Seconda tappa del nostro tour estivo alla scoperta del Centro storico partenopeo: la Basilica o Monastero di Santa Chiara. Si tratta, del più grande edificio religioso in stile gotico della città, costituito da un Monastero che comprende quattro chiostri monumentali, gli scavi archeologici nell’area circostante e altre sale, una delle quali ospita il Museo dell’Opera, comprendente il coro delle monache, con resti di affreschi di Giotto, il refettorio, la sacrestia e altri ambienti connessi alla Basilica, come la chiesa delle Clarisse, ex refettorio dei frati minori.
di Federica Marengo domenica 21 luglio 2019
Il caldo impazza, la colonnina di mercurio segna i 40 gradi all’ombra, ma noi, coraggiosi e indomiti, “sprezzanti del pericolo”, ci incamminiamo lo stesso per il decumano inferiore di Spaccanapoli. Ancora con negli occhi la meraviglia dello sfarzo barocco della chiesa del Gesù Nuovo (o della Trinità Maggiore), ci accingiamo a visitare la Basilica di Santa Chiara. D’altronde, si sa: d’estate, non c’è posto migliore dove refrigerarsi ,che all’ombra (e soprattutto al fresco), dei marmi e dei tufi di una chiesa.
Usciti, dal “Gesù Nuovo”, quindi, portandoci sul lato nord-orientale della omonima piazza, percorriamo via Benedetto Croce per qualche metro ed eccoci subito arrivati dinanzi all’ingresso della Basilica.
Voluta dalla regina Sancia di Maiorca, moglie di re Roberto d’Angiò, in ossequio alla vita di clausura, la chiesa fu costruita dall’architetto Gagliardo Primario fra il 1310 e il 1328, con relativa apertura al culto nel 1330, sebbene la consacrazione a Santa Chiara, sarebbe avvenuta solo nel 1340.
La facciata, dove svetta, austero e solenne, il grande portale gotico risalente al Trecento, sormontato da un arco ribassato e da una lunetta priva di decorazioni, sopra i quali svettano lastre di piperno, si caratterizza per la struttura a capanna ed è preceduta da un pronao a tre arcate ogivali di cui la centrale inquadra la porta di ingresso in marmi rossi e gialli che incorniciano lo stemma della fondatrice. In alto, al centro, invece, si apre il rosone, mentre il sagrato antistante l’edificio è delimitato da un alto muro.
Costruita in forme del gotico provenzale, la Basilica di Santa Chiara divenne ben presto la più importante della città, anche perché vi lavorarono degli artisti tra i più importanti dell’epoca, come lo scultore Tino da Camaino e il pittore Giotto, autore, quest’ultimo, di affreschi nel coro delle monache su “Episodi dell’Apocalisse” e “Storie del Vecchio Testamento”. Oltre la chiesa-monastero per le suore clarisse, fu eretto anche, nelle vicinanze dell’edificio religioso, un luogo di clausura per i frati minori francescani, divenuto in seguito la Chiesa delle Clarisse.
Luogo di eventi rilevanti, quali la consegna, il 14 agosto 1571, a don Giovanni d’Austria del vessillo pontificio di Papa Pio V e del bastone del comando della coalizione cristiana, prima della partenza della flotta della Lega Santa per la battaglia di Lepanto contro i Turchi Ottomani, la Basilica venne ristrutturata fra il 1742 e il 1796 in forme barocche da Domenico Antonio Vaccaro e da Gaetano Buonocore, gli interni abbelliti con opere di Francesco de Mura , Sebastiano Conca e Giuseppe Bonito e il pavimento in marmo realizzato da Ferdinando Fuga nel 1762.
Bombardato dagli alleati il 4 agosto 943, durante la Seconda Guerra Mondiale, il complesso si incendiò , bruciando per quasi due giorni, nei quali andarono distrutti alcuni interni della chiesa e gli affreschi del XVIII secolo e gran parte di quelli giotteschi risalenti all’epoca dell’edificazione della struttura,di cui restarono pochi frammenti.
