di Federica Marengo giovedì 27 novembre 2025

-Martedì scorso, Israele ha annunciato una nuova operazione antiterrorismo nel nord della Cisgiordania, lanciata dall’esercito, dal servizio di intelligence interna Shin Bet e dalla polizia di frontiera.
Secondo l’agenzia palestinese Wafa, le truppe di Tel Aviv hanno assaltato la città di Tubas e i villaggi di Tammun e al-Aqaba nell’area settentrionale, con grandi forze, bulldozer ed elicotteri in volo, questi ultimi, a sostegno dei soldati di terra.
Fonti locali , poi, hanno riferito sempre all’agenzia Wafa che l’esercito israeliano avrebbe perquisito diverse abitazioni , chiedendo agli abitanti di lasciarle e chiuso diverse strade nel governatorato di Tubas per istituire posti di blocco. Chiuse anche scuole pubbliche , asili nido e negozi, per motivi di sicurezza.
In totale, al momento, durante tale operazione, che si è ampliata, estendendosi a Jenin, 100 persone sono state arrestate, di cui 27 sono state rilasciate durante la notte, 10 ferite e una uccisa.
Secondo i media palestinesi, tra i fermi odierni , vi sarebbero anche due giornalisti, uno dei quali già rilasciato.
In merito all’operazione in Cisgiordania settentrionale, l’agenzia di sicurezza israeliana Shin Bet ha dichiarato di aver sventato un complotto di Hamas volto a “introdurre illegalmente armi e denaro in Cisgiordania, utilizzando cittadini israeliani” e che, nelle ultime settimane, “diversi israeliani sono stati arrestati dalla polizia con l’accusa di coinvolgimento in trasferimenti segreti di armi e fondi in Cisgiordania, per conto di un cittadino israeliano residente in Turchia che opererebbe per conto di Hamas”.
Quindi, lo Shin Bet ha spiegato che le sue indagini hanno portato alla luce “una rete che avrebbe operato per introdurre clandestinamente armi e centinaia di migliaia di shekel in fondi in Cisgiordania”, evidenziando nella sua dichiarazione: “Si tratta di un caso grave che mostra come elementi in Turchia, compresi cittadini arabo-israeliani e cittadini tramite il ricongiungimento familiare, sfruttino le loro connessioni in Israele e il loro accesso a Giudea e Samaria (Cisgiordania) per trasferire fondi e armi che potrebbero arrivare infine agli operatori terroristici”.
Sempre in Cisgiordania, proseguono gli attacchi dei coloni israeliani contro i residenti palestinesi.
A tal riguardo, i ministri degli Esteri di quattro Paesi Ue (E4), Francia, Regno Unito, Germania e Italia, hanno reso nota una dichiarazione nella quale condannano fermamente il massiccio aumento della violenza dei coloni contro i civili palestinesi e invocano la stabilità in Cisgiordania, sottolineando, sulla base di dati Ocha: “Le attività destabilizzanti rischiano di compromettere il successo del Piano in 20 Punti per Gaza e le prospettive di una pace e sicurezza nel lungo termine. Il numero di attacchi ha raggiunto nuovi picchi. Nel mese di ottobre, si sono registrati 264 episodi, il numero più alto di aggressioni da parte di coloni in un singolo mese da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare tali incidenti nel 2006. Questi attacchi devono cessare. Seminano terrore tra i civili, danneggiano gli sforzi di pace in corso e compromettono la stabile sicurezza dello stesso Stato di Israele”.
Quanto alla Striscia di Gaza, dopo che l’esercito israeliano nelle scorse ore ha colpito sei terroristi di Hamas mentre uscivano dai tunnel a Rafah, secondo i media come Afp, che cita fonti vicino ai colloqui in atto, sarebbero in corso negoziati tra i mediatori di Egitto, Turchia , Qatar e USA e Israele con l’obiettivo di “giungere a un compromesso che consenta ai miliziani di Hamas di abbandonare i tunnel dietro la Linea Gialla (che segna il limite del ritiro delle truppe israeliane) vicino a Rafah, nella parte meridionale del territorio”.
Riguardo ai negoziati al Cairo sulla seconda fase del Piano di pace USA per Gaza, il media Haaretz, citando fonti vicine ai colloqui, ha riferito che il Premier israeliano Netanyahu, che vorrebbe una maggiore pressione internazionale e dagli USA, ha ribadito la necessità che Hamas attui il disarmo, mentre Hamas, (che ha consegnato alla Croce Rossa internazionale un altro corpo di un ostaggio israeliano ucciso, poi identificato), ha confermato che non intende disarmarsi, se l’esercito israeliano non si ritirerà completamente dalla Striscia.
Allo stesso media Haaretz, fonti arabe hanno fatto sapere che i colloqui in corso al Cairo sulla seconda fase del cessate il fuoco a Gaza “restano bloccati e difficilmente registreranno progressi senza un intervento diretto degli Stati Uniti su Israele” , poiché “il nodo principale non riguarderebbe solo le divergenze tra Israele e Hamas, ma soprattutto l’assenza di una chiara pressione statunitense su Tel Aviv”, ritenuta indispensabile per sbloccare il processo negoziale.
Tregua fragile , poi, anche nel Libano, dove sono ripresi gli attacchi mirati dell’Idf, per via, come precisato da Israele, del mancato disarmo di Hezbollah. In merito, il ministro della Difesa israeliano, Katz ha dichiarato che se Hezbollah non si disarmerà entro fine anno, Israele userà di nuovo la forza.
Intanto, il Presidente USA, Trump ha avviato l’iter per designare come “organizzazione terroristica straniera” alcune branche dei Fratelli musulmani, raccogliendo il plauso del Premier israeliano , Netanyahu “per i legami del movimento con i maggiori nemici di Israele, a partire da Hamas, e per i suoi tentativi di mettere a rischio la stabilità in tutto il Medio Oriente”.
Infine, nel rapporto “Sviluppi nell’economia del Territorio Palestinese Occupato”, realizzato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (Unctad), si legge che : “Due anni di operazioni militari e restrizioni di vecchia data hanno innescato un collasso senza precedenti del Territorio Palestinese Occupato, vanificando decenni di progressi in termini di sviluppo e aggravando la fragilità fiscale e sociale. La crisi economica che ne è derivata è tra le dieci peggiori a livello mondiale dal 1960 e la situazione a Gaza è la più grave crisi economica mai registrata. A Gaza, l’intera popolazione è sprofondata in una povertà multidimensionale, mentre la Cisgiordania sta attraversando la più grave recessione economica mai registrata, causata da una maggiore insicurezza, restrizioni alla circolazione e all’accesso e dalla perdita di opportunità produttive in tutti i settori dell’economia. Alla fine del 2024, il Pil palestinese è tornato al livello del 2010, mentre il Pil pro capite è tornato a quello del 2003, cancellando 22 anni di progressi nello sviluppo in meno di due anni”.
L’agenzia ha poi aggiunto che : “E’ di circa 70 miliardi di dollari il costo per la ricostruzione della Striscia di Gaza dove l’entità dei danni causati da due anni di conflitto pone sfide importanti per la ripresa economica e il ripristino di condizioni di vita di base”, e ha sollecitato “Un intervento immediato e sostanziale da parte della comunità internazionale per frenare la caduta libera economica, affrontare la crisi umanitaria e gettare le basi per una pace e uno sviluppo duraturi. Un intervento che si traduca in un piano di ripresa globale per il Territorio Palestinese Occupato, con assistenza internazionale coordinata, ripristino dei trasferimenti fiscali e misure per allentare le restrizioni al commercio, alla circolazione e agli investimenti”.
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