A pochi giorni dalla fine del 2019, anno nel quale si è celebrato il bicentenario de “L’Infinito”, lirica composta dal poeta ottocentesco Giacomo Leopardi, siamo andati a Torre del Greco per visitare “Villa delle Ginestre”, residenza costruita alla fine del Seicento, alle pendici del Vesuvio, dal canonico Giuseppe Simioli e acquistata nell’Ottocento dal magistrato e politico di nobili natali, Giuseppe Ferrigni, cognato del Conte Antonio Ranieri, amico del poeta di Recanati, presso la quale, quest’ultimo trascorse l’ultimo periodo della vita.
di Federica Marengo lunedì 30 dicembre 2019
“Così in questa immensità s’annega il pensier mio e naufragar m’è dolce in questo mare”: chi non conosce i versi conclusivi de “L’Infinito”? e proprio tale lirica, scritta nel 1819, a soli venti anni, dal poeta, nonché filologo e filosofo, di Recanati, Giacomo Leopardi, proprio nel 2019, ha compiuto duecento anni.
Ora, a pochi giorni dal 2020, a chiusura delle celebrazioni per la ricorrenza letteraria, la Rai in collaborazione con il Ministero delle Attività e dei Beni Culturali, ha patrocinato un’iniziativa che ha riunito per un video, in onda dal 19 al 31 dicembre su tutti i canali del servizio pubblico e sulla piattaforma Rai Play, le voci dei più affermati cantautori della musica italiana ,per recitare i versi della celebre composizione, il cui autografo è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, dov’è è stato esposto per l’occasione e a cui fu donato nel 1907, per il tramite dell’erede della vasta produzione letteraria del Leopardi , il Conte, di origine partenopea, Antonio Ranieri, amico dell’intellettuale recanatese, al termine di diverse contese giudiziarie, insieme con la quasi totalità del corpus delle opere leopardiane.
In questi giorni, quindi, sulle orme del soggiorno napoletano del poeta e intellettuale recanatese, e , ispirati dall’importante celebrazione, abbiamo deciso, di recarci in visita presso “Villa delle Ginestre”, a Torre del Greco, dove il poeta trascorse lunghi periodi del suo soggiorno partenopeo, iniziato nel 1833 e terminato con la scomparsa, avvenuta il 14 giugno 1837.
Dopo aver girato l’Italia in lungo e in largo (da Milano, a Bologna, passando per Firenze, Pisa, Ravenna, e Roma),nonostante le sue precarie condizioni di salute, Leopardi, infatti, approdò a Napoli nel 1833, su invito del Conte Antonio Ranieri , indipendentista, patriota , e, in seguito,deputato e senatore del Regno d’Italia, conosciuto a Firenze.
Qui, dopo aver preso alloggio con Ranieri e la sorella di questi, Paolina, presso alcuni appartamenti tra piazza San Ferdinando e Vico Pero, nel 1836, si stabilì a Torre del Greco, trovando ospitalità, insieme con gli inseparabili amici, nella Villa di proprietà del cognato di Ranieri, il magistrato e politico di nobile lignaggio, Giuseppe Ferrigni, detta “La Ginestra”, dopo che il poeta vi compose le sue ultime liriche : “La Ginestra o il fiore del deserto”, appunto, e “Il tramonto della Luna”.
L’edificio, costruito fra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento dal canonico Giuseppe Simioli, professore del Seminario Arcivescovile di Napoli, che , quivi, ospitò i più valenti letterati e architetti come Bernardo Tanucci e Luigi Vanvitelli (quest’ultimo realizzò alcuni ambienti della villa), nell’Ottocento fu acquistato dalla famiglia Ferrigni.
Poi, passata ad altri proprietari, tra cui i blasonati Carafa, dopo anni di incuria, passò allo Stato, che , nel 1962, ne assunse la proprietà per l’Università Federico II . Infine, data in comodato all’Ente per le ville vesuviane, fu restaurata e aperta al pubblico dal Centro Studi Leopardiani di Recanati, che dal 2006 vi organizza il Premio leopardiano “La Ginestra”, assegnato a personalità ,distintesi per i loro studi legati all’approfondimento e alla divulgazione della poesia di Leopardi.
Sebbene distante dal mare e non conforme alle altre ville vesuviane del Settecento, che lambiscono il tratto di Strada Regia, tra San Giovanni a Teduccio e Torre del Greco, la residenza che ospitò il poeta di Recanati negli ultimi mesi della sua vita, rientra nella serie di ville nobiliari dette del “Miglio d’oro”, in quanto delimitate da fecondi agrumeti e limoneti.
La villa, dunque, si distingue dalle altre per la sua collocazione ai piedi del Colle dei Camaldoli di Torre del Greco, chiamato: “Colle di Sant’Alfonso”, nella zona circostante denominata “Leopardi” , proprio in memoria del letterato-filosofo.
L’edificio, ai lati del quale scorgiamo un austero cipresso, presenta una pianta quadrata, sviluppata su due piani, cui fu aggiunto nel 1907 un portico in stile neoclassico, sostenuto da colonne doriche sulle quali poggia una vasta terrazza, affacciata ora sul Vesuvio ora sul Golfo partenopeo.
Dopo aver visitato gli ambienti, la camera di Leopardi in particolare , arredata con un mobile a cassettone in legno, uno scrittoio di legno anch’esso, delle sedie rivestite con fodere di velluto e le doghe di un letto con spalliera in ferro, ci attardiamo all’uscita della villa e , al riparo dal sole ficcante, sebbene dicembrino, ci torna in mente ciò che sul Nostro, scrisse il poeta e saggista futurista e post decadente, Giovanni Papini, gravitante intorno alle riviste culturali “Il Leonardo”, “La Voce” e “Lacerba: “Cantare il dolore fu per lui rimedio al dolore , cantare la disperazione, salvezza dalla disperazione, cantare l’infelicità fu per lui, e non per gioco di parole, l’unica felicità. In quei canti, veramente divini, il Leopardi trasformò l’angoscia in contemplativa dolcezza, il lamento in musica soave , il rimpianto dei giorni morti in visioni di splendore” e ci sembra di sentire la eco dell’ultimo canto della gloria recanatese:
“E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomber del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto , stenderà l’avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il facio mortal non renitente
Il tuo capo innocente :
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor ; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto , dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell’uomo, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali”.
©Riproduzione riservata