Nell’ottobre del 1944 , Padre Gaudenzio Dell’Aja, fu nominato “rappresentante dell’ordine dei Frati Minori per i lavori di ricostruzione della basilica”, lavori che si concentrarono sull’architettura medievale rimasta intatta, riportando così la chiesa all’aspetto originario trecentesco ed eliminando ogni traccia delle aggiunte barocche e settecentesche.
L’Edificio , quindi, fu riaperto al pubblico solo al termine dei lavori, nel 1953, e le opere scultoree sopravvissute furono spostate nelle sale del Monastero, oggi Museo dell’Opera, mentre i sepolcri monumentali, fortemente danneggiati, rimasero al’interno della chiesa.
All’esterno della Basilica di Santa Chiara, dopo aver osservato la facciata, spostandoci sulla sinistra, troviamo la torre campanaria i cui lavori di edificazione furono avviati nel 1338, ma interrotti a seguito della morte di re Roberto d’Angiò, nel 1343, causa assenza di finanziamenti. Ripresi all’inizio del Quattrocento e completati,tuttavia, furono vanificati dal terremoto del 1456, che fece crollare il campanile quasi del tutto, essendo rimasto in piedi solo il basamento in marmo, in seguito ricostruito in stile barocco e completato nel 1604.
A pianta quadrata, la torre campanaria si articola in tre ordini separati da cornicioni in marmo (nel progetto originario sarebbero dovuti essere cinque).
Se l’ordine inferiore (la sola parte originale del Trecento) è costituito da un paramento in blocchi di pietra, i due superiori (frutto di restauri successivi, l’ultimo del 1604, affidato presumibilmente a Costantino Avellone) sono in mattoncini con lesene marmoree, di ordine tuscanico, in quello inferiore e ionico, in quello superiore.
Tra il secondo e il terzo livello intercorre una trabeazione con fregi decorati con triglifi e metope recanti scolpiti i simboli liturgici francescani, invece, tra il basamento e il primo livello ci sono quattro iscrizioni angioine che ruotano su tutte le facciate del campanile e che, in caratteri gotici, narrano la storia della fondazione della Basilica dal 1310 al 1340, anche se gli avvenimenti sono ordinati in senso cronologico errato, si suppone per via di un ricollocamento erroneo durante i lavori di ricostruzione effettuati fra Quattrocento e Cinquecento.
All’interno del campanile, infine, troviamo una scala a chiocciola che conduce al tetto, recentemente in via di restaurazione per consentire al pubblico l’accesso a tutti e tre i livelli della torre.
Soffermatici sull’esterno, possiamo ora varcare la soglia della Basilica di Santa Chiara. Entrando, ci troviamo di fronte un’unica navata rettangolare, priva di transetto, con dieci cappelle per lato , sormontate da tribune continue e da bifore, sulla parete di sinistra, da trifore, su quella di destra.
Sulla controfacciata, invece, guardando il versante sinistro, troviamo il Sepolcro di Agnese e Clemenza di Durazzo, (sorelle della regina Margherita, consorte di re Carlo III D’Angiò–Durazzo), di autore ignoto e risalente agli inizi del Quattrocento. Tuttavia, la scultura appare simile, nella struttura, al monumento funebre a Maria di Valois, posto nei pressi del presbiterio e realizzato da Tino da Camaino, perciò si pensa sia stata concepita da un seguace dello scultore senese.
Alla base del monumento, scorgiamo due statue, a mo’ di cariatidi, che raffigurano la Fede e la Carità. Al centro, la cassa funebre delle due sorelle, rappresentate distese e sopra le cui figure si ergono due angeli che, aperto un tendario, presentano il gruppo scultoreo, con sul fronte la scena in bassorilievo della Pietà.
Osservando sempre la controfacciata, stavolta il suo versante destro, troviamo i resti del monumento funebre ad Antonio Penna, scolpito fra il 1407 e il 1411 da Antonio Baboccio da Piperno, su commissione dello zio del defunto, Onofrio Penna.
