di Federica Marengo sabato 11 maggio 2024
-Nel pomeriggio del 9 maggio scorso, Papa Francesco ha presieduto, presso la Basilica di San Pietro, la consegna e la lettura della Bolla di indizione del Giubileo 2025: “Spes non confundit”, per poi celebrare i Secondi Vespri della Solennità dell’Ascensione del Signore.
Il Pontefice, dopo il saluto liturgico nell’atrio della Basilica , dinanzi alla Porta Santa, ha dato inizio alla celebrazione, consegnando la Bolla di indizione del Giubileo 2025 agli Arcipreti delle Basiliche papali, ai Rappresentanti della Chiesa sparsa nel mondo e ai Protonotari Apostolici.
Poi, il Decano del Collegio dei Protonotari Apostolici ,Mons. Leonardo Sapienza, Reggente della Prefettura della Casa Pontificia, ha letto alcuni passi della suddetta Bolla, incentrata sulla “Speranza non delusa”.
A seguire, il Santo Padre, spostatosi all’interno della Basilica di San Pietro, ha celebrato i Secondi Vespri della Solennità dell’Ascensione del Signore, pronunciando un’omelia, incentrata proprio sul tema della Speranza.
All’inizio dell’omelia, Papa Francesco ha evidenziato: “Gesù è disceso fino a noi per farci salire fino al Padre; è disceso in basso per portarci in alto; è disceso nelle profondità della terra perché il Cielo si potesse spalancare sopra di noi. Egli ha distrutto la nostra morte perché noi potessimo ricevere la vita, e per sempre. Questo è il fondamento della nostra speranza: Cristo asceso al Cielo porta nel cuore di Dio la nostra umanità carica di attese e di domande, “per darci la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria”.
Quindi, proprio riferendosi al Giubileo, il Pontefice ha detto: “Fratelli e sorelle, è questa speranza, radicata in Cristo morto e risorto, che vogliamo celebrare, accogliere e annunciare al mondo intero nel prossimo Giubileo, che è ormai alle porte. Non si tratta di semplice ottimismo – diciamo ottimismo umano – o di un’effimera aspettativa legata a qualche sicurezza terrena, no, è una realtà già compiuta in Gesù e che ogni giorno è donata anche a noi, fino a quando saremo una cosa sola nell’abbraccio del suo amore. La speranza cristiana – scrive San Pietro – è «un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. La speranza cristiana sostiene il cammino della nostra vita anche quando si presenta tortuoso e faticoso; apre davanti a noi strade di futuro quando la rassegnazione e il pessimismo vorrebbero tenerci prigionieri; ci fa vedere il bene possibile quando il male sembra prevalere; la speranza cristiana ci infonde serenità quando il cuore è appesantito dal fallimento e dal peccato; ci fa sognare una nuova umanità e ci rende coraggiosi nel costruire un mondo fraterno e pacifico, quando sembra che non valga la pena di impegnarsi. Questa è la speranza, il dono che il Signore ci ha dato con il Battesimo. Carissimi, mentre, con l’Anno della preghiera, ci prepariamo al Giubileo, eleviamo il cuore a Cristo, per diventare cantori di speranza in una civiltà segnata da troppe disperazioni. Con i gesti, con le parole, con le scelte di ogni giorno, con la pazienza di seminare un po’ di bellezza e di gentilezza ovunque ci troviamo, vogliamo cantare la speranza, perché la sua melodia faccia vibrare le corde dell’umanità e risvegli nei cuori la gioia, risvegli il coraggio di abbracciare la vita”.
Da qui, il Santo Padre ha evidenziato il bisogno di Speranza che ha l’Umanità , la società e anche la Chiesa: “Di speranza, infatti, abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno tutti. La speranza non delude, non dimentichiamo questo. Ne ha bisogno la società in cui viviamo, spesso immersa nel solo presente e incapace di guardare al futuro; ne ha bisogno la nostra epoca, che a volte si trascina stancamente nel grigiore dell’individualismo e del “tirare a campare”; ne ha bisogno il creato, gravemente ferito e deturpato dagli egoismi umani; ne hanno bisogno i popoli e le nazioni, che si affacciano al domani carichi di inquietudini e di paure, mentre le ingiustizie si protraggono con arroganza, i poveri vengono scartati, le guerre seminano morte, gli ultimi restano ancora in fondo alla lista e il sogno di un mondo fraterno rischia di apparire come un miraggio. Ne hanno bisogno i giovani, spesso disorientati ma desiderosi di vivere in pienezza; ne hanno bisogno gli anziani, che la cultura dell’efficienza e dello scarto non sa più rispettare e ascoltare; ne hanno bisogno gli ammalati e tutti coloro che sono piagati nel corpo e nello spirito, che possono ricevere sollievo attraverso la nostra vicinanza e la nostra cura. E inoltre, cari fratelli e sorelle, di speranza ha bisogno la Chiesa, perché, anche quando sperimenta il peso della fatica e della fragilità, non dimentichi mai di essere la Sposa di Cristo, amata di un amore eterno e fedele, chiamata a custodire la luce del Vangelo, inviata a trasmettere a tutti il fuoco che Gesù ha portato e acceso nel mondo una volta per sempre”.
