di Federica Marengo sabato 13 aprile 2024
-Nella giornata di ieri, la Presidente del Consiglio, Meloni ha tenuto un intervento all’incontro-evento: “Per un’Europa giovane. Transizione demografica, ambiente , futuro”, promosso dalla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Roccella ,svoltosi presso la Camera di Commercio di Roma, nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano.
La Premier, ringraziate la ministra Roccella, la Vicepresidente della Commissione UE, Šuica , e la Commissaria Dalli, nonché i rappresentanti del Governo, delle Regioni, i Comuni, l’Ocse, le Fondazioni, oltre che gli esperti del settore, ha detto: “Io credo che la giornata di oggi sia estremamente importante perché è una giornata che ci consente di allargare l’orizzonte su una materia che tutti sanno essere una priorità assoluta per questo Governo. Per noi la sfida demografica, la natalità, la sostenibilità economica che a questi fattori è connessa, rappresentano una delle principali sfide, banalmente perché noi non vogliamo accontentarci di gestire il presente: non serve a niente gestire il presente se non si mette in sicurezza il futuro. E questa è la materia principe attorno alla quale un Governo ha la responsabilità di garantire un futuro per la propria Nazione. Lo rivendico con orgoglio, lo considero un cambio di passo fondamentale quello che questo Governo sta facendo, l’approccio con il quale questo Governo affronta queste tematiche rispetto al passato. Penso che fosse ora di avere un Governo abbastanza coraggioso da dedicarsi alla demografia e alla natalità come sfide prioritarie che devono essere trasversali rispetto all’azione di tutto il Governo. Era ora che ci fosse un Governo con il coraggio di dire che noi possiamo fare per l’Italia le migliori riforme possibili, possiamo investire risorse, possiamo fare scelte importanti, ma tutto questo non porta a nulla se a monte non invertiamo la drammatica tendenza della denatalità che compromette ogni possibile sviluppo positivo per la nostra Nazione e non solamente per la nostra Nazione. Non è stato così per molto tempo, non è stato così per molto tempo prima di noi, quando l’Italia sembrava, diciamo così, in qualche modo sprofondata nelle sabbie mobili del mito della denatalità, raccontato quasi come simbolo di libertà e di un’impostazione culturale che, dobbiamo dirci le cose come stanno, era generalmente ostile alla famiglia. Chiaramente alla base di questo problema non ci sono solamente fattori culturali, ci sono molti fattori economici e sociali: le giovani generazioni hanno paura del futuro, che è un futuro fatto di lavoro incerto, di precarietà; si tende ad aspettare la stabilità economica e lavorativa per mettere su famiglia, ma quando quella stabilità arriva – se arriva – in molti casi è troppo tardi. Per questo ovviamente le politiche sul lavoro, le politiche sulla casa, sul sostegno alle giovani coppie sono assolutamente fondamentali ed è il lavoro che questo Governo sta portando avanti. Voi stamattina avete già ascoltato molte delle iniziative che il Governo ha fatto, quali sono stati i nostri primi provvedimenti. Io non ci tornerò sopra, non voglio ripetermi, però voglio ribadire che nessun intervento concreto sarà mai sufficiente se a monte noi non invertiamo la narrazione che è stata fatta su questa materia. Per decenni è stato raccontato dalla cultura dominante che, di fatto, mettere al mondo un bambino sarebbe stata una scelta probabilmente incompatibile con molte altre; che avere un figlio avrebbe compromesso la tua libertà, compromesso la tua carriera, compromesso i tuoi sogni, in alcuni casi addirittura compromesso la tua bellezza; una scelta che sostanzialmente ti toglieva qualcosa o che rischiava di toglierti molto di più di quello che ti avrebbe regalato. E quindi una scelta che in fondo forse era preferibile non fare. Per decenni cattivi maestri hanno proclamato – in alcuni casi anche da vere e proprie cattedre, magari ottenute col “sei politico” – qualche decennio fa che la genitorialità era qualcosa di stantio, che era un concetto arcaico, che era un concetto patriarcale da superare, a volte addirittura da combattere, che andava sostituito con nuovi valori. Negli ultimi tempi si è addirittura sostenuta la follia che mettere al mondo un bambino significa commettere un atto contro l’ambiente. È più sostenibile non fare figli, o magari farne al massimo uno, perché l’uomo e l’ambiente sarebbero l’uno nemico