La Traviata di Giuseppe Verdi, con la regia e le scene di Franco Zeffirelli, ha inaugurato ieri, il 97mo Festival lirico dell’Arena di Verona. L’opera, trasmessa in prima serata da Rai Uno in Mondovisione, ha totalizzato due milioni di spettatori confermando il ruolo di Servizio pubblico della Rai. Ultima opera, insieme a “Rigoletto”, ad essere stata riadattata dal maestro fiorentino, ha debuttato sul prestigioso palcoscenico a una settimana esatta dalla scomparsa del regista, avvenuta il 15 giugno scorso. Grande, l’emozione dei cantanti, dei musicisti, degli artisti in scena e del pubblico in platea, che, a conclusione dello spettacolo, ha tributato una lunga standing ovation a Zeffirelli e al cast.
di Federica Marengo sabato 22 giugno 2019
Il Festival lirico all’Arena di Verona, nasce nell’estate del 1913, dall’intuizione del tenore Giovanni Zenatello e da allora , ad ogni “prima” , continua ad emozionare gli spettatori e gli interpreti, protagonisti delle più belle opere appartenenti al repertorio del nostro melodramma.
Ma, ieri sera, l’apertura della 97ma edizione, è stata segnata da un’emozione diversa, da una magia, che solo un maestro della drammaturgia e della scenografia come Franco Zeffirelli poteva e sapeva creare.
Scomparso all’età di novantasei anni, il 15 giugno scorso, a una settimana dal debutto della sua nona “Traviata”, la prima per l’Arena di Verona, (messa in scena a cui aveva lavorato dal 2008 e la cui realizzazione è stata resa possibile grazie alla sopraintendente, il soprano, Cecilia Gasdia), non ha potuto godersi gli applausi scroscianti che per tutta la serata, in un crescendo quasi musicale, hanno scandito i tre atti dell’opera, trasmessa in prima serata da Rai Uno, in Mondovisione.
L’inizio, roboante, solenne, è affidato al coro, che, accompagnato dall’orchestra della Fondazione Arena, diretta dal maestro, Daniel Oren, intona l’inno di Mameli, con sullo sfondo il Tricolore, omaggio al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, presente in platea con la figlia Laura, insieme con la Presidente del Senato ,Maria Elisabetta Alberti Casellati, i Ministri Bonisoli, Centinaio, Stefani e Tria e il sindaco di Verona Sboarina
Poi, il momento della commozione, il video-tributo alla memoria del grande assente della serata, ma presente con la sua Arte, sulle note di “Amami Alfredo”. Un mini-film della vita del maestro a ripercorrere in 3 minuti ,sessant’anni di teatro, cinema e opera, conclusosi con il fermo immagine del regista che manda un bacio, pronunciando le parole: “All right”.
Televisione e Teatro , allora, si fondono l’uno con l’altro, ma senza stridere, in un’armonia tra alti e bassi che è anch’essa musica, quella che resta oltre i secoli, oltre la morte.
Così, l’attesa per l’inizio è ingannata con aneddoti, curiosità, brevi racconti sulla vita del Maestro, che la conduttrice, Antonella Clerici, con il suo stile familiare e accogliente, coadiuvata dall’esuberante tenore, Vittorio Grigolo, riesce con facilità e fluidità a far intessere agli ospiti (Pippo Baudo, Cecilia Gasdia, Gabriel Garko, Katia Ricciarelli, Vittorio Sgarbi), alternatisi tra la fine di un atto e l’altro,come fossero in un salotto.
E’ un attimo ed ha inizio il primo atto. Il buio,scendendo sull’Arena, ci porta dritto verso il centro della scena, dove un cocchio trainato da cavalli, trasporta una bara, seguito a poca distanza da uno sparuto corteo. All’interno, c’è Violetta , morta di tisi, a ventiquattro anni. La storia del suo amore impossibile per Alfredo, inizia così, dal finale, a ritroso, come in un flash back cinematografico.
Infatti, è alla sua versione per il Cinema del 1982 che Zeffirelli si è ispirato.
Di colpo, eccoci catapultati in un palazzo, articolato su due piani: il piano terra, con il salone delle feste, dove gli inviatati sono chiamati a “Libar nei lieti calici”, il secondo , con le stanze private, nelle quali Violetta si mostra nella verità dei suoi patimenti, liberandosi dalla maschera sociale della cortigiana . Una scenografia complessa, congegnata dal Maestro fiorentino ed esaltata dalle luci di Paolo Mazzon e dai colori dei costumi indossati da protagonisti, comparse e ballerini, realizzati da Maurizio Millenotti.
