Dal 5 marzo al 2 giugno, le Scuderie del Quirinale, a Roma, ospitano la mostra dedicata a Raffaello Sanzio, uno dei maestri del Rinascimento, di cui nell’anno in corso ricorre il cinquecentenario dalla scomparsa. L’esposizione, curata dal Direttore delle Scuderie Lafranconi e da Maria Faietti, con la collaborazione di Vincenzo Farinella e Francesco Paolo Di Teodoro, propone al pubblico oltre 244 opere pittoriche dell’urbinate, cui si sommano i disegni su recto e verso delle tavole, provenienti dalla Galleria degli Uffizi, dalla Galleria Borghese, dai Musei Vaticani, dal Louvre di Parigi, dal Prado di Madrid e dalla National Gallery di Washington, attraverso un viaggio a ritroso nella biografia dell’artista, che parte dall’ultimo periodo della sua esperienza artistica e umana, quello romano, risalendo fino all’apprendistato conseguito a Urbino, presso la bottega paterna e successivamente, in Umbria, presso il Perugino, e a Firenze, con l’obiettivo di realizzare una rilettura di Raffaello come artista universale e totale (pittore, architetto, incisore, antiquario, scenografo, disegnatore) , classicista e al tempo stesso moderno, precursore della teorizzazione della tutela del “patrimonio artistico”, tra i principi della nostra Costituzione, sancito dall’Art.9.
di Federica Marengo domenica 15 marzo 2020
Il 6 aprile prossimo saranno trascorsi cinquecento anni dalla scomparsa prematura, (morì a soli 37 anni) di Raffaello Sanzio,tra i geni artistici del Rinascimento italiano. A celebrarlo, è una mostra alle Scuderie del Quirinale, a Roma, attualmente sospesa, causa emergenza Covid19, ma che è stata inaugurata il 5 marzo scorso e che alla riapertura accoglierà i visitatori, (salvo eventuali proroghe), fino al 2 giugno.
Noi, come tanti, abbiamo potuto visitare virtualmente l’esposizione , grazie all’iniziativa “L’Italia Chiamò” del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, che , nell’ambito di una raccolta solidale a favore della Protezione Civile, ha patrocinato una vera e propria maratona virtuale di tour in streaming presso i musei e i siti archeologici più conosciuti d’Italia.
La mostra,curata dal Direttore delle Scuderie , Matteo Lafranconi, in collaborazione con Maria Faietti e con l’ausilio di Vincenzo Farinella e Francesco Paolo Di Teodoro, e che si avvale dei prestiti provenienti dalla Galleria degli Uffizi, dalla Galleria Borghese, dai Musei Vaticani, dal Louvre di Parigi , dal Prado di Madrid e dalla National Gallery di Washington, è un viaggio a ritroso, 1520-1483, nella biografia dell’artista, scandita da più di 244 opere (250 ,se si sommano anche i disegni su recto e verso delle tavole) realizzate nelle varie fasi della sua carriera, suddivise in sezioni, a cominciare, utilizzando la tecnica narrativa del flash back, dall’ultimo periodo, quello di massimo fulgore, trascorso a Roma, fino ad arrivare agli esordi , in Umbria, come allievo del Perugino, dopo l’apprendistato svolto a partire dal 1480 nella bottega paterna, a Urbino.
Così, partendo dalla riproduzione in tridimensionale della tomba dell’urbinate, la cui versione originale si trova a Roma, all’interno del Pantheon, incontriamo la prima sezione, quella relativa agli ultimi anni della sua vita trascorsi a Roma, al servizio dei Papi Giulio II° e Leone X°, ma anche del banchiere senese Agostino Chigi.
Tra i dipinti realizzati in questa fase spiccano una serie di ritratti, realizzati fra il 1512 e il 1519, che immortalano i Pontefici Giulio II° e Leone X°, l’umanista, letterato e diplomatico Baldassar Castiglione, una donna chiamata : “La Velata” e la amata dall’artista, la Fornarina, nelle pose di Venere, apportando un elemento fino ad allora sconosciuto nella pittura, ovvero: l’aspetto psicologico dei personaggi,non più solo figure in armonia con il contesto del dipinto,geometricamente e prospetticamente studiato , ma soggetti in dialogo con l’osservatore.
Notevoli, anche le tavole con la Madonna delle Rose (1518-1520),la Madonna dell’Impannata (1511), la Madonna con il Bambino e San Giovannino (Madonna d’Alba) e con l’Estasi di Santa Cecilia (1518) e i dipinti con episodi delle Sacre Scritture e dei Vangeli, quali: il San Giovanni Battista (1518) e il Sacrificio di Lystra (1517-1519).
Tuttavia, nella fase romana (1509-1520) della sua attività artistica, Raffaello oltre ad essere pittore, fu anche architetto e sovraintendente della Basilica di San Pietro. In mostra, dunque i progetti delle Scuderie di Villa Farnesina e dell’incompiuta Villa Madama di proprietà del Chigi.
Epicentro della suddetta sezione e dell’intera mostra, poi è la lettera (in prestito dall’Archivio di Stato di Mantova), scritta dall’Urbinate e dall’umanista Baldassar Castiglione a Papa Leone X°, che lo aveva incaricato di redigere uno studio sulle antiche vestigia della città per ricostruire una pianta della Roma imperiale, al fine di far rivivere i fasti della città dei Cesari e riscattare l’Urbe dall’oscurità dell’epoca barbarica e medioevale, nella quale Raffaello teorizza per primo il concetto di tutela del patrimonio artistico e culturale, espresso dall’Art.9 della Costituzione.
A seguire, poi, la sezione dedicata al periodo senese- fiorentino (1508-1504),influenzato dalla collaborazione con il Pinturichio, e scandito dalle celebri Madonne: la Madonna del Granduca (1506-1507),la Madonna Tempi (1507-1508), dall’Autoritratto (1506-1507) e da scene tratte dalla mitologia (“Ercole al bivio”, 1504), in cui ancora forte è la eco quattrocentesca, dei maestri del periodo antecedente , quello umbro (1497-1500),a cui risalgono gli studi di mani e volti, realizzati dall’artista con penna e inchiostro su traccia a stilo e pietra nera.
Infine, la sezione dedicata al periodo urbinate (1480-1497), quello vissuto come apprendista presso la bottega del padre, il pittore Givanni Santi o Sanzio (possibile italianizzazione del Latino, Sancti), attivo presso la famiglia ducale dei Da Montefeltro e presso l’aristocrazia orbitante intorno alla corte, dove apprese la tecnica dell’affresco e studiò i dipinti di grandi maestri del Quattrocento come Piero della Francesca.
Quindi, giunti al termine del nostro viaggio tra i capolavori di Raffaello , appare chiaro come il genio sia stato tale per la capacità di offrire una rilettura alla sua “maniera” della pittura rinascimentale, ispirata a quella classica, introducendo in essa un elemento nuovo e “moderno”,che è l’abbattimento delle barriere tra osservatore e soggetto ritratto, il quale non è più solo forma asettica inserita armonicamente in uno spazio organizzato attraverso i calcoli rigorosi della prospettiva, ma figura in libero movimento, essere dialogante con chi lo scruta.
Raffaello ,dunque, fu così tanto aderente alla natura che l’umanista, scrittore e grammatico, Pietro Bembo, volle scrivere come epitaffio sulla sua tomba: “Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.
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