Infine, ha concluso Papa Francesco, “Di speranza ha bisogno ciascuno di noi: le nostre vite talvolta affaticate e ferite, i nostri cuori assetati di verità, di bontà e di bellezza, i nostri sogni che nessun buio può spegnere. Tutto, dentro e fuori di noi, invoca speranza e va cercando, anche senza saperlo, la vicinanza di Dio. A noi sembra – diceva Romano Guardini – che il nostro sia il tempo della lontananza da Dio, in cui il mondo si riempie di cose e la Parola del Signore tramonta; tuttavia, egli afferma: «Se però verrà il tempo , e verrà, dopo che l’oscurità sarà stata superata , in cui l’uomo domanderà a Dio: “Signore, allora dov’eri?”, allora di nuovo udrà la risposta: “Più che mai vicino a voi!”. Forse Dio è più vicino al nostro tempo glaciale che al barocco con lo sfarzo delle sue chiese, al medioevo con la dovizia dei suoi simboli, al cristianesimo dei primordi con il suo giovanile coraggio di fronte alla morte. Però Egli attende che noi gli restiamo fedeli. Da questo potrebbe sorgere una fede non meno valida, anzi forse più pura, in ogni caso più intensa di quanto sia mai stata nei tempi della ricchezza interiore. Fratelli e sorelle, il Signore risorto e asceso al Cielo ci doni la grazia di riscoprire la speranza, riscoprire la speranza!, di annunciare la speranza, di costruire la speranza”.
Ed è ancora la Speranza, la parola al centro del suo intervento, tenuto ieri, nella seconda giornata conclusiva della IV° edizione degli Stati Generali della Natalità “Esserci- Più giovani più futuro”, svoltisi presso l’Auditorium di Via della Conciliazione.
All’inizio del suo discorso, il Pontefice, rivolgendosi oltre che ai fedeli, ai ragazzi e alle ragazze e ai bambini e alle bambine presenti , anche alle autorità e ai rappresentanti della società civile, ha detto: “Ogni dono di un figlio, infatti, ci ricorda che Dio ha fiducia nell’umanità, come sottolinea il motto “Esserci, Più giovani più futuro”. Il nostro “esserci” non è frutto del caso: Dio ci ha voluti, ha un progetto grande e unico su ciascuno di noi, nessuno escluso. In questa prospettiva, è importante incontrarsi, lavorare insieme per promuovere la natalità con realismo, lungimiranza e coraggio. Vorrei riflettere un po’ su queste tre parole-chiave”.
Dunque, il Santo Padre si è soffermato su queste tre parole, a cominciare da realismo: “ In passato, non sono mancati studi e teorie che mettevano in guardia sul numero degli abitanti della Terra, perché la nascita di troppi bambini avrebbe creato squilibri economici, mancanza di risorse e inquinamento. Mi ha sempre colpito constatare come queste tesi, ormai datate e superate da tempo, parlassero di esseri umani come se si trattasse di problemi. Ma la vita umana non è un problema, è un dono. E alla base dell’inquinamento e della fame nel mondo, non ci sono i bambini che nascono, ma le scelte di chi pensa solo a sé stesso, il delirio di un materialismo sfrenato, cieco e dilagante, di un consumismo che, come un virus malefico, intacca alla radice l’esistenza delle persone e della società. Il problema non è in quanti siamo al mondo, ma che mondo stiamo costruendo , questo è il problema ; non sono i figli, ma l’egoismo, che crea ingiustizie e strutture di peccato, fino a intrecciare malsane interdipendenze tra sistemi sociali, economici e politici. L’egoismo rende sordi alla voce di Dio, che ama per primo e insegna ad amare, e alla voce dei fratelli che ci stanno accanto; anestetizza il cuore, fa vivere di cose, senza più capire per cosa; induce ad avere tanti beni, senza più saper fare il bene. E le case si riempiono di oggetti e si svuotano di figli, diventando luoghi molto tristi. Non mancano i cagnolini, i gatti, questi non mancano. Mancano i figli. Il problema del nostro mondo non sono i bambini che nascono: sono l’egoismo, il consumismo e l’individualismo, che rendono le persone sazie, sole e infelici. Il numero delle nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo. Senza bambini e giovani, un Paese perde il suo desiderio di futuro. In Italia, ad esempio, l’età media attualmente è di quarantasette anni , ma ci sono Paesi del centro Europa che hanno l’età media di ventiquattro anni , e si continuano a segnare nuovi record negativi. Purtroppo, se dovessimo basarci su questo dato, saremmo costretti a dire che l’Italia sta progressivamente perdendo la sua speranza nel domani, come il resto d’Europa: il Vecchio Continente si trasforma sempre più in un continente vecchio, stanco e rassegnato, così impegnato ad esorcizzare le solitudini e le angosce da non saper più gustare, nella civiltà del dono, la vera bellezza della vita. E c’è un dato che mi ha detto uno studioso di demografia. In questo momento, gli investimenti che danno più reddito sono la fabbrica di armi e gli anticoncezionali. Le une distruggono la vita, gli altri impediscono la vita. E questi sono gli investimenti che danno più reddito. Che futuro ci attende? È brutto .Nonostante tante parole e tanto impegno, non si arriva a invertire la rotta. Come mai? Perché non si riesce a frenare questa emorragia di vita?. La questione è complessa, ma questo non può e non deve diventare un alibi per non affrontarla”.