Il sarcofago, fu ricollocato nel 1627 all’interno della cappella di destra della Basilica, mentre il baldacchino rimase nella sua collocazione originaria, svolgendo, però, la funzione di cornice dell’affresco trecentesco della Trinità, scoperto proprio durante i lavori di smembramento del monumento funebre.
Infine, più in alto, rispetto al complesso marmoreo, scorgiamo l’affresco di una Madonna col Bambino ,dipinto da un autore vicino a Giotto e coevo alla realizzazione del sepolcro.
Portatici poi dalla controfacciata verso la zona presbiteriale, notiamo che il pavimento marmoreo presenta decorazioni tipiche del Settecento, riconducibili alla maestria di Ferdinando Fuga, unica testimonianza dei rifacimenti barocchi sopravvissuti ai bombardamenti alleati della Seconda Guerra Mondiale.
Sulla parete di fondo del presbiterio, invece, troviamo il sepolcro di re Roberto d’Angiò, opera dei fiorentini Giovanni e Pacio Bertini e ai lati del medesimo i sepolcri di Maria Durazzo (a sinistra), realizzato da un maestro durazzesco e del primogenito, Carlo d’Angiò, duca di Calabria (a destra),realizzato da Tino di Camaino, risalenti entrambi al periodo compreso fra il 1311 e il 1341.
Di fronte ai monumenti funebri, troviamo l’altare maggiore di epoca trecentesca e di autore ignoto, con un crocifisso ligneo risalente al XIV secolo, di fattura sconosciuta, ma con ogni probabilità da attribuire alla scuola senese.
Sulla parete destra del presbiterio, invece, è collocato il sepolcro di Maria di Valois, risalente al 1335 e anch’esso del Camaino , a cui vengono attribuiti con certezza: la figura giacente della defunta Maria, gli angeli reggi-cortina, le due figure che compongono la scena dell’Annunciazione ai lati del monumento sepolcrale e la Madonna col Bambino sulla cuspide.
Per chiudere poi, sempre nella zona presbiteriale della Basilica, ai lati, scorgiamo un organo a canne costruito nel 1962, ripartito in due corpi separati, alla sinistra e alla destra dell’altare, e composto da 2327 canne.
Raggiungendo le dieci cappelle del lato sinistro, ci attardiamo a visitare la prima, che ospita fin dal Dopoguerra, la tomba di Salvo D’Acquisto, il vice brigadiere dell’Arma dei Carabinieri , insignito della Medaglia d’oro al valor militare alla memoria per essersi sacrificato il 23 settembre 1943 al fine di salvare un gruppo di civili durante un rastrellamento delle truppe naziste nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
La seconda cappella, chiamata : “dei Miracoli Antoniani”, accoglie i sepolcri di Drugo e Nicola de Merloto, attribuiti al Maestro durazzesco. Il primo monumento funebre presenta sulla parte frontale della lastra cinque stemmi uguali appartenenti al casato Merloto, su quella retrostante, invece, la figura di Cristo Redentore, mentre sui lati più corti vi sono San Francesco con la Croce e il libro della regola e San Ludovico d’Angiò. La figura di Drugo (morto nel 1339) è rappresentata distesa sul sepolcro con abiti militari , mani incrociate e piedi poggianti su cani distesi, sopra il sarcofago vi sono inoltre il gruppo della Vergine col Bambino tra due santi e la figura del defunto inginocchiato.
Il secondo monumento sepolcrale, quello di Nicola de Meloto, è addossato alla parete destra e presenta nella parte frontale un bassorilievo rappresentante la Vergine col Bambino con ai lati i Santi Agnese e Paolo e Caterina e Pietro.
