In mostra al Castel dell’Ovo , dal 14 giugno al 28 luglio : “Le stanze di Tato Russo-Gli anni del coraggio”, un viaggio attraverso gli spettacoli teatrali, gli oggetti di scena, le scenografie, le musiche, i versi e la vita dell’attore, regista, autore teatrale, scrittore e musicista Tato Russo.
di Federica Marengo sabato 27 luglio 2019
L’Arte non è nient’altro che un giudizio. Non esiste un istinto artistico, bensì un istinto creativo. E’ solo nella composizione e nel compiuto che si “trae” l’Arte. L’Arte si deduce. Non induce l’artista. Gli antichi e anche i classici creano opere per abbellimento non per Arte. Noi vi riscopriamo l’Arte , cioè l’esistenza. Arte è quindi manifestare un’anima attraverso un qualcosa di materiale. E’ lo spirito che si trae dalla materia. E’ un modo di essere della materia. L’Arte è quindi forma materiale dello spirito, forma in cui si estrinseca qualcosa di materiale. E’ lo spirito che si trae dalla materia. E’ un modo d’essere della materia. L’Arte è quindi forma materiale dello spirito, forma in cui si estrinseca uno spirito”. Questo e molti altri scritti e aforismi compongono, insieme a costumi, oggetti di scena, scenografie, suggestioni musicali e poetiche e proiezioni di spettacoli, la mostra a cura di Giulio Baffi, Marialuisa Firpo, Gabriella Grizzuti, ideata dal Teatro Bellini, con il patrocinio del MiBAC e il sostegno della Regione Campania e del Comune di Napoli: “Le stanze di Tato Russo-Gli anni del coraggio”, dedicata all’attore, regista, autore teatrale, scrittore, poeta e musicista di origine partenopea, visitabile presso Castel dell’Ovo dal 14 giugno al 28 luglio.
Il castello medievale, luogo di storie e di leggende, fa dunque da sfondo al racconto dell’ Arte e della vita di Tato Russo, che costituiscono per il Nostro un unicum imprescindibile. Entrati nella Sala delle Carceri, che ospita la prima delle “stanze”, quella dedicata all’ “Uomo”, in cui è suddiviso il percorso della mostra, articolata sui due livelli del maniero, ci ritroviamo dinnanzi a una molteplicità di oggetti teatrali : è lo spazio della “Cura”, dove : “Il mondo dei vecchi si scontra con quello dei bambini”, il sogno e l’idea, con l’atto e la sua realizzazione.
Pupi, simili a burattini che riproducono, a mo’ di bozzetto animato, i costumi realizzati da Giusi Giustino per gli spettacoli messi in scena dal Russo, in oltre quarant’anni di carriera, i disegni preparatori degli stessi, si alternano agli abiti veri e propri indossati dagli attori nelle pièce shakespeariane : “La Tempesta”, “Sogno di una notte di mezza estate”, “Amleto”, come pure nelle opere musicali ideate e scritte dall’attore-drammaturgo.
Un caleidoscopio di colori, resi ancor più vividi dal buio della sala e dalle pareti in tufo giallo della fortezza angioino-aragonese, ci guida in fondo, verso “il Camerino”
dell’attore, fatto, ci dice il Russo : “Di ricordi, lettere ricevute , costumi indossati,emozioni. E di persone venute a salutarmi. Con lo specchio che ci mostra i mille volti dei personaggi che ho interpretato”.
Una fondale, con appesi frammenti cartacei della vita di una compagnia, avvisi, comunicati, richiami all’ordine, alla disciplina da parte del regista, che ricorda ai suoi attori che: “Il Teatro è silenzio” e che: “L’unica musica possibile è quella dell’anima”, ci accompagna, sul lato opposto, verso “il luogo del Pensiero” dove ci immergiamo, attraverso la voce bambina dell’attore-regista, metafora di quel fanciullino senza il quale non vi sarebbe alcuna vocazione al mestiere creativo, nella biblioteca sonora in cui ascoltare le letture tratte dagli autori teatrali più amati dal Russo (Shakespeare, Petito, Brecht).
Poi, plastici che riproducono i Menecmi, gemelli protagonisti della farsa di Plauto, realizzati, come pure altri, dagli allievi della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, e mobili di scena, ci accompagnano verso l’uscita, consci,però, che il viaggio nel ricordo di “Uno spettacolo/evento, mai più ripetibile”, non è ancora finito.