Poi, riguardo alla seconda parola, lungimiranza, il Pontefice ha evidenziato: “Serve lungimiranza, che è la seconda parola-chiave. A livello istituzionale, urgono politiche efficaci, scelte coraggiose, concrete e di lungo termine, per seminare oggi, affinché i figli possano raccogliere domani. C’è bisogno di un impegno maggiore da parte di tutti i governi, perché le giovani generazioni vengano messe nelle condizioni di poter realizzare i propri legittimi sogni. Si tratta di attuare serie ed efficaci scelte in favore della famiglia. Ad esempio, porre una madre nella condizione di non dover scegliere tra lavoro e cura dei figli; oppure liberare tante giovani coppie dalla zavorra della precarietà occupazionale e dell’impossibilità di acquistare una casa. È poi importante promuovere, a livello sociale, una cultura della generosità e della solidarietà intergenerazionale, per rivedere abitudini e stili di vita, rinunciando a ciò che è superfluo allo scopo di dare ai più giovani una speranza per il domani, come avviene in tante famiglie. Non dimentichiamolo: il futuro di figli e nipoti si costruisce anche con le schiene doloranti per anni di fatica e con i sacrifici nascosti di genitori e nonni, nel cui abbraccio c’è il dono silenzioso e discreto del lavoro di una vita intera. E d’altra parte, il riconoscimento e la gratitudine verso di loro da parte di chi cresce sono la sana risposta che, come l’acqua unita al cemento, rende solida e forte la società. Questi sono i valori da sostenere, questa è la cultura da diffondere, se vogliamo avere un domani”.
Infine, in merito alla terza parola, coraggio, Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani e alle giovani, ha evidenziato: “So che per molti di voi il futuro può apparire inquietante, e che tra denatalità, guerre, pandemie e mutamenti climatici non è facile mantenere viva la speranza. Ma non arrendetevi, abbiate fiducia, perché il domani non è qualcosa di ineluttabile: lo costruiamo insieme, e in questo “insieme” prima di tutto troviamo il Signore. È Lui che, nel Vangelo, ci insegna quel “ma io vi dico” che cambia le cose : un “ma” che profuma di salvezza, che prepara un “fuori schema”, una rottura. Facciamo nostro questo “ma”, tutti, qui e ora. Non rassegniamoci a un copione già scritto da altri, mettiamoci a remare per invertire la rotta, anche a costo di andare controcorrente! Come fanno le mamme e i papà della Fondazione per la Natalità, che ogni anno organizzano questo evento, questo “cantiere di speranza” che ci aiuta a pensare, e che cresce, coinvolgendo sempre più il mondo della politica, delle imprese, delle banche, dello sport, dello spettacolo e del giornalismo”.
Al centro della riflessione del Santo Padre, poi, anche i nonni e le nonne: “Oggi ,c’è una cultura che nasconde i nonni, li manda alla casa di riposo. Adesso è cambiata un po’ per la pensione , purtroppo è così , ma la tendenza è quella: scartare i nonni. Mi viene in mente una storia interessante. C’era una bella famiglia, dove il nonno viveva con loro. Ma con il tempo in nonno è invecchiato, e poi quando mangiava si sporcava… Allora il papà ha fatto costruire un tavolino, in cucina, perché ci mangiasse il nonno, così loro potevano invitare gente. Un giorno il papà torna a casa e trova uno dei bambini piccoli che lavorava con il legno. “Cosa stai facendo?” – “Un tavolino, papà” – “Ma perché?”- “Per te, per quando sarai vecchio”. Per favore, non dimenticare i nonni! Quando io, nell’altra diocesi, visitavo tanto le case di riposo, domandavo ai nonni – penso a un caso –: “Quanti figli ha?” – “Tanti” – “Ah, bene. E vengono a trovarla?” – “Sì sì, vengono sempre”. Poi, all’uscita, l’infermiere mi diceva: “Non vengono mai”. I nonni soli. I nonni scartati. Questo è un suicidio culturale! Il futuro lo fanno i giovani e i vecchi insieme; il coraggio e la memoria, insieme. Per favore, parlando di natalità, che è il futuro, parliamo anche dei nonni, che non sono il passato: aiutano il futuro. Per favore, abbiamo figli, tanti, ma abbiamo anche cura dei nonni! È molto importante”.
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