Nell’ambito della 40ma edizione dell’Estate a Napoli, l’assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli presenta, presso la Cappella Palatina di Castel Nuovo (Maschio Angioino), la mostra pittorica dedicata alla Scuola di Posillipo e ai suoi riformatori. A cura della docente universitaria di Storia dell’Arte Contemporanea, Isabella Valente , in collaborazione con le Associazione culturali Mediterranea di Saverio Ammendola e La Fenice di Luciano Molino e con il patrocinio del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II, l’esposizione, a ingresso libero, delle oltre 70 opere, provenienti da raccolte private, inaugurata il 24 luglio scorso, sarà visitabile fino al prossimo 2 ottobre.
di Federica Marengo sabato 24 agosto 2019
Ricca di opere, accessibile anche ai meno esperti, dettagliata e ,al tempo stesso, chiara nei suoi contenuti e infine gratuita, la mostra : “La scuola di Posillipo. La luce di Napoli che conquistò il mondo”, inaugurata lo scorso 24 luglio e visitabile fino al 2 ottobre presso la Cappella Palatina di Castel Nuovo (Maschio Angioino), è tutto questo e anche di più.
Curata dalla docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università Federico II, Isabella Valente, in collaborazione con le Associazioni culturali Mediterranea di Saverio Ammendola e La Fenice di Luciano Molino, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli e del Dipartimento di Studi Umanistici , l’esposizione, tra le iniziative del progetto l’ Estate a Napoli, consta di oltre 70 dipinti, provenienti da raccolte private, realizzati da pittori stranieri come l’olandese Anton Smink Van Pitloo, che , trasferitisi in Italia nell’ambito del Gran tour , (viaggio culturale compiuto dal Settecento alla fine dell’Ottocento da intellettuali e artisti internazionali al fine di conoscere la storia, la cultura, l’arte e le tradizioni italiane) diedero vita al Sud a una scuola locale di pittura di paesaggio, chiamata: Scuola di Posillipo.
Nata intorno alla metà degli anni dieci dell’Ottocento, essa si pose come obiettivo il superamento del vedutismo di età illuministica basato esclusivamente sullo studio del paesaggio e della natura riprodotti minuziosamente , secondo il canone della documentazione dettato dalla pittura europea settecentesca.
La Scuola di Posillipo, infatti, operò una vera e propria rivoluzione nella pittura paesaggistica, sostituendo al disegno preparatorio l’esecuzione diretta an plein air (dal vero), tanto nelle composizioni (i paesaggi) quanto nei “paesaggi di composizione”, comprendenti cioè un episodio narrativo, storico o d’invenzione e, privilegiando il sentimento , l’impressione della natura, che avrebbe condotto presto all’esecuzione per “macchia”, piuttosto che alla riproduzione precisa dei particolari.
Fautore di tale rinnovamento fu per l’ appunto il pittore Van Pitloo, stabilitosi a Napoli dall’Olanda nel 1816, il quale , per catturare in maniera repentina la mutevolezza della luce, preferì al disegno immediato su tavolette o tele quello sui fogli di carta, meno costosi e più maneggevoli, da applicare in un secondo momento su supporti lignei , così come optò per le tecniche più rapide della grafite, del lapis, della china, dell’olio su carta, dell’acquerello e della tempra, piuttosto che per l’uso esclusivo dell’olio su tela.
Il largo consenso incontrato dalla sua pittura presso i critici e soprattutto presso i reali Borbone fece sì che nel 1824 Pitloo vincesse la cattedra di Paesaggio presso la Reale Accademia di Belle Arti, collaborando insieme con altri artisti alle illustrazioni delle guide sulla città come il “Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie”, libro pubblicato fra il 1829 e il 1832.
Molo apprezzati dai sovrani borbonici furono anche gli epigoni partenopei di Pitloo : Giacinto Gigante e Salvatore Fergola. Il primo, il più rilevante interprete della Scuola di Posilipo, ricercò l’impressione luminosa della natura e dei paesaggi di Napoli, Sorrento, delle isole del Golfo e dei Campi Flegrei, attraverso poche e libere macchie di acquerello o di olio, il secondo , invece, diede vita a un nuovo genere: il “paesaggio di cronaca”, con il quale “immortalò” le imprese borboniche, come l’inaugurazione della prima ferrovia d’Italia, la Napoli-Portici.
Tra gli altri pittori stranieri giunti in Campania per il Grand Tour e per uno studio approfondito sulla luce e sulla natura, le cui tele possiamo osservare nell’ambito della mostra, furono: il gallese Thomas Jones, che realizzò piccole inquadrature di Napoli oggi esposte a Londra e a Cardiff, i norvegesi Johan Christian Clausen Dahl e Thomas Fearnley, l’inglese William Collins, il belga Frans Vervloet, i francesi Karl Girardet e Jean-Charles Joseph Rémond e il russo Sil’vestr Feodosievic SCedrin.
Un settore dell’esposizione poi è dedicato ai riformatori della pittura di paesaggio che , nella seconda metà dell’Ottocento, sulle orme degli esponenti della la Scuola di Posillipo, approdarono al verismo, sostenuto da Filippo Palizzi, e alla Scuola di Resina. Quest’ultima, nata nel 1860, grazie al confronto tra alcuni artisti: i pittori Giuseppe De Nittis, Federico Rossano, Adriano Cecioni e lo scultore Raffaele Belliazzi, riunitisi intorno alla casa-studio di Marco de Gregorio, sita nella Reggia di Portici, creò un nuovo prototipo di pittura: la pittura di “macchia”, poi evolutasi in un tratto di pennello luminosissimo , fatto da bagliori e piccoli tocchi di luce , grazie al catalano Mariano Fortuny, giunto a Portici nel 1874 e al quale si ispirarono ,gli allievi, autori di delicati oli, anch’essi in mostra: Alceste Campriani, Michele Cammarano, Edoardo Dalbono, Gaetano Esposito, Enrico Gaeta, Quintilio Michetti, Nicola Palizzi, Attilio Pratella, Federico Rossano e Rubens Santoro.
Insomma, per gli amanti dell’Arte, esperti o meno esperti, una vera panacea per gli occhi e l’anima, per tutti gli altri, in questi ultimi giorni di agosto, una valida e istruttiva alternativa a costo zero al caro ombrellone e alla ressa snervante da bagnasciuga.
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