Di seguito, infatti, ad aspettarci : la Sala Sirena, che ospita la stanza del Teatro, in cui troviamo progetti, riproduzioni su scala di scenografie e ambienti dei molteplici spettacoli del Russo (tra cui: “Sugnizza”, “ ‘O Munaciello”, “L’opera da tre soldi”, “Il fu Mattia Pascal”, “Socrate immaginario, “Masaniello”, “Viva Diego”), dislocati negli spazi de “la Scena”, “il Sogno” e “la Maschera”, in un susseguirsi scandito dalla musica, a sottolineare l’importanza dei suoni come “Strumenti per le parole da recitare”, insieme con la danza, la fonica e le luci.
Protagonista dello spazio de “la Maschera”: Pulcinella, cardine del Teatro di Tato Russo e da lui interpretato ben otto volte, riscrivendo i testi di Petito e di cui, l’attore, drammaturgo ha detto: “Io non volevo fare Pulcinella, non capivo come si potesse recitare con una maschera sul volto. Poi ho capito che Pulcinella ha bisogno di un attore pazzo. Ed io lo sono stato”.
Ancora ipnotizzati da plastici e ambienti della messa in scena, abbandoniamo il piano terra per salire al primo livello di Castel dell’Ovo, quello con la “terrazza dei cannoni” , dalla quale si gode la veduta del Vomero e della collina di San Martino con il profilo di Castel Sant’Elmo, nelle cui sale interne troviamo la stanza del Sognatore.
E’ qui che si rivela il Tato Russo poeta e scrittore, autore di poesie, per lo più d’invettiva, alla Marziale; fine dicitore, caustico e rabbioso, immerso nella foresta delle polemiche oppure bonario ideatore di poesie brevi, immerso nel bosco di dolci sonorità. E’ qui, negli spazi de “gli anni prima”, de “le stanze del Castello, de “Il Bellini” , de “Le Mostre Fotografiche”,(quest’ultimo curato dai suoi fotobiografi più attenti : Fabio Donato e Tommaso Le Pera), e de “La Musica”, che il nostro attore-autore racconta gli studi con l’attrice Wanda Capodaglio, l’esordio come attore e scrittore (pubblica a vent’anni il romanzo : “Samba di un coniglio uomo”), gli anni Settanta, gli anni difficili, nei quali la nuova proposta del Teatro Sperimentale infrangeva i dogmi del Teatro eduardiano, gli anni delle compagnie ( “Gli ipocriti e “Nuova Commedia”), delle sue commedie (“La tazza d’argento”, “Il sessantotto”, “La parolaccia”, “Pulcinella capitano del popolo”) , delle riscritture di commedie del repertorio classico (“Pulcinella medico per forza” di Molière e “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare) e della composizione di musiche sotto lo pseudonimo di “Zeno Craig”.
A seguire, poi, gli anni Ottanta, gli anni del Teatro Diana,dove inscena “La bella e la brutta epoque” e il “Cafè Chantant”, gli anni di “Socrate immaginario”, dei “Due gemelli napoletani”, de “La bisbetica domata” , de “La villeggiatura”, di”Irma la dolce” e de “Le stanze del castello”, gli anni del Teatro Bellini, acquisito e ristrutturato, dove rappresenta “L’opera da tre soldi”, “Napoli Hotel Excelsior”, “Il candelaio”, “La tempesta”, “Amleto”, “Scugnizza”, ‘O Munaciello” e le opere musicali, scritte in collaborazione con Mario Ciervo e Patrizio Morrone, “Masaniello”, “I promessi sposi”, “Il ritratto di Dorian Gray”, “Viva Diego”, “The elephant man” e “Biancaneve”. Gli anni della creazione di Festival teatrali, della direzione del Teatro Comunale di Viterbo , cui affianca l’impegno di membro del CDA del Teatro Stabile di Roma e la vicepresidenza del Consorzio Teatro Campania, gli anni del secondo romanzo “La stanza dei sentimenti perduti” e delle quindici raccolte di poesie (tra cui: “Ancora mi innamorano gli sguardi” e “La felicità nella coda dei cani”).
Giunti al termine del percorso, ancora sospesi nella magica dimensione creativa del Maestro, Cavaliere al Merito della Repubblica italiana, Tato Russo, ci resta difficile tornare alla realtà frenetica, iperconnessa ed egotica in cui viviamo. Portiamo con noi, però, e facciamo nostri alcuni suoi aforismi consolatori: “La conoscenza non si mette in mostra al mercato sui banchi d’esposizione . La cultura è il retrobottega dell’Emporio delle nostre idee”. E ancora: “Il bello del mondo finisce e comincia nella tua anima”.
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