di Federica Marengo venerdì 22 marzo 2024
-La Storia dell’Arte e il dinamiche socio-politiche fra Cinquecento e Seicento , poste in correlazione con il ruolo sociale svolto dalle donne potenti dell’epoca, tutte dipinte in ritratti conservati in collezioni private : questi, gli elementi su cui si incentra il saggio “Le Belle. Ritratti femminili nelle stanze del potere” di Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese di Roma, docente di Storia dell’Arte, curatrice di mostre e cataloghi in Italia e all’estero, al cui lavoro di ricerca si deve il ritrovamento del dipinto di Caravaggio “La cattura di Cristo”, ora alla National Gallery di Dublino, pubblicato nel gennaio 2024 da Mondadori , nella collana “Le Scie”.
Il racconto ha inizio dalla “serie di Belle”, signore dell’aristocrazia, dipinte nel 1670 da Jacob Ferdinand Voet, pittore di origini olandesi, in ritratti collocati in una stanza di Palazzo Chigi ad Ariccia.
Ad essere raffigurate in questi ritratti sono donne in vista, come : le sorelle Maria e Ortensia Mancini, nipoti del cardinale Giulio Mazzarino, appartenenti all’aristocrazia romana che, attraverso sapienti strategie, svolgevano un ruolo determinante nell’assicurare l’affermazione della propria famiglia presso la corte , ordendo la sottile trama di matrimoni, alleanze e concessioni di favori, ma anche incidendo sulle dinamiche del potere papale, come fecero le due Olimpie, la Maidalchini e la Aldobrandini, con il papato di Innocenzo X( 1644-1655).
Ben presto, questa serie fu replicata presso le altre corti italiane ed europee, sempre servendosi della modalità di raffigurazione del ritratto, su cui l’autrice del saggio, la direttrice della Galleria Borghese e storica dell’Arte, Cappelletti, si sofferma, illustrandone le caratteristiche, e, spiegando che ritrarre voleva dire per l’artista far vivere più a lungo della persona ritratta in esso la propria opera. Per questo il ritratto era connesso al tema della memoria, non solo dell’opera stessa, ma anche del soggetto rappresentato.
Nel saggio, l’autrice fa un’ampia digressione proprio sulla nascita del ritratto, raccontata dallo scrittore latino Plinio nella sua opera Naturalis Historia, associando una storia d’amore all’invenzione di questo modo rappresentativo. Secondo l’aneddoto, infatti, la notte prima del viaggio del suo amato, una fanciulla avrebbe avvicinato la fiamma al volto di quest’ultimo, proiettandone i contorni sul muro, ripassandoli per poi fissare l’immagine, trasformata in un modello di argilla dal padre, in modo da conservare l’amato nella memoria.
Il ritratto, inoltre, aveva anche la funzione di spingere chi lo guardava a compiere le stesse gesta valorose e virtuose della persona ritratta, associando alla memoria anche i concetti di “virtus” e di “exemplum”, validi sia per il ritratto maschile, che doveva trasmettere l’idea di potere e forza in battaglia, che per il ritratto femminile che doveva trasmettere l’idea della bellezza , associata alle virtù dell’anima e al rigore morale.
Connesso alla modalità rappresentativa del ritratto, anche il concetto di “rassomiglianza” dell’opera con il soggetto rappresentato (non manca, in tal senso, un riferimento al mito di Pigmalione, che realizza un ritratto così somigliante di una fanciulla da innamorarsene e al racconto di Plinio della vicenda analoga del pittore Apelle e di Campaspe, raffigurata dal pittore nordico cinquecentesco, van Haecht), quest’ultimo , quasi sempre posto in connessione con l’ambiente e gli oggetti che lo circondano e che ne descrivono il ruolo , la posizione sociale rivestita e il modo e le pose in cui ha deciso di proporsi per essere ritratto. Ad esempio, un musicista veniva ritratto con il suo strumento, mentre principi, papi e cardinali con le loro vesti regali, accompagnate da gestualità e atteggiamenti che ne esprimevano il potere.