dell’altro e se vogliamo bene all’ambiente allora dobbiamo rinunciare all’uomo e quindi ridurre l’impronta carbonica rappresentata dai bambini. Io credo che queste tesi abbastanza surreali, vecchie e nuove, rischino di trascinare l’Italia e l’Europa sull’orlo del precipizio e di indurci a credere che il mito da perseguire sia quello della decrescita felice applicata anche alla natalità. Solo che la decrescita non è felice mai e se la applichi alla natalità, alla demografia, rischia di compromettere qualsiasi futuro possibile, di scardinare alla base le fondamenta su cui si regge il nostro welfare, rompere quel patto generazionale sul quale ogni Nazione da sempre esiste e prospera. E allora noi potevamo assecondare questo pensiero dominante, buttarci anche noi nel precipizio della glaciazione demografica, potevamo arrenderci all’idea che in fondo la nostra Nazione è ormai destinata a scomparire, oppure potevamo ribadire quello che diciamo da tempo, cioè che il declino non è mai un destino. Il declino è sempre una scelta. È una scelta che si può ribaltare, rimboccandosi le maniche, impedire quel declino, ricostruire una società per questo amica della famiglia, amica della natalità, una società nella quale essere padri non sia fuori moda, essere madri non debba essere una scelta privata ma un valore socialmente riconosciuto e valorizzato da proteggere, da custodire, da incentivare. Noi abbiamo fatto la nostra scelta. E’ stata una scelta chiara, figlia di una visione chiara. Abbiamo scelto di raccogliere la sfida demografica e di metterla al centro della nostra attività. È la ragione per la quale per la prima volta nella storia di questa Nazione alla natalità è intitolato un Ministero, ma non è una scelta lessicale, è l’inizio di un lavoro per il quale vogliamo che attorno a tutta l’attività del Governo si parli chiaramente di natalità, ma si agisca sulla natalità. E chiaramente, nonostante le ormai note difficoltà di bilancio che abbiamo ereditato da allegre gestioni che ci hanno preceduto, abbiamo fatto degli sforzi che sono molto importanti anche a livello di risorse su questa materia. Questo Governo in un anno e mezzo ha già all’attivo per le famiglie e la natalità 2 miliardi e mezzo di investimenti diretti, più l’indotto degli interventi strutturali: significa un totale di benefici netti per le famiglie italiane nel solo 2024 di oltre 16 miliardi di euro. Chiaramente non lo diciamo noi, lo dice l’Ufficio parlamentare di bilancio che, come si sa, è sempre abbastanza rigido nel certificare i provvedimenti e l’impatto che quei provvedimenti hanno sulla società. Però, come dicevo, allo stesso tempo abbiamo lavorato, continuiamo a lavorare anche con questa iniziativa, con coraggio, con chiarezza sul versante culturale, perché a nulla servono le risorse se poi, quando quelle risorse si mettono a disposizione, non c’è nella società un humus che è in grado di raccoglierle nel migliore dei modi. Bisogna quindi anche ribaltare la narrazione che ha consentito che questa materia non fosse considerata prioritaria in passato, anche per spiegare ai cittadini perché noi riteniamo che quella tendenza vada investita. Quando governi una Nazione devi sempre ricordarti che le risorse che gestisci non sono soldi tuoi, sono soldi dei cittadini e quando spendi quei soldi devi spiegare perché stai spendendo quei soldi, con quale visione, con quale obiettivo. Noi cerchiamo di farlo ogni volta perché è su questa base che chiaramente i cittadini devono poi decidere se hai fatto bene il tuo lavoro o se non hai fatto bene quel lavoro. E quindi dicevo che il tema culturale che sta alla base di questa materia per me è molto importante. Io credo che alla base di tutto vi sia stato un malinteso concetto di libertà che ci è stato propinato. Non credo che sia libertà dover rinunciare a un figlio per avere una carriera, come non è libertà dover rinunciare a una carriera per avere un figlio. Libertà è poter fare senza paura entrambe le cose, perché si è consapevoli che la società, lo Stato, le Istituzioni, riconoscendo il valore dello sforzo che questo comporta e riconoscendo l’importanza che quella scelta ha per la società nel suo complesso, saranno al tuo fianco. E questo è il messaggio che cerchiamo di dare, questa è l’Italia che vogliamo costruire, con tutte le polemiche – anche qui sarò abbastanza schietta come è il mio costume fare – che quando si cerca di parlare di questa materia, ogni volta – incredibilmente, dal