora, descrive all’amante artista il suo progetto per la serata,ma, riconoscendo nella Maddalena dipinta la figura della Attavanti, si ingelosisce al punto da fare una scenata, al termine della quale, calmata a fatica da Cavaradossi, si congeda.
Angelotti, uscito dalla cappella, fugge insieme al pittore verso la villa in periferia di quest’ultimo, portando con sé le vesti femminili ad eccezione del ventaglio, mentre un colpo di cannone annuncia l’evasione del detenuto da Castel S’Angelo.
Il sacrestano, rientrato in chiesa, gioisce alla falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone, nella battaglia di Marengo ed esorta i bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento, quando, seguito dai suoi sgherri, sopraggiunge il barone Scarpia (il baritono Luca Salsi), capo della Polizia papalina, che, sulle tracce di Angelotti, sospetta della complicità di Mario, anch’esso bonapartista.
Per poter scovare Angelotti e arrestarlo insieme a Cavaradossi, Scarpia coinvolge Tosca, ritornata in chiesa per informare il pittore della necessità di rinviare il loro appuntamento, in quanto chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l’avvenimento militare, convincendola, grazie all’utilizzo del ventaglio dimenticato nella cappella, di un incontro furtivo tra l’amato e la marchesa Attavanti , e suscitando in lei una gelosia accecante,sull’onda della quale giura di sorprenderli.
Il primo atto si conclude dunque con il Te Deum e una folla di celebranti e fedeli, riuniti in chiesa, con sullo sfondo il vessillo di una Crocifisso dorato da cui si irradiano raggi di luce, a rappresentare l’eterna lotta, l’imprescindibile dualismo, tra il bene e il male.
Il secondo atto, invece, si apre su Palazzo Farnese, dove, al piano Nobile, è in corso una festa alla presenza del Re e della Regina di Napoli per festeggiare la vittoria austriaca, mentre il barone Scarpia sta cenando nel suo appartamento, dove viene raggiunto dai gendarmi, usciti dalla villa di Cavaradossi, nella quale si erano introdotti per seguire Tosca, ( quest’ultima,resasi conto di aver sbagliato a farsi dominare dalla gelosia). Qui, perquisita la dimora, non trovato Angelotti, i gendarmi traggono in arresto il pittore, conducendolo al Palazzo, dove, in una stanza nascosta, rifiutatosi di rivelare dove si trovi il compagno bonapartista, viene torturato.
Nel frattempo, Tosca, esibitasi in una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che possa udire le urla dell’ amato e si convinca a riferire il nascondiglio dell’evaso, cosa che infatti accade. Quindi, Cavaradossi, condotto nella sala dai gendarmi del barone, apprende del tradimento dell’amata, rifiutandosi di abbracciarla, ma proprio in quel momento irrompe un messo per annunciare la notizia che la vittoria delle truppe austriache era falsa e che è stato Napoleone a battere gli austriaci a Marengo, notizia che suscita il giubilo del pittore, subito condannato all’impiccagione da Scarpia, avvisato del suicidio di Angelotti da una pattuglia di suoi sgherri.
Il barone, allora ordina che il suo cadavere sia impiccato accanto a quello di Cavaradossi e Tosca , disperata lo implora di accordargli la grazia: Scarpia acconsente solo a patto che ella gli si conceda. Inorridita, la cantante lo supplica, rivolgendogli un accorato, quanto vano, rimprovero a Dio,( la celebre aria “Vissi d’arte Vissi d’amore”, accolta dal pubblico scaligero con un applauso a scena aperta) .
Scarpia, infatti, è irremovibile, e Tosca è costretta a cedere. Così, chiamato il capo dei gendarmi Spoletta (il tenore Carlo Bosi), Scarpia, con un gesto d’intesa, fa credere alla cantante che la fucilazione sarà simulata grazie a fucili caricati a salve e, dopo aver sottoscritto un salvacondotto,che consentirà agli amanti di fuggire a Civitavecchia, le si avvicina perché rispetti il patto, ma Tosca lo colpisce a morte con un coltello trovato sul tavolo e , preso il salvacondotto, scappa via.
L’inizio del terzo atto poi è affidato a un giovane pastore (la voce bianca Gianluigi Sartori) che canta una canzone malinconica in romanesco. E’ l’alba e sui bastioni di Castel Sant’Angelo, Cavaradossi si prepara a morire, non prima, però di aver scritto un’ultima lettera all’amata, che, sopraffatto dai ricordi, non riesce a concludere (la malinconia della vita che lo abbandona è espressa nell’altra celeberrima aria dell’opera: “E lucevan le stelle”,terminata la quale il pubblico è tornato ad esprimersi nuovamente, a scena aperta, con un applauso). E’ allora che, all’improvviso, arriva Tosca, la quale gli spiega di essere stata costretta a uccidere Scarpia e gli mostra il salvacondotto, informandolo della fucilazione simulata e raccomandandogli di fingere bene la morte.
Il pittore, però viene fucilato veramente e Tosca ,sconvolta e, inseguita dai gendarmi che hanno trovato il cadavere di Scarpia ,gridando : “O Scarpia, avanti a Dio!”, si getta dagli spalti del castello (scena rappresentata dal regista Livermore con un finale a sorpresa , sempre nel segno della narrazione di tipo cinematografica, mediante l’ascesa al cielo dell’anima fuoriuscita dal corpo, salutato dalla platea con un’ovazione durata sedici minuti).
Perfetti, nei loro ruoli: il soprano, Anna Netrebko, abile con la sua voce oscura e la presenza scenica da mattatrice a delineare un personaggio ombroso di ribelle, il tenore Francesco Meli , capace di passare dalla freschezza di un giovane idealista nell’aria iniziale “Recondita armonia” , alla rassegnazione malinconica di un uomo sconfitto negli ideali e prossimo alla morte dell’aria finale, “E lucevan le stelle”, e il baritono ,Luca Salsi, estremamente versatile nel passare da un canto solenne e severo a uno insinuante e sottile, (dote riconosciutagli dal pubblico con un’acclamazione già alla fine del secondo atto), che rispecchia un personaggio nel quale è racchiuso il significato stesso dell’opera: in un mondo dominato dalla sopraffazione del potere , in cui dietro apparenti proclami e simboli di bene si cela il male, l’unica cosa che l’umanità può fare è ribellarsi, preservando la propria dignità e rivendicando il diritto alla libertà.
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