-Stamane, Papa Francesco ha presieduto la Messa di Pentecoste nella Basilica di San Pietro, alla presenza di 50 fedeli, il numero più alto dalla fine delle misure restrittive anti contagio che da marzo avevano imposto la celebrazione dei riti in assenza di popolo. Nel corso dell’omelia, il Pontefice ha ricordato come lo Spirito Santo, disceso sugli Apostoli, rappresenti l’unità nella diversità, che caratterizza la Chiesa, compatta, pur nelle differenze presenti all’interno del suo popolo e come,appellandoci ad esso, possiamo liberarci da : narcisismo, vittimismo e pessimismo e donarci gli uni agli altri. A seguire, poi, la recita del Regina Caeli dalla finestra del Palazzo Apostolico: la prima volta, a quasi tre mesi dalla chiusura del Paese, causa emergenza pandemia da Covid19. Nella preghiera del Santo Padre, le popolazioni amazzoniche duramente colpite dal virus Sars Cov2, ma anche quanti , tra medici, operatori sanitari, infermieri e volontari hanno dato la vita per assistere e sostenere i malati.
di Federica Marengo domenica 31 maggio 2020
All’indomani della preghiera del Rosario, pronunciata presso la Grotta di Lourdes, all’interno dei Giardini Vaticani, in collegamento con i maggiori santuari di tutto il mondo, per chiedere alla Madonna la fine della pendemia, stamane, Papa Francesco, ha officiato la Messa di Pentecoste, ricordando l’episodio evangelico della discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, a cinquanta giorni dalla Risurrezione di Gesù, inizio della missione della Chiesa nel mondo.
Alla presenza di cinquanta persone, (il numero più alto di fedeli, dalla fine delle misure restrittive anti contagio, disposte su Decreto del Cardinale Vicario della Diocesi di Roma, De Donatis, e che avevano imposto la celebrazione dei riti in assenza di popolo), il Pontefice ha principiato l’omelia, soffermandosi sullo Spirito Santo, simbolo dell’unità della Chiesa nella diversità: ““Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito”. Così scrive ai Corinzi l’apostolo Paolo. E prosegue: “Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio”. Diversi e uno: San Paolo insiste a mettere insieme due parole che sembrano opporsi. Vuole dirci che lo Spirito Santo è quell’uno che mette insieme i diversi; e che la Chiesa è nata così: noi, diversi, uniti dallo Spirito Santo. Andiamo dunque all’inizio della Chiesa, al giorno di Pentecoste. Guardiamo gli Apostoli: tra di loro c’è gente semplice, abituata a vivere del lavoro delle proprie mani, come i pescatori, e c’è Matteo, che era stato un istruito esattore delle tasse. Ci sono provenienze e contesti sociali diversi, nomi ebraici e nomi greci, caratteri miti e altri focosi, visioni e sensibilità differenti. Tutti erano differenti. Gesù non li aveva cambiati, non li aveva uniformati facendone dei modellini in serie. No. Aveva lasciato le loro diversità e ora li unisce ungendoli di Spirito Santo. L’unione, l’unione di loro diversi ,arriva con l’unzione. A Pentecoste, gli Apostoli comprendono la forza unificatrice dello Spirito. La vedono coi loro occhi quando tutti, pur parlando lingue diverse, formano un solo popolo: il popolo di Dio, plasmato dallo Spirito, che tesse l’unità con le nostre diversità, che dà armonia,perché nello Spirito c’è armonia. Lui è l’armonia”.
Quindi, il riferimento alla Chiesa di oggi e alla “tentazione” delle divisioni: “Anche tra noi,ci sono diversità, ad esempio di opinioni, di scelte, di sensibilità. Ma la tentazione è sempre quella di difendere a spada tratta le proprie idee, credendole buone per tutti, e andando d’accordo solo con chi la pensa come noi. E questa è una brutta tentazione che divide. Ma questa è una fede a nostra immagine, non è quello che vuole lo Spirito. Allora si potrebbe pensare che a unirci siano le stesse cose che crediamo e gli stessi comportamenti che pratichiamo. Ma c’è molto di più: il nostro principio di unità è lo Spirito Santo. Lui ci ricorda che anzitutto siamo figli amati di Dio; tutti uguali, in questo, e tutti diversi. Lo Spirito viene a noi, con tutte le nostre diversità e miserie, per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle!. Ripartiamo da qui, guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo. Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico”.