Tuttavia, nei ritratti delle “Belle” di Palazzo Chigi ad Arriccia, non vi è nulla di tutto ciò, in quanto nei dipinti è rappresentato solo volto di tali donne e non sono rappresentate né ambientazione né oggetti ,se non vestiti e gioielli, che rappresentano ed esprimono, insieme con la loro bellezza e virtù, l’importanza e la rilevanza sociale delle loro famiglie.
Però, la rappresentazione in ritratti di uomini potenti e di donne potenti del tempo, che causò non pochi problemi al pittore Voet, fino all’esilio dall’Urbe, per via dell’eccessiva vicinanza con alcune delle sue aristocratiche modelle e degli incontri tra dame e cavalieri, a cui , sembra, la sua bottega facesse da scenario, non fu propria del Seicento, in quanto ebbe dei precedenti già verso la fine del Cinquecento, quando nelle collezioni più importanti, da quella dei Farnese e del cardinale Pietro Aldobrandini , nipote di Clemente VII, fino a quella dei Borghese , si potevano trovare ritratti femminili collocati in altrettante stanze. Le donne ritratte erano componenti della famiglia, ma anche parenti più lontane o donne contemporanee note per la loro bellezza o per la posizione sociale rilevante, dipinti da più affermati pittori e pittrici dell’epoca, tra i quali: Scipione Pulzone, Domenichino e Lavinia Fontana.
Un esempio emblematico di ciò, si trova nella collezione di Palazzo Farnese a Roma, nelle cui sale, dopo la stanza dedicata ai dipinti di paesaggio, si trovava una camera con ritratti esclusivamente di soggetti femminili.
Sempre nelle medesime collezioni e , sempre nella seconda metà del Cinquecento, in queste collezioni, poi chiamate: “Stanze delle Veneri”, le donne erano rappresentate come dee o eroine della mitologia antica, ma in pose seducenti , in omaggio alla dea dell’amore, Venere, e alle protagoniste dei miti recuperati e narrati nelle sue opere dal poeta latino Ovidio.
Esemplificativi di ciò, due dipinti della collezione Farnese: “La pesca del corallo” di Jacopo Zucchi, presente nella collezione romana di Ferdinando de’Medici, in cui Clelia Farnese (probabilmente amata dallo stesso Ferdinando) era raffigurata come Nereide, divinità del mare, circondata da altre divinità marine, cui prestavano il volto alcune donne tra le più famose della corte romana e la “Danae” di Tiziano, attualmente esposta al Museo di Capodimonte, in cui una donna contemporanea sarebbe stata rappresentata come una dea della mitologia.
Si tratterebbe dell’amante di un cardinale, rappresentata anche in un altro dipinto di Tiziano, il “Ritratto di giovane”, collocato nello stesso museo.
Da qui , dunque, prende le mosse la riflessione dell’autrice del saggio, sui cambiamenti del ritratto femminile e sul ruolo di alcune donne e sull’abilità di queste ultime nel fare di se stesse un personaggio da mettere in scena attraverso il ritratto, creando ,grazie all’opera dell’artista, la propria immagine e, mettendo in evidenza così il ruolo da loro occupato in società.
Esemplare in tal senso, è la vicenda delle sorelle Mancini, dame aristocratiche del Seicento, che utilizzarono la rappresentazione artistica del ritratto e la bellezza, eterna rievocazione di Venere, per affermare il proprio ruolo e la propria immagine pubblica ,utilizzando con acume e arguzia, per affermarsi, la pittura e il suo repertorio iconografico, anticipando le moderne tecniche di comunicazione.
Nel saggio della direttrice della Galleria Borghese Cappelletti, dunque, la Storia dell’Arte si sposa con l’ analisi della società italiana fra Cinquecento e Seicento e il ruolo ricoperto in essa dalle donne appartenenti ai casati aristocratici più potenti e più in vista, così come da donne artiste, quali le pittrici Lavinia Fontana ed Artemisia Gentileschi , tutte alla ricerca, pur nelle difficoltà, della loro affermazione.
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