mio punto di vista – conosciamo. Chiaramente su una materia così complessa solamente quando avremo completato il nostro programma di legislatura – perché la materia ha bisogno di moltissimi interventi – tutti potranno cominciare a valutare i risultati. Però io penso che alcuni segnali già li stiamo vedendo. Penso al tema dell’occupazione: noi abbiamo toccato il record di occupazione femminile, per la prima volta in Italia abbiamo superato il tetto delle 10 milioni di lavoratrici. Chiaramente lo dobbiamo soprattutto alle imprese, lo dobbiamo soprattutto al nostro sistema economico, perché anche qui bisogna ricordarsi sempre che lo Stato non crea ricchezza, lo Stato non abolisce la povertà, lo Stato non crea il lavoro per decreto: lo Stato può precostituire le condizioni, ma poi chi produce ricchezza, chi ci aiuta a combattere la povertà, è chi lavora. Sono le imprese con i loro lavoratori. Certo i segnali possono fare la differenza: certo decidere di mettere buona parte delle poche risorse che avevamo per affrontare questa materia, soprattutto sul tema delle madri lavoratrici, dare il segnale che quindi non dovevi essere costretto a scegliere, il tema della decontribuzione per le madri lavoratrici con tot figli, il tema della conciliazione degli asili nido, dell’asilo nido gratuito per il secondo figlio, del lavoro che abbiamo fatto sul PNRR per garantire queste strutture, il tema del congedo parentale che abbiamo per due Leggi di Bilancio continuato ad allargare, aggiungendo opportunità e possibilità di potersi occupare dei propri figli anche e soprattutto quando si lavora, sono tutti segnali che vogliono dare esattamente questo messaggio. Non sono due scelte incompatibili, non devono essere due scelte incompatibili. Per troppo tempo noi abbiamo accettato che le cose stessero così, ma non possiamo banalmente accettare quello che non ci piace. Noi dobbiamo lavorare per ribaltare quello che non ci piace. Ed è quello che stiamo provando a fare. Anche qui, bisogna dire però che a volte si è lasciato intendere che garantire pari opportunità equivalesse in qualche maniera a cancellare le differenze. Io non la penso così, penso esattamente il contrario. Penso che garantire pari opportunità significhi fare in modo che per le donne e gli uomini sia ugualmente possibile realizzarsi in termini di carriera, di retribuzione, di aspirazione, di libertà, nella consapevolezza della specificità di ciascuno. Perché essere genitori implica ovviamente un’assunzione di responsabilità che deve essere paritaria e che deve essere condivisa, però questo non deve e non può cancellare la specificità del rapporto della madre e del padre. Se noi non partiamo da qui non troveremo la chiave per affrontare e risolvere seriamente questa materia. Dopodiché le polemiche le conosciamo, già il fatto stesso di parlare di padre e di madre in questa società a volte può sembrare quasi un atto di rivoluzione. Quando lo fai tendenzialmente appari abbastanza retrò, in un’epoca nella quale si arriva a negare che per mettere al mondo un bambino servano un uomo e una donna, in cui quando ci si scontra con l’evidenza si pensa di poter risolvere la questione magari alimentando un mercato transnazionale che sfrutta il corpo delle donne povere, fa dei bambini una merce, spacciando questo per un atto d’amore o per un gesto di libertà. Io, mi conoscete, sono una persona abituata a dire sempre quello che pensa: per me le cose irragionevoli non diventano ragionevoli quando sono in tanti a ripeterle e nessuno mi può convincere che sia un atto di libertà affittare il proprio utero; nessuno mi può convincere che sia un atto d’amore considerare i figli come un prodotto da banco in un supermercato; non è un atto d’amore trasformare il legittimo, legittimissimo desiderio di avere un figlio in un diritto che puoi garantirti con qualsiasi mezzo possibile. Io continuo per questo a ritenere, per esempio, l’utero in affitto una pratica disumana, sostengo la proposta di legge perché diventi reato universale, cioè perseguibile in Italia anche se commesso all’estero. C’è su questo una proposta parlamentare in discussione al nostro Parlamento che spero possa essere approvata quanto prima. E consentitemi anche, viste le polemiche che a volte leggo sulla stampa nazionale e anche sulla stampa internazionale, vorrei cogliere quest’occasione anche per sfatare un altro mito e un’altra narrazione distorta. In Italia – e questo è stato certificato