Poi, Papa Francesco ha ricordato come lo Spirito Santo fosse stato donato da Gesù agli Apostoli non perché lo coltivassero in gruppi chiusi, nel loro “nido”, perché: “questa è una brutta malattia, che può venire alla Chiesa: la Chiesa non comunità, non famiglia, non madre, ma nido. “Egli”, invece, “apre, rilancia, spinge al di là del già detto e del già fatto, Gesù spinge oltre i recinti di una fede timida e guardinga. E gli Apostoli vanno: impreparati, si mettono in gioco, escono. Un solo desiderio li anima: donare quello che hanno ricevuto. È bello quell’inizio della Prima Lettera di Giovanni: “Quello che noi abbiamo ricevuto e abbiamo visto, diamo a voi”.
Infatti, è il dono, il segreto dello Spirito Santo, perché : “Gesù vive donandosi e in questo modo ci tiene insieme, facendoci partecipi dello stesso dono. È importante credere che Dio è dono, che non si comporta prendendo, ma donando. Perché è importante? Perché da come intendiamo Dio dipende il nostro modo di essere credenti. Se abbiamo in mente un Dio che prende, che si impone, anche noi vorremo prendere e imporci: occupare spazi, reclamare rilevanza, cercare potere. Ma se abbiamo nel cuore Dio che è dono, tutto cambia. Se ci rendiamo conto che quello che siamo è dono suo, dono gratuito e immeritato, allora anche noi vorremo fare della stessa vita un dono. E amando umilmente, servendo gratuitamente e con gioia, offriremo al mondo la vera immagine di Dio. Lo Spirito, memoria vivente della Chiesa, ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci; non conservandoci, ma donandoci”.
Infine, l’invocazione allo Spirito Santo, affinché liberi la società e il mondo dai tre principali ostacoli che impediscono di donarsi agli altri: narcisismo, vittimismo e pessimismo, perché “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendosi in se stessi”: “Il narcisismo”, infatti, “ fa idolatrare se stessi, fa compiacere solo dei propri tornaconti. Il narcisista pensa: “La vita è bella, se io ci guadagno”. E così arriva a dire: “Perché dovrei donarmi agli altri?”. In questa pandemia, quanto fa male il narcisismo, il ripiegarsi sui propri bisogni, indifferenti a quelli altrui, il non ammettere le proprie fragilità e i propri sbagli. Ma anche il secondo nemico, il vittimismo, è pericoloso. Il vittimista si lamenta ogni giorno del prossimo: “Nessuno mi capisce, nessuno mi aiuta, nessuno mi vuol bene, ce l’hanno tutti con me!”. Quante volte abbiamo sentito queste lamentele! E il suo cuore si chiude, mentre si domanda: “Perché gli altri non si donano a me?”. Nel dramma che viviamo, quant’è brutto il vittimismo! Pensare che nessuno ci comprenda e provi quello che proviamo noi. Questo è il vittimismo. Infine c’è il pessimismo. Qui la litania quotidiana è: “Non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa…”. Il pessimista se la prende col mondo, ma resta inerte e pensa: “Intanto a che serve donare? È inutile”. Ora,nel grande sforzo di ricominciare, quanto è dannoso il pessimismo,il vedere tutto nero, il ripetere che nulla tornerà più come prima! Pensando così, quello che sicuramente non torna è la speranza. In questi tre, l’idolo narcisista dello specchio, il dio-specchio; il dio-lamentela: “io mi sento persona nelle lamentele”; e il dio-negatività: “tutto è nero, tutto è scuro”, ci troviamo nella carestia della speranza e abbiamo bisogno di apprezzare il dono della vita, il dono che ciascuno di noi è. Perciò abbiamo bisogno dello Spirito Santo, dono di Dio che ci guarisce dal narcisismo, dal vittimismo e dal pessimismo, ci guarisce dallo specchio, dalle lamentele e dal buio”.
A seguire, poi, il Regina Caeli, per la prima volta dopo la chiusura del Paese e la sospensione delle celebrazioni in presenza di popolo, causa Covid19, recitato dalla finestra del Palazzo Apostolico, mentre in piazza San Pietro erano presenti diversi fedeli , tutti a rigorosa distanza di sicurezza e con mascherine, dopo aver superato la prova del termoscanner e la rilevazione della temperatura corporea.
“Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi che la piazza è aperta, possiamo tornare. È un piacere!”, ha dunque esordito il Pontefice, rievocando e commentando l’episodio evangelico della discesa dello Spirito Santo sulla prima comunità cristiana: “Il Vangelo odierno ci riporta alla sera di Pasqua e ci mostra Gesù risorto che appare nel Cenacolo, dove si sono rifugiati i discepoli. Avevano paura. Stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!””.Queste prime parole pronunciate dal Risorto: “Pace a voi”, sono da considerare più che un saluto: esprimono il perdono, il perdono accordato ai discepoli che, per dire la verità, lo avevano abbandonato. Sono parole di riconciliazione e di perdono. E anche noi, quando auguriamo pace agli altri, stiamo dando il perdono e chiedendo pure il perdono. Gesù offre la sua pace proprio a questi discepoli che hanno paura, che stentano a credere a ciò che pure hanno veduto, cioè il sepolcro vuoto, e sottovalutano la testimonianza di Maria di Magdala e delle altre donne. Gesù perdona, perdona sempre, e offre la sua pace ai suoi amici. Non dimenticatevi: Gesù non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Perdonando e radunando attorno a sé i discepoli, Gesù fa di essi una Chiesa, la sua Chiesa, che è una comunità riconciliata e pronta alla missione. Riconciliata e pronta alla missione. Quando una comunità non è riconciliata, non è pronta alla missione: è pronta a discutere dentro di sé, è pronta alle [discussioni] interne. L’incontro con il Signore risorto capovolge l’esistenza degli Apostoli e li trasforma in coraggiosi testimoni. Infatti, subito dopo dice: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Queste parole fanno capire che gli Apostoli sono inviati a prolungare la stessa missione che il Padre ha affidato a Gesù. «Io mando voi»: non è tempo di stare rinchiusi, né di rimpiangere: rimpiangere i “bei tempi”, quei tempi passati col Maestro. La gioia della risurrezione è grande, ma è una gioia espansiva, che non va tenuta per sé, è per darla. Nelle domeniche del Tempo pasquale abbiamo ascoltato dapprima questo stesso episodio, poi l’incontro con i discepoli di Emmaus, quindi il buon Pastore, i discorsi di addio e la promessa dello Spirito Santo: tutto questo è orientato a rafforzare la fede dei discepoli, e anche la nostra, in vista della missione. E proprio per animare la missione, Gesù dona agli Apostoli il suo Spirito. Dice il Vangelo: «Soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo””. Lo Spirito Santo è fuoco che brucia i peccati e crea uomini e donne nuovi; è fuoco d’amore con cui i discepoli potranno “incendiare” il mondo, quell’amore di tenerezza che predilige i piccoli, i poveri, gli esclusi… Nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione abbiamo ricevuto lo Spirito Santo con i suoi doni: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, conoscenza, pietà, timore di Dio. Quest’ultimo don, il timore di Dio, è proprio il contrario della paura che prima paralizzava i discepoli: è l’amore per il Signore, è la certezza della sua misericordia e della sua bontà, è la fiducia di potersi muovere nella direzione da Lui indicata, senza che mai ci manchino la sua presenza e il suo sostegno.La festa di Pentecoste rinnova la consapevolezza che in noi dimora la presenza vivificante dello Spirito Santo. Egli dona anche a noi il coraggio di uscire fuori dalle mura protettive dei nostri “cenacoli”, dei gruppetti, senza adagiarci nel quieto vivere o rinchiuderci in abitudini sterili. Eleviamo ora il nostro pensiero a Maria. Lei era lì, con gli Apostoli, quando è venuto lo Spirito Santo, protagonista con la prima Comunità dell’esperienza mirabile della Pentecoste, e preghiamo Lei perché ottenga per la Chiesa l’ardente spirito missionario”.
In conclusione: il ricordo del Sinodo Amazzonico, tenutosi sette mesi fa, la preghiera, nella Giornata Nazionale del Sollievo dedicata ai malati, per le popolazioni amazzoniche, duramente colpite dalla pandemia, e per quanti tra medici, infermieri, volontari e operatori della salute hanno donato la loro vita pur di assistere e sostenere i sofferenti e l’auspicio che lo Spirito Santo discenda tanto sulla Chiesa quanto sull’intera famiglia umana, affinché queste “escano dalla crisi più unite e non più divise, perché “da una crisi come questa non si esce uguali, come prima: si esce o migliori o peggiori” e solo cambiando in meglio, si può “costruire positivamente la post-crisi della pandemia”.
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