Domenica scorsa, 1° dicembre, in occasione della prima domenica di Avvento, Papa Francesco si è recato a Greccio, paesino in provincia di Rieti, sull’Appennino Laziale, sede di un Santuario francescano e di una grotta,dove leggenda vuole, San Francesco abbia dato vita nella notte di Natale del 1223, a una rievocazione, con personaggi viventi della nascita di Cristo,ovvero : al primo presepe al mondo. Già oggetto della visita di S. Giovanni Paolo II, il 2 gennaio 1983 e dello stesso Papa Bergoglio, che vi si recò il 4 gennaio 2016 in forma privata, l’edificio sacro è stato scenario della consegna da parte del Pontefice della lettera apostolica “Admirabile signum”, sul significato e il valore del presepe. Inaugurati poi, il 5 dicembre in piazza San Pietro il presepe e l’albero di Natale, provenienti da Trento e dall’Altopiano di Asiago, visitabili fino al 12 gennaio 2020. Infine, donato dal Gruppo Presepio Artistico Parè di Conegliano, il presepe posto nell’Aula Paolo VI.
di Federica Marengo sabato 7 dicembre 2019
Greccio, noto anche come “seconda Betlemme”, è un paesino in provincia di Rieti, incassato sulle montagne dell’Appennino laziale, nei pressi dell’omonimo borgo medievale, sede di uno dei quattro santuari (di Fonte Colombo, della Foresta e di Poggio Bustone), eretti da San Francesco nella Valle Santa, ed è qui che Papa Francesco si è recato, per la seconda volta, dopo la visita in forma privata del 4 gennaio 2016, nel primo pomeriggio di domenica scorsa, 1° dicembre, in occasione della prima domenica d’Avvento, per pregare nel luogo sacro e consegnare ai fedeli la lettera apostolica “Admirabile signum”, sul significato e il valore del presepe.
In questo Santuario con grotta sottostante, eretto sul feudo di proprietà di tale Giovanni Velita, già visitato da S.Giovanni Paolo II, il 2 gennaio 1983, dove leggenda vuole il Santo patrono d’Italia abbia dato luogo nella notte di Natale del 1223 alla prima rappresentazione della nascita di Cristo, Papa Bergoglio è arrivato nel primo pomeriggio, intorno alle 15:40.
Quindi, sceso dall’elicottero papale, si è dapprima fermato a salutare malati e disabili con le loro famiglie, per poi recarsi in auto nella grotta del Santuario dove è stato accolto dal Vescovo di Rieti, Domenico Pompili,, dal guardiano del sito , padre Francesco Rossi, dall’arcivescovo Rino Fisischella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione e da padre Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia.
Poi, dopo aver salutato la comunità dei francescani, una volta all’interno della grotta, si è seduto in raccoglimento e preghiera davanti all’altare e all’affresco della Madonna che allatta il Bambino Gesù, proprio lì dove San Francesco realizzò il primo presepe della storia.
Momento, quest’ultimo, dopo il quale ha firmato la lettera apostolica “Admirabile signum”, portagli da Mons. Fisichella.
A questo punto, scambiate alcune battute con i religiosi presenti nella cappellina, ai quali ha raccomandato, citando San Francesco, di “annunciare il Vangelo se fosse necessario anche con la parola”, è salito al Santuario per presiedere in chiesa alla celebrazione della Parola e per pronunciare un breve discorso, non senza però salutare prima i presenti all’esterno dell’edificio, tra cui : un gruppo di giovani in abiti da figuranti del presepe e dei bambini.
All’interno del Santuario, in cui erano presenti anche il Vescovo emerito di Rieti, Delio Lucarelli, e i sindaci di zona, il Papa ha sottolineato la dimensione della semplicità che il presepe ispira e ha ricordato che davanti a questa rappresentazione “scopriamo quanto sia importante per la nostra vita, così spesso frenetica, trovare momenti di silenzio e di preghiera”, per poi procedere alla consegna simbolica, ad alcuni fedeli, della lettera con cui ,soffermandosi sui diversi personaggi del presepe, ci conduce dinanzi alla Grotta di Betlemme, al cospetto di Gesù appena nato e della Sacra Famiglia.
“Il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede”, ha scritto il Pontefice, continuando , “ognuno di noi deve farsi portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia. La scena che è posta sotto i nostri occhi esprime la saggezza di cui abbiamo bisogno per cogliere l’essenziale”. E, infine: “Il presepe è una tradizione che bisogna continuare in casa, come pure nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri e nelle piazze”.
Ecco , dunque, di seguito, alcuni passaggi della lettera apostolica del Santo Padre.
“Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.
Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali.
In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).
Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).
Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario.
Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.
«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.
Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.
I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.
Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina.
Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).
Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.
Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.
La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.
«La vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume il mistero dell’Incarnazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo.
Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.
Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.
Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.
I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.
Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.
Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli”.
Inaugurati poi, il 5 dicembre, alle 16:30, dal Card. Giuseppe Bertello, e dal Vescovo Fernando Vérgez Alzaga, rispettivamente il presidente e il segretario del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, il presepe, proveniente da Scurelle (comune della Valsugana, in provincia di Trento) e l’illuminazione dell’albero di Natale (un abete rosso di 26 metri di altezza, giunto dall’Altopiano di Asiago) allestiti in piazza San Pietro e che ivi rimarranno sino al 12 gennaio 2020, festa del Battesimo del Signore.Entrambi, albero e presepe, ha riferito il Governatorato, in una nota: “Sono legati insieme dal comune ricordo della tempesta dell’ottobre-novembre 2018 che devastò molte zone del Triveneto”, e proprio da quell’area proviene il Gruppo Presepio Artistico Parè di Conegliano , in provincia di Treviso, che ha curato l’allestimento nell’Aula Paolo VI del presepe, alla cui realizzazione ha contribuito, ognuno con un oggetto di famiglia e con la propria manodopera, tutta la comunità di montagna (1400 abitanti) : dagli Alpini, ai Vigili del Fuoco , passando per la scuola Elementare , la parrocchia e il Gruppo Missionario, fino ai cittadini e alle imprese.
Le statue, a grandezza naturale (120 centimetri), sono tutte in legno, scolpito a mano e l’espressività dei volti è stata curata dall’artigiano Felix Deflorian, e dai figli di quest’ultimo, Maria Rosa e Tiziano. Ventitré, i personaggi raffigurati tipici delle valli trentine, come il Kromaro, venditore itinerante di stampe religiose , la giovane casara con in mano la Pigna, strumento tradizionale usato per fare il burro , o la donna che fila la lana.
Presenti inoltre due casette: la stalla, ovvero la Lessinia, costituita da due archi gotici a sesto acuto, in cui è posta la Natività e la Casera, caratteristica abitazione del Lagorai, e riferimenti alla tempesta del 2018, con tronchi spezzati e alberi sradicati posti attorno al presepe, provenienti dal bosco trentino.
Infine, l’impianto di illuminazione artistica, è a basso impatto ambientale e funzionale agli scenari richiesti, grazie ai led regolabili nell’intensità luminosa, nella temperatura di colore e nei tempi di accensione.
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