da magistrature di ogni ordine e grado, è stato certificato anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – non esiste un solo bambino al quale non siano assicurati pieni diritti, perché questo è previsto nella nostra Costituzione e quindi banalmente non si potrebbe fare. Noi vogliamo su questo continuare a garantire questi diritti, vogliamo andare avanti, garantire anche il diritto fondamentale all’origine, all’identità, alla famiglia. Ora però, la sfida della natalità non è una sfida che tocca solamente noi italiani, è una sfida che coinvolge con forza l’Europa, che coinvolge l’Europa intera perché la denatalità è un problema europeo, non solo un problema europeo, ma è certamente un problema europeo ed è certamente un problema occidentale. Purtroppo non c’è una sola Nazione europea che raggiunga il cosiddetto tasso di sostituzione, cioè il numero di figli per donna che garantisce la continuità della popolazione. E questa è la ragione per la quale io sono particolarmente onorata di accogliere oggi in questa sede i rappresentanti della Commissione europea, perché sì l’Italia può fare molto, ma penso che anche l’Europa possa fare molto. E proprio adesso che noi andiamo verso le elezioni europee e finalmente c’è un dibattito che ci coinvolge tutti su cosa non abbia funzionato, su cosa debba andare meglio, su cosa vada cambiato, su quali siano le sfide sulle quali l’Europa, che è in un contesto internazionale non semplicissimo, deve concentrarsi, questo tema è bene affrontarlo per tempo, anche sulla base dell’esperienza – Vicepresidente – che è stata fatta, per capire cosa di più si possa fare per sostenere le Nazioni europee su una materia che è alla base di tante altre questioni che noi affrontiamo. Chiaramente siamo consapevoli che come Italia, diciamo così, siamo una delle Nazioni che hanno accumulato un ritardo importante da questo punto di vista, però penso si veda anche la determinazione di questo Governo a dare proprio alla materia demografica la centralità che le sta dimostrando. Noi stiamo pensando soluzioni, le stiamo mettendo man mano in pratica, però chiaramente il vecchio continente, se non vuole essere il vecchio continente semplicemente per etichetta storica e non vuole diventare il vecchio continente per previsione del futuro, ha bisogno di dare delle risposte serie, concrete, determinate. Chiaramente è per noi un auspicio, ma è anche un impegno a lavorare in questo senso perché questo riguarda l’anima dell’Europa, la sua identità, il senso stesso della sua esistenza, ma riguarda anche, molto più concretamente, quell’equilibrio di bilancio del quale da tanto tempo noi in Europa discutiamo, al quale l’Europa guarda sempre con tanta attenzione. Perché se è vero che la denatalità è anche causa di conseguenze immateriali, è anche vero che fra le sue implicazioni ce ne sono di enormi sul fronte della sostenibilità della spesa sociale, dell’organizzazione dei servizi, del sostegno alla fragilità, della tenuta del mercato del lavoro. Se noi non riusciamo a ripristinare quell’equilibrio tra la popolazione attiva e la popolazione che ha bisogno di assistenza, banalmente nel giro di pochi anni saranno i nostri stessi sistemi di finanza pubblica a diventare insostenibili. Per questo io credo che la spesa pubblica finalizzata a sostenere la natalità, a sostenere i servizi, gli aiuti alla famiglia, la conciliazione vita e lavoro, è quella che più di tutte può e deve essere considerata un investimento di carattere produttivo, perché è un investimento sulla tenuta stessa del nostro sistema sociale. E quando dico del nostro sistema sociale intendo anche della nostra civiltà, perché noi siamo guardati da tutto il mondo per la capacità che abbiamo avuto di costruire il welfare che oggi possiamo vantare, ma per mantenere quel welfare, se noi non facciamo gli investimenti possibili non avremo altri strumenti da utilizzare. E quindi io penso che l’Europa nel suo complesso debba prima o poi, per esempio, porsi il problema di come considerare gli investimenti sulla natalità – grande dibattito su come si considera la spesa. Anche qui ci siamo sempre detti, il tema non è semplicemente spendere o non spendere, il tema è spendere su cosa, è spendere come, è quale tipo di moltiplicatore ti dà ogni tipo di spesa che fai. Spesa corrente e investimenti non sono la stessa cosa, non danno lo stesso moltiplicatore sul medio periodo. E’ un elemento che dobbiamo sempre considerare. In