La terza cappella, “del Sacro Cuore di Gesù”, vede alle pareti laterali i sacelli trecenteschi di Raimondo Cabanis, gran siniscalco di re Roberto, e del figlio Perotto Cabanis, entrambi di autore ignoto. Al centro, invece, troviamo il frammento di un affresco trecentesco di un anonimo seguace di Giotto, rappresentante la Vergine col Bambino, con accanto una lastra tombale dov’è raffigurato in bassorilievo un uomo in armatura.
La quarta cappella, dedicata a San Giuseppe, presenta al centro del pavimento lo stemma della famiglia Cito, mentre sulla parete destra vi è il resto di un affresco di anonimo post giottesco raffigurante Gesù con un Santo.
La quinta cappella ospita un presepe monumentale e la sesta fornisce l’accesso laterale alla Basilica, collegando quest’ultima al cortile esterno.
La settima cappella, scampata ai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, presenta intatti gli elementi barocchi introdotti durante i lavori del XVIII secolo. Dedicata a San Francesco d’Assisi, ha alle pareti laterali due sarcofagi della famiglia Del Balzo, forse di scuola toscana. A sinistra, quello di Raimondo, a destra, quello della moglie Isabella de Apia. Sulla parete frontale, invece, vediamo la statua raffigurante San Francesco d’Assisi, realizzata nel 1616 da Michelangelo Naccherino, originariamente collocata nella Basilica di San Lorenzo Maggiore e poi spostata in Santa Chiara. La statua del Santo appare circondata da medaglioni marmorei , databili intorno al primo decennio del Seicento, raffiguranti altri componenti della famiglia. La volta, infine, reca decorazioni barocche con tondi entro cui si scorgono gli affreschi con le Storie di San Francesco, di Belisario Corenzio.
L’ottava cappella, di “Santa Maria degli Angeli”, presenta , rispettivamente sul lato sinistro e su quello destro, il sarcofago di Catello e Antonio De Vivo Piscicelli. Nella parte centrale, invece, vediamo una lastra tombale, che in origine costituiva la copertura di un altro sarcofago, dove sono scolpiti in bassorilievo tre tondi con la Vergine e il Bambino al centro e ai lati un Santo (non identificato) e Santa Caterina d’Alessandria.
La nona cappella, di “Santa Maria Francesca”, reca all’interno un sarcofago greco del IV secolo a.C., decorato con bassorilievi che rappresentano il mito di “Protesilao e Laodomia”, utilizzato nel 1632 come tomba di Giovanni Battista Sanfelice. Sul pavimento, poi, campeggia lo stemma marmoreo della casata nobiliare, mentre sulla parete centrale vediamo un bassorilievo attribuito al maestro durazzesco, con tre nicchie all’interno delle quali vi sono la Vergine, in quella centrale e il Cristo e San Giovanni, in quelle laterali.
La decima e ultima cappella, è quella dei “Martiri Francescani”, che reca alle pareti laterali i sepolcri di Paride e Marco Longobardi. Il primo, risalente al 1529 e realizzato da uno scultore rinascimentale ignoto, reca nella parte superiore un altorilievo raffigurante il Cristo risorto. Il secondo, invece, risale al periodo neoclassico. Sulla parete frontale, poi, vi sono tre formelle con i Santi Martiri Francescani, realizzate presumibilmente da Giovanni da Nola, nel Cinquecento, rappresentanti a sinistra Sant’Arcuzio, al centro, San Bernardino da Siena e, a destra , Sant’Ottone.
Visitiamo, ora, le cappelle del lato destro. Sorvolando sulla prima,che è quasi spoglia.
La seconda, invece, è intitolata a Sant’Agnello Abate e presenta sulle pareti laterali i monumenti funebri trecenteschi del Cavaliere del Nodo e di Antonio Penna, quest’ultimo realizzato da Antonio Baboccio da Piperno e facente parte del baldacchino gotico eretto sul lato destro della controfacciata della Basilica, che vede sulla lastra frontale le figure in bassorilievo della Madonna col Bambino, attorniata, a destra dai Santi Paolo, Antonio e Onofrio e , a sinistra, dai Santi Girolamo, Giovanni Battista e Ignazio. Sulla parete frontale, vediamo invece tracce di affreschi trecenteschi di scuola giottesca tra cui emerge la figura di Sant’Agnello Abate.
