di Federica Marengo lunedì 10 novembre 2025

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-Ieri, domenica 9 novembre, Papa Leone XIV ha celebrato la Messa nella Basilica di San Giovanni in Laterano, in occasione della solennità del 125° anniversario della Dedicazione della Basilica Lateranense o Basilica del Salvatore ad opera di Papa Silvestro I°, la Chiesa più antica e Cattedrale madre di tutte le Chiese, la prima ad essere costruita a Roma e nell’Occidente e la prima dell’Impero Romano, in quanto istituita nel 324 d.C., dopo che l’imperatore Costantino , nel 313 a.C., concesse la libertà di culto ai cristiani e donò al Papa il palazzo del Laterano, accanto al quale fu eretta, dando così riconoscimento al Cristianesimo nella vita pubblica.
Quindi, il Pontefice, al termine della proclamazione del Vangelo, ha pronunciato la Sua omelia, nella quale ha sottolineato come la Dedicazione della Basilica Lateranense non sia solo “un fatto storico importantissimo per la vita della Chiesa”, ma anche “un segno della Chiesa vivente, edificata con pietre scelte e preziose in Cristo Gesù, pietra angolare”, ricordando ai fedeli e alle fedeli come essi, in quanto pietra vivente, formino sulla terra un tempio spirituale.
Da qui, il Santo Padre ha iniziato la Sua riflessione sull’ “assemblea dei fedeli”, sulla “società dei credenti” e sul loro modo di “essere Chiesa”, partendo dalle fondamenta dell’edificio, su cui ha detto: “La loro importanza è evidente, in modo per certi versi addirittura inquietante. Se chi lo ha costruito, infatti, non avesse scavato a fondo, fino a trovare una base sufficientemente solida su cui erigere tutto il resto, l’intera costruzione sarebbe crollata da tempo, o rischierebbe di cedere ad ogni istante, così che anche noi, stando qui, correremmo un serio pericolo. Chi ci ha preceduto, invece, per fortuna, ha dato alla nostra Cattedrale basi solide, scavando in profondità, con fatica, prima di iniziare ad innalzare le mura che ci accolgono, e questo ci fa sentire molto più tranquilli”.
Pertanto, ha evidenziato Papa Leone XIV, “Anche noi, infatti, operai della Chiesa vivente, prima di poter erigere strutture imponenti, dobbiamo scavare, in noi stessi e attorno a noi, per eliminare ogni materiale instabile che possa impedirci di raggiungere la nuda roccia di Cristo”. Ce ne parla esplicitamente San Paolo, nella seconda Lettura, quando dice che “nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” E questo vuol dire tornare costantemente a Lui e al suo Vangelo, docili all’azione dello Spirito Santo. Il rischio, altrimenti, sarebbe di sovraccaricare di pesanti strutture un edificio dalle basi deboli”, invitando, poi, a non essere “frettolosi e superficiali”, ma a scavare a fondo “ liberi dai criteri del mondo, che troppo spesso pretende risultati immediati, perché non conosce la sapienza dell’attesa”, mentre “la storia millenaria della Chiesa ci insegna che solo con umiltà e pazienza si può costruire, con l’aiuto di Dio, una vera comunità di fede, capace di diffondere carità, di favorire la missione, di annunciare, di celebrare e di servire quel Magistero apostolico di cui questo Tempio è la prima sede”.
Umiltà, ha proseguito il Pontefice, riferendosi al brano del Vangelo del giorno, tratto da (Luca 19,1-10), che connota Zaccheo “ uomo ricco e potente”, che “ sente il bisogno di incontrare Gesù”, ma che “ si accorge, però, di essere troppo piccolo per poterlo vedere, e così si arrampica su un albero, con un gesto insolito e inappropriato per una persona del suo rango, abituata a ricevere quello che vuole su un piatto, al banco delle imposte, come un tributo dovuto. Qui, invece, la strada è più lunga e quel salire tra i rami per Zaccheo significa riconoscere il proprio limite e superare i freni inibitori dell’orgoglio. In questo modo può incontrare Gesù, che gli dice: “Oggi devo fermarmi a casa tua”. Da lì, da quell’incontro, comincia per lui una vita nuova”.
Tuttavia, ha sottolineato il Santo Padre, nel “grande cantiere di Dio”, cui i fedeli e le fedeli sono chiamati a lavorare “modellandosi sapientemente secondo i Suoi disegni di salvezza”, vi sono anche “fatica e problemi da risolvere, a volte complessi, nei quali le comunità cristiane crescono ogni giorno, condividendo i carismi, sotto la guida dei Pastori”, come testimonia la Chiesa di Roma “in questa fase attuativa del Sinodo, in cui ciò che è maturato in anni di lavoro chiede di passare attraverso il confronto e la verifica “sul campo”, fatto che comporta un cammino in salita, ma per cui “non bisogna scoraggiarsi “, ma “ continuare a lavorare, con fiducia, per crescere insieme”.