questo caso noi parliamo di una spesa buona, di un investimento che dà un moltiplicatore altissimo e quindi di qualcosa che non può essere considerato come vengono considerate molte altre spese dei nostri bilanci. E quindi sarà piano piano sempre più difficile garantire l’equilibrio di un esercizio, di un quadriennio, se l’intero sistema diventa chiaramente insostenibile, cioè se non ci dedichiamo a quella Next Generation che è stata alla base dei programmi di ripresa post pandemia, guardando alle generazioni future. Si può guardare alle generazioni future se le generazioni future esistono, altrimenti si possono dare tutti i titoli che si vuole ma non otterremo il risultato. Dicevo delle elezioni, del dibattito che c’è sulle elezioni. Posso dire che dal punto di vista del Governo italiano una delle grandi rivoluzioni che l’Europa del futuro deve garantire è proprio quella di sostenere finalmente con forza, con determinazione, con strumenti concreti la sfida demografica. È una delle proposte che portiamo già e che porteremo con ancora maggiore forza nella prossima legislatura. Chiaramente non potremmo farlo se per primi non dessimo il buon esempio. Anche qui, sia la Ministra Roccella che il Ministro Fitto prima di me hanno avuto modo di spiegare qual è il nostro approccio a questi temi, come stiamo lavorando, quali sono i nostri provvedimenti concreti, come cerchiamo di utilizzare al meglio anche le risorse europee – proprio per dare il buon esempio – che abbiamo a disposizione, chiaramente dalle risorse del PNRR fino a quelle della coesione, che sono risorse molto importanti, che sono risorse fondamentali per l’Italia che non sempre sono state interamente utilizzate, non sempre sono state utilizzate al meglio, non sempre sono state concentrate sugli interventi strategici per i quali vengono immaginate. Noi pensiamo anche qui che il sostegno alla natalità, soprattutto in quei territori dove lo spopolamento ha un’incidenza più forte, sia un intervento strategico sul quale sia necessario concentrare le risorse. Molte di queste risorse possono essere concentrate su questi obiettivi: i fondi di coesione sono per eccellenza i fondi che servono a combattere il divario tra i territori e quindi le realtà che hanno il maggiore rischio di spopolamento. Le due cose si tengono insieme se riusciamo chiaramente a concentrare e a spendere bene quelle risorse. È un lavoro che per esempio abbiamo fatto quando ci siamo occupati del piano asili nido: investimento da 3 miliardi di euro che è stato mantenuto anche dopo la revisione del PNRR, che ci darà la possibilità di realizzare 2.600 asili. Però io credo che sia importante anche lavorare per utilizzare altre fonti di finanziamento. Penso allo stesso Fondo Sociale Europeo Plus, insieme al dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, sono altre realtà, altri fondi, altri strumenti che potrebbero assicurare risorse centrali per rispondere alla sfida demografica. Insomma, e concludo, noi ci siamo, siamo pronti a spendere le nostre energie in campo internazionale, quindi chiunque sia interessato a questa materia sappia che può sempre telefonare al Governo italiano per chiedere aiuto su questo fronte, banalmente perché se non facciamo questo, signori, tutto il resto che noi cerchiamo ogni giorno affannosamente di portare a casa può servire al massimo ad avere un consenso immediato, può servire al massimo – a Roma si dice – a “svangare” i prossimi mesi, forse anche una legislatura. Ma io penso che qualsiasi politico serio e in coscienza non possa non governare il suo popolo, le persone, la sua Nazione, se non si pone il problema di che cosa sta lasciando dopo di sé, se non si pone il problema di cosa sarà quando, speriamo fra molti anni, sull’orlo della fine di questo cammino ci si guarderà indietro e ci si potrà anche guardare allo specchio ed essere fieri del lavoro che si è fatto. Credo che questa sia una di quelle materie che stabiliscono se si è in grado di fare politica per come io intendo la politica, quindi è materia sulla quale siamo molto concentrati perché ne va del nostro passato che vivrà fin quando ci saranno figli ai quali i genitori e i nonni potranno tramandare una cultura e una tradizione, ne va del nostro presente, perché una popolazione giovane significa innovazione, significa lavoro, significa energia, significa inventiva, e ne va chiaramente del nostro futuro che semplicemente senza figli non esiste. Contate su di noi”.