Nel ruolo di Violetta, il soprano polacco, Aleksandra Kurzak, in quello di Alfredo, il tenore, Pavel Petrov; i due,si inseguono, si sfuggono, in un gioco che è già “croce e delizia” per il cor. Violetta, la dama che anima i salotti di Parigi, ama, riamata per la prima volta, mentre il male che l’affligge, la tisi, si fa largo nel suo corpo. Ed allora, è meglio viverlo questo amore, meglio viverla questa ultima primavera, meglio cedere alle lusinghe del sentimento, abbandonando il “folleggiar di gioia in gioia”.
Siamo già nel secondo atto, nella serra di una casa di campagna, dove la coppia vive sospesa nell’idillio del sogno d’amore, tra fiori e mobilia tappezzata con stampe vegetali. La realtà, però, irrompe , distrugge, frammenta in stille di lacrime, l’illusione. Violetta deve rinunciare ad Alfredo per salvare la reputazione e l’onore della sorella, che un pretendente troppo pavido, non desidera più sposare a causa della scabrosa fuga d’amore del fratello. Un’intensa conversazione con il padre di lui, Germont, interpretato dal baritono, Leo Nucci, la convince al sacrificio estremo.
Violetta, lascia Alfredo, facendogli credere di voler tornare alla vecchia vita,di voler tornare ad essere l’amante del barone Douphol.
Pazzo di gelosia e pronto a vendicare l’onore, Alfredo, si reca a una festa, organizzata in un sontuoso palazzo. La scena è un tripudio di maschere, un Carnevale, dove, si alternano in un turbinio, gitane e toreri, saltimbanchi, giullari, Pierrot ,Colombine danzanti (sulle coreografie dell’étoile Giuseppe Picone. Fino a che, l’atmosfera gaudente della festa non viene turbata dall’atto di sfregio ai danni di Violetta, cui Alfredo, preda dell’ira, getta addosso dei soldi.
Completamente sola, umiliata, sotto gli occhi divertiti della buona società e di Germont, il padre di Alfredo, preda sempre più di sensi di colpa per averla separata dal figlio, sviene fiaccata dal suo male.
Un male ,che esplode nel terzo atto. Ecco, allora apparire Violetta. Ella si aggira in vestaglia bianca, sempre più pallida, come un fantasma, ripercorrendo a stento, gli spazi delle sue “follie”. Tocca i quadri, che abbelliscono il suo salotto, simboli di una bellezza sfiorita e poi si abbandona sul letto, cercando conforto al dolore nella preghiera e in frammenti di gioia quotidiana: dal lasciare entrare il sole scostando le tende, al parlare con la sua cameriera del Carnevale che impazza per le strade della città.
D’un tratto, poi, rinasce la speranza, una lettera, consegnatale proprio dalla cameriera, l’avverte che Germont ha svelato al figlio la verità e che Alfredo sta tornando da lei. Un’ ultima illusione di vivere il suo amore, la convince di poter guarire, di potersi destare, ma tutto ormai è scritto. L’estremo saluto, giusto il tempo per dire ad Alfredo che veglierà su di lui e sulla sua “vergine sposa”, e Violetta non è più.
La tensione emotiva, giunta al suo acme, ha rinnovato il rito della catarsi. Purificato, lo spettatore può tornare nel mondo reale.
Applausi scroscianti, standing ovation della platea, cui si consegnano uno alla volta gli interpreti dell’opera, che si congedano con un “Libiamo”, aria intonata dall’orchestra che , in modo informale, Doren dirige dal palcoscenico, mentre campeggia a tutto schermo l’immagine di Zeffirelli.
Un kolossal, che ha ipnotizzato oltre due milioni di telespettatori, con soddisfazione dell’a.d della Rai, Fabrizio Salini, che ha dichiarato : “La Rai, non ha solo omaggiato un maestro come Zeffirelli, ma ha reso ancor più vivo il valore del Servizio pubblico”, riecheggiato dalla direttrice di Rai Uno, Teresa De Santis, che ha sottolineato: “La Rai è sulla buona strada per una Tv di qualità che affronta con successo anche le sfide del prime time con opere alte da puro Sevizio Pubblico”.
E il pubblico del primo canale ringrazia.
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