La terza cappella, è presumibilmente dedicata a San Benedetto Abate, ed è opera di un ignoto pittore locale post-giottesco. Sulle pareti laterali, poi, troviamo due monumenti sepolcrali dedicati a ignoti membri della famiglia Del Balzo. A sinistra, il sacello che vede nelle lastre nicchie entro cui sono scolpiti, al centro : San Paolo, San Giovanni Battista, Cristo, San Giovanni Evangelista e San Giacomo e ai due lati: Sant’Antonio Abate e Paolo. A destra, invece, vediamo un sepolcro decorato, nella lastra frontale, da un bassorilievo con la Madonna e il Bambino, ai cui lati, si ergono figure di guerrieri e agli estremi, i Santi : Caterina d’Alessandria e Pietro, Santo Stefano e un altro non identificato. Sempre sulla parete sinistra della cappella, vi sono poi due monumenti funebri a Carlo e Teofilo Mauro, entrambi risalenti a un decennio dopo la metà del Settecento e attribuiti allo scultore Gaetano Salomone, seguace di Giuseppe Sanmartino.
La quarta e la quinta cappella,private della parete divisoria, sono dedicate, la prima a San Paolo d’Alcantara e la seconda, a Sant’Antonio da Padova. Nella prima, troviamo un dipinto attribuito a Paolo De Mattei, raffigurante San Pietro d’Alcantara, e un sepolcro monumentale di una ignota nobildonna, sempre del maestro durazzesco, che nella fascia frontale presenta scolpite in bassorilievo le figure della Madonna col Bambino, di Santa Chiara e San Francesco, mentre sopra il sacello vediamo la figura giacente di una nobildonna, ritratta però con abiti monacali.
Nella seconda cappella, invece, quella di Sant’Antonio, scorgiamo un dipinto sul Santo di Nicola Maria Rossi, seguace di Luca Giordano, e decorazioni marmoree sepolcrali sulla famiglia Carbonelli di Letino attribuite a Bartolomeo Mori e ad Andrea Falcone. Al centro del pavimento, spicca poi lo stemma marmoreo di famiglia, e , a sinistra, il sarcofago di Jacopo Carbonelli, morto nel 1699, realizzato da uno scultore ignoto.
La sesta cappella, intitolata a Santa Chiara, presenta sulla parete principale un affresco post-giottesco di pittore ignoto, staccato da un altro ambiente del monastero e rappresentate Santa Chiara con devoti. Sulla parete di sinistra, invece, vediamo una tela di Pietro Bardellino, raffigurante la Morte di Santa Chiara, circoscrivibili alla fine del Settecento.
La settima cappella, è intitolata al Santissimo Sacramento e presenta al centro una tavola cinquecentesca raffigurante una Madonna delle Grazie, di autore sconosciuto. A sinistra, invece, vediamo il frammento di un monumento scultoreo attribuito alla scuola dei fratelli Bertini raffigurante la scena del Bacio di Giuda.
L’ottava cappella, “della Natività”, fino al rifacimento barocco della basilica recava sulla parete sinistra , il trecentesco sepolcro di Ludovico di Durazzo( figlio di Carlo d’Angiò, duca di Calabria, e di Maria di Durazzo), morto in tenera età, realizzato da Pacio Bertini, di cui, dopo i lavori settecenteschi, è rimasta solo la fascia sepolcrale centrale con l’altorilievo raffigurante un bambino in fasce portato in cielo da angeli. Sulla parete frontale, invece, scorgiamo una pala d’altare dipinta da Marco da Siena nel 1557, rappresentante l’Adorazione dei pastori e, nella predella, al centro,scene dell’Annunciazione, a destra, San Francesco che riceve le stimmate, a destra e, a sinistra, San Girolamo penitente.