In occasione della conferenza, il Presidente della Repubblica Mattarella ha inviato un messaggio alla ministra per la Famiglia, Roccella, in cui ha sottolineato : “Il futuro del Paese si misura sulla capacità di dare risposte alle giovani generazioni. Occorre che le Istituzioni ne prendano coscienza, per attuare politiche attive che permettano alle giovani coppie di realizzare il loro progetto di vita, superando le difficoltà di carattere materiale e di accesso ai servizi che rendono ardua la strada della genitorialità. Si tratta di dare attuazione al dettato costituzionale. Il tema demografico sfida in particolare i Paesi sviluppati, influenzando i diversi aspetti della struttura sociale. L’Italia non fa eccezione. Gli eccellenti risultati ottenuti in materia di tutela della condizione degli anziani, le nuove dinamiche fortemente unifamiliari, il calo delle nascite, impongono una riflessione al fine di soddisfare le nuove esigenze emergenti, per garantire la necessaria coesione sociale. Si tratta di dare attuazione al dettato costituzionale che, all’art. 31, richiama la Repubblica ad agevolare “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. Proteggendo la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Politiche abitative, fiscali e sociali appropriate, conciliazione dell’equilibrio tra vita e lavoro, pari opportunità, sono questioni fondamentali. Le trasformazioni della demografia incidono fortemente sulla struttura territoriale del Paese e sulla sostenibilità dei centri abitati, in particolare delle zone montane, interne, rurali, aggravando la crisi e non permettendo di conseguire l’obiettivo dell’eguaglianza dei cittadini. La crescita abnorme delle aree metropolitane con le conseguenti diseconomie e disagi, basata, un tempo, sull’addensamento occupazionale e la disponibilità di servizi, deve lasciare il posto a un approccio integrato che includa interventi per promuovere lo sviluppo economico locale, investendo sui servizi del territorio per sostenere la vitalità delle nostre comunità”.
La natalità, dunque, come sfida non solo italiana, ma anche europea, così come: il futuro assetto politico della UE, il rafforzamento della competitività e della resilienza economica, le migrazioni , la collaborazione sulla sicurezza , la Difesa e la politica di allargamento, tutti temi al centro dell’incontro che la Presidente del Consiglio Meloni ha tenuto il 10 aprile scorso, a Palazzo Chigi, con il Presidente del Consiglio UE, Michel, in vista del Consiglio Europeo Straordinario cui parteciperà il 17 e 18 aprile.
La Premier, inoltre, nel corso del bilaterale con il Presidente Michel , alla luce delle proteste del settore agricolo, ha sottolineato la necessità di realizzare degli investimenti nell’agricoltura e la revisione della Pac (gli obiettivi della Politica agricola comune) per attuare le misure a favore degli agricoltori, concordate a marzo e per realizzare una “transizione più sostenibile”.
In proposito, la Commissione UE ha proposto ai Paesi membri una proroga limitata degli aiuti di Stato a sostegno del comparto agricolo , attualmente in vigore fino al 30 giugno, per via delle “persistenti perturbazioni del mercato”, dovute alla guerra in Ucraina.
Quanto alla gestione del Pnrr, la proroga del Piano , spostando la scadenza dal 2026 al 2027 ,è la richiesta italiana, avanzata dal ministro dell’Economia Giorgetti, in merito a cui il Presidente del Consiglio UE Michel , aprendo con cautela alla proposta, ha dichiarato: “Vogliamo assicurarci che tutte le risorse siano erogate e valuteremo se sarà necessario”.
Riguardo ai flussi migratori, Michel si è detto d’accordo con la Presidente del Consiglio ,Meloni, che ha definito la questione: “una priorità”. Per questo, la Premier, mercoledì 17 aprile si recherà a Tunisi, prima del Consiglio UE straordinario, per un bilaterale , nel quale ribadirà la linea del Governo italiano secondo cui resta fondamentale il dialogo con i Paesi d’origine e transito dei migranti. Alla luce di ciò, infatti, l’Italia starebbe valutando di invitare al G7 , oltre ai leader di Brasile, Argentina e India, anche i leader dei diversi Paesi africani.