Infine, giunto a conclusione della Sua omelia, Papa Leone XIV, citando San Giovanni Paolo II , che definì la Basilica di San Giovanni in Laterano, “madre”, “mamma” di tutte le Chiese, si è soffermato su un aspetto essenziale della missione di una Cattedrale: la liturgia, sottolineando: “In essa ritroviamo tutti i temi cui abbiamo accennato: siamo edificati come tempio di Dio, come sua dimora nello Spirito, e riceviamo forza per predicare Cristo nel mondo. La sua cura, pertanto, nel luogo della Sede di Pietro, dev’essere tale da potersi proporre ad esempio per tutto il popolo di Dio, nel rispetto delle norme, nell’attenzione alle diverse sensibilità di chi partecipa, secondo il principio di una sapiente inculturazione e al tempo stesso nella fedeltà a quello stile di solenne sobrietà tipico della tradizione romana, che tanto bene può fare alle anime di chi vi partecipa attivamente. Si ponga ogni attenzione affinché qui la bellezza semplice dei riti possa esprimere il valore del culto per la crescita armonica di tutto il Corpo del Signore. Sant’Agostino diceva che la «bellezza non è che amore, e amore è la vita”. La liturgia è un ambito in cui questa verità si realizza in modo eminente; e mi auguro che chi si accosta all’Altare della Cattedrale di Roma possa poi partire pieno di quella grazia con cui il Signore vuole inondare il mondo”.
Finte le celebrazioni, alle 12:00, come di consueto, il Pontefice si è affacciato alla finestra dello studio, nel Palazzo Apostolico Vaticano, per recitare l’Angelus insieme con i fedeli e le fedeli riuniti in Piazza San Pietro e con quelli collegati attraverso i diversi mass media, ma prima ha pronunciato un breve discorso, nel quale, tornando sulla solennità della Dedicazione della Basilica Lateranense, ha detto: “Nel giorno della Dedicazione della Basilica Lateranense contempliamo il mistero di unità e di comunione con la Chiesa di Roma, chiamata ad essere la madre che con premura si prende cura della fede e del cammino dei cristiani sparsi nel mondo. La Cattedrale della diocesi di Roma e la sede del successore di Pietro, come sappiamo, non è soltanto un’opera di straordinaria valenza storica, artistica e religiosa, ma rappresenta anche il centro propulsore della fede affidata e custodita dagli Apostoli e della sua trasmissione lungo il corso della storia. La grandezza di questo mistero rifulge anche nello splendore artistico dell’edificio, che proprio nella navata centrale accoglie le dodici grandi statue degli Apostoli, primi seguaci del Cristo e testimoni del Vangelo. Questo ci rimanda ad uno sguardo spirituale, che ci aiuta ad andare oltre l’aspetto esteriore, per cogliere nel mistero della Chiesa ben più di un semplice luogo, di uno spazio fisico, di una costruzione fatta di pietre; in realtà, come il Vangelo ci ricorda nell’episodio della purificazione del Tempio di Gerusalemme compiuta da Gesù , il vero santuario di Dio è il Cristo morto e risorto. Egli è l’unico mediatore della salvezza, l’unico redentore, Colui che legandosi alla nostra umanità e trasformandoci col suo amore, rappresenta la porta che si spalanca per noi e ci conduce al Padre. E, uniti a Lui, anche noi siamo pietre vive di questo edificio spirituale. Noi siamo la Chiesa di Cristo, il Suo corpo, le sue membra chiamate a diffondere nel mondo il Suo Vangelo di misericordia, di consolazione e di pace, attraverso quel culto spirituale che deve risplendere anzitutto nella nostra testimonianza di vita. Fratelli e sorelle, è in questo sguardo spirituale che dobbiamo allenare il cuore. Tante volte, le fragilità e gli errori dei cristiani, insieme a tanti luoghi comuni e pregiudizi, ci impediscono di cogliere la ricchezza del mistero della Chiesa; la sua santità, infatti, non risiede nei nostri meriti, ma nel «dono del Signore, mai ritrattato», che continua a scegliere «come contenitore della sua presenza, con amore paradossale, anche e proprio le sporche mani degli uomini”. Camminiamo allora nella gioia di essere il Popolo santo che Dio si è scelto e invochiamo Maria, madre della Chiesa, perché ci aiuti ad accogliere Cristo e ci accompagni con la sua intercessione”.
A seguire, nel momento dei saluti, dopo la preghiera dell’Angelus, il Pontefice ha espresso vicinanza alle popolazioni delle Filippine colpite da un violento tifone, assicurando le Sue preghiere per i defunti e i loro familiari, per i feriti e gli sfollati e , “vivo apprezzamento per quanti, ad ogni livello, si stanno impegnando a costruire la pace nelle diverse regioni segnate dalla guerra”, evidenziando: “Nei giorni scorsi, abbiamo pregato per i defunti e tra questi purtroppo ce ne sono tanti uccisi nei combattimenti e nei bombardamenti, benché fossero civili, bambini, anziani, ammalati. Se si vuole veramente onorare la loro memoria, si cessi il fuoco e si metta ogni impegno nelle trattative”.
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