La nona cappella, dedicata al Beato Modestino, reca sulla parete sinistra l’unica traccia di un ciclo di affreschi trecentesco: la scena della Madonna del cucito, raffigurante la Vergine intenta a cucire, mentre il Bambino l’è seduto accanto, dipinto da un pittore giottesco di scuola senese.
La decima cappella, è quella dei Borbone e, insieme con quella di San Francesco d’Assisi, ha conservato l’impianto barocco. In essa riposano i sovrani delle Due Sicilie, da Ferdinando I a Francesco II, da Maria Cristina di Savoia a Filippo di Borbone, figlio di Carlo III, morto prematuramente. Sulla parete frontale, invece, scorgiamo la tela tardo cinquecentesca dell’Incredulità di San Tommaso, dipinta dal fiorentino Girolamo Macchietti.
Completato il nostro percorso lungo le cappelle che lambiscono la navata, tornando nella zona del presbiterio, sulla destra, troviamo l’ingresso della sacrestia barocca con affreschi e arredi mobiliari risalenti al 1692, mentre in una sala adiacente vediamo un panno ricamato risalente al XVII secolo. Altri due ambienti, poi seguono la sacrestia: il vestibolo, decorato da maioliche del XVIII secolo, e una stanza con affreschi rappresentanti storie simili a quelle del coro delle monache ,quindi: scene tratte dal Giudizio Universale, Vite di Santi, Annunciazione, Adorazione dei pastori e Virtù, dipinte da un pittore fiammingo del XVI secolo.
Quest’ultima stanza consente di accedere al coro delle monache attraverso una scalinata che sale al convento. Progettato da Leonardo Vito, sul modello di una piccola chiesa che riprende le caratteristiche di una sala capitolare, il coro conserva l’arcosolio del Re Roberto, realizzato dagli scultori Giovanni e Pacio Bertini. Sulle pareti, invece, frammenti di affreschi sulle Storie del Vecchio Testamento e dell’Apocalisse dipinti da Giotto e tracce di alcuni affreschi rinascimentali.
Dall’interno della Basilica, ci spostiamo all’esterno, nel chiostro maiolicato o delle Clarisse, uno dei due chiostri, insieme con quello di San Francesco, appartenenti al complesso della Basilica.
Il chiostro o il chiostro “Grande”, fu progettato nel 1739 da Domenico Antonio Vaccaro, che su impulso dei committenti, la dinastia angioina, diede luogo a una radicale trasformazione , cancellando tutto il circondario originale, costituito da edifici religiosi, e gli interni in stile gotico, per dar spazio alle nuove forme artistiche barocche.
Il rinnovamento, tuttavia, riguardò non la struttura , che rimase gotica, ma il giardino rustico, decorato con “riggiole” maiolicate (piastrelle tipiche della Costiera sorrentino-amalfitana), eseguite da Donato e Giuseppe Massa, che rappresentano scene bucoliche napoletane. Tale opera fu possibile grazie alle donazioni di famiglie aristocratiche e in particolare grazie agli interventi della badessa Ippolita di Carmignano e della regina Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo III di Borbone, per volere delle quali fu creata una maggiore apertura verso l’esterno, in modo da rendere il complesso meno austero rispetto alla vicina Basilica gotica, e ottenere spazi più armoniosi, mediante la fusione di architettura e natura, così da indurre gli ospiti a confondersi.
Nel corso di questi interventi, le fontane trecentesche che abbellivano la Basilica furono portate all’esterno e una di queste fu rivestita di maioliche.
Scampato alla distruzione causata dal bombardamento aereo del 1943, che distrusse gran parte dei locali della vicina chiesa, il chiostro resta, dunque, una delle testimonianze barocche del monastero, insieme con due cappelle della Basilica e al pavimento di quest’ultima, progettato da Ferdinando Fuga.