Proprio riguardo le politiche migratorie, il 10 aprile scorso, il Parlamento UE ha approvato a maggioranza il nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo costituito da 10 provvedimenti. Il nuovo pacchetto di misure prevede: più controlli all’ingresso e alle frontiere e più solidarietà per aiutare gli Stati di primo approdo che registrano situazioni di pressione migratoria.
A favore del nuovo Patto, il Partito Popolare Europeo, i Socialdemocratici e i liberali, ma con alcune eccezioni: le delegazioni italiane del Pd e del M5S, infatti, hanno espresso voto contrario. I conservatori e riformatori (la Maggioranza di Governo in Italia) ha visto FdI votare a favore di alcune parti e contro altre, mentre altri partiti, tra i conservatori UE, come i polacchi del Pis hanno espresso voto contrario.
Soddisfatta la Presidente del Parlamento UE, Metsola , che su X ha scritto: “Abbiamo fatto la storia, perché, con il voto di oggi si raggiunge un equilibrio tra solidarietà e responsabilità”.
Per il ministro dell’Interno Pinatedosi, “Si è superato il Patto di Dublino”, e si tratta del “miglior compromesso possibile”, mentre il Vicepremier e ministro degli Affari Esteri, nonché segretario di FI(che ha votato il pacchetto per intero), Tajani, ha parlato di “passo importante”.
Il capodelegazione in UE di FdI, Fidanza, invece, ha dichiarato: “Non siamo soddisfatti per quanto riguarda la ripartizione, la redistribuzione dei migranti che arrivano, perché, ancora una volta, non si è riusciti a sradicare il principio fondante degli accordi di Dublino”.
Voto contrario è stato espresso dalla Lega, perché, come evidenziato dal Vicepremier, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché segretario del Carroccio, Salvini, “L’Italia è stata lasciata ancora una volta da sola. Le partenze non si bloccano. Serve una nuova Maggioranza a Bruxelles”.
Critici, i partiti di centrosinistra. Per il capodelegazione Ue del Pd, Benifei, il nuovo Patto : “E’un passo indietro sul fronte dei diritti umani. Lascia sola l’Italia come Paese di primo approdo e non risolve alcun problema”.
Per il leader del M5S, Conte: “Il centrodestra si piega in UE. Vota in ordine sparso e si spacca”.
Restando nella UE, ieri, a Lussemburgo, l’Ecofin ha approvato in via definitiva, la Direttiva sulle case Green, proposta dalla Commissione UE a fine 2021 e modificata rispetto alla prima bozza in senso meno rigido. La Direttiva prevede: la costruzione di edifici nuovi a emissioni zero a partire dal 2030, mentre per quelli pubblici la partenza è anticipata al 2028.
In materia di ristrutturazioni , il fine è ridurre i consumi energetici delle case del 16% entro il 2030, del 20 e 22% entro il 2035, introducendo il cappotto termico, sostituendo gli infissi e le caldaie (quelle a gas potranno rimanere fino al 2040, ma dal 2025 vi sarà la fine degli incentivi) e introducendo i pannelli solari. Tutto ciò per attuare un parco immobiliare che non inquini entro il 2050.
Esentati: gli edifici storici, quelli agricoli, le chiese e gli edifici militari. Infine, le misure di ristrutturazione realizzate dal 2020 saranno calcolate ai fini delle tabelle che i 27 Stati membri dovranno presentare alla Commissione UE tra due anni.
L’Italia ha votato contro tale Direttiva, così come l’Ungheria e 5 Paesi si sono astenuti (Croazia, Svezia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) , gli altri Paesi, invece, hanno votato a favore.
La Direttiva, a breve, sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore venti giorni dopo. I 27 Stati della UE avranno due anni di tempo per adeguarsi e presentare un piano nazionale di ristrutturazione, ovvero, una tabella in cui si indica l’iter da seguire per realizzare gli obiettivi.
Al riguardo, il ministro dell’Economia Giorgetti, ai microfoni Rai, ha dichiarato: “Nel Consiglio, oggi, a Lussemburgo abbiamo votato contro la Direttiva sulle Case Green, l’iter si è purtroppo concluso. La posizione italiana è nota. Il tema è ‘chi paga?’, visto che abbiamo in Italia delle esperienze abbastanza chiare in proposito”.
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