Il chiostro è costituito da un porticato scandito da 72 pilastri di varia grandezza e di forma ottagonale, sormontati da archi a sesto acuto con volte a crociera, 17 sul lato nord e 16 sui restanti lati. Alle pareti, poi, vediamo cicli di affreschi barocchi di autore ignoto su Storie Francescane risalenti al Trecento e al Seicento, di cui poco sappiamo per via della perdita di documenti relativi al complesso durante la Seconda Guerra Mondiale , mentre sul lato interno del porticato troviamo muretti decorati con riggiole (piastrelle) raffiguranti paesaggi.
I pilastri del chiostro sorreggono un terrazzo scandito da celle, al di sopra del quale troviamo un secondo terrazzo “luogo di delizie”, poiché offre una veduta panoramica della città e del Golfo.
Soffermandoci sulla struttura del chiostro, vediamo che esso è attraversato da due viali, a formare una croce, su un piano sollevato rispetto a quello dei portici laterali, lambiti da 64 pilastri maiolicati di forma ottagonale , decorati con figure di fiori e frutta.
I due viali che dividono il giardino, quindi, sono fiancheggiati da sedili e colonne rivestiti anch’essi da maioliche con Paesaggi, Scene campestri, Mascherate, Scene mitologiche e scene della vita quotidiana a Napoli fra il Seicento e il Settecento e le sue allegorie , con riferimenti ai quattro elementi: terra, aria, fuco e acqua.
Tra le aiuole, scorgiamo anche due fontane con fondo maiolicato, una delle quali ornata da quattro sculture di leoni del XIV secolo.
Sul lato di servizio del chiostro, a nord , era ubicato un cimitero, poi scomparso dopo i lavori di rimaneggiamento del Settecento. Non è scomparso, invece, sempre su questo stesso lato, l’accesso alla Scala Santa, costruita sul finire del XVIII secolo per volere della nobile badessa Teresa Gattola, appartenente a una delle famiglie aristocratiche più impegnate nel restauro del chiostro.
Il Chiostro di San Francesco, invece, è più piccolo, ed è collocato alle spalle del refettorio e del coro delle monache. La struttura ha subito nel tempo numerosi rimaneggiamenti, tra cui l’ultimo, quello post-bellico, che gi ha conferito l’aspetto attuale. Gli unici elementi originari sono le colonne che compongono le arcate, risalenti agli anni della costruzione dell’edificio religioso.
Fanno parte poi della Chiesa delle Clarisse, (edificata in seguito alla trasformazione in epoca barocca del convento e del refettorio dei frati minori francescani) , il Chiostro dei Frati Minori e il Chiostro di Servizio. Il primo, che, per dimensioni, è secondo a quello del monastero, a differenza del Chiostro maiolicato, non presenta rimaneggiamenti di epoca settecentesca, in quanto i religiosi, essendo in numero ridotto rispetto al vicino ordine femminile e, avendo mezzi economici limitati, non investirono in ammodernamenti e restauri, lasciando la struttura invariata.
Infine, vi è il Chiostro dei Servizi, ovvero quello più antico, che risale al XIV secolo, pur risultando frammentato.
Terminata, così, la nostra seconda tappa, in giro per il centro storico di Napoli, proseguiamo il nostro cammino alla scoperta di nuovi “tesori” architettonici e monumentali della capoluogo partenopeo.
Mescolandoci nuovamente alla folla che anima ogni giorno i decumani, dopo aver percorso l’intera Via Benedetto Croce, ci ritroviamo in Piazza San Domenico Maggiore. Qui, veniamo travolti dalla musica di un duo di musicisti brasiliani che ha appena intonato con la chitarra un samba, incalzato, due passi più avanti, da un gruppo folkloristico che danza sulle note di una “tammurriata”. Il Centro Storico di Napoli è anche questo: contaminazione tra culture diverse, tra antichità e contemporaneità. Rimaniamo, quindi, ancora un po’ assorti, sospesi tra le atmosfere carioca di Copacabana e quelle in stile “L’oro di Napoli” di marottiana memoria, prima di renderci conto di essere arrivati alla nostra prossima destinazione: la Chiesa di San Domenico Maggiore.
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