di Federica Marengo domenica 15 settembre 2024
-Arrivato in Papua Nuova Guinea, nella giornata del 7 settembre, il Pontefice, dopo aver celebrato la Messa in forma privata, si è recato in automobile presso la Government House di Port Moresby per la visita di cortesia al Governatore, con cui ha raggiunto la Ceremony Hall dove, dopo la Firma del Libro d’Onore e la foto ufficiale, ha avuto luogo l’incontro privato.
Finito l’incontro, culminato con lo scambio dei doni , Papa Francesco si è trasferito all’APEC Haus per l’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico.
Qui, il Santo Padre ha assistito a una danza tradizionale di accoglienza della tribù Motu Koitabu, proveniente dalla Provincia di Port Moresby e ha ricevuto una scultura in legno che rappresenta una tipica imbarcazione del Pacifico.
Quindi, il Pontefice ha tenuto il Suo discorso, dinanzi al Governatore generale, al Primo ministro, ai Rappresentanti della società civile e agli ambasciatori, sottolineando: “Nella vostra Patria, un arcipelago con centinaia di isole, si parlano più di ottocento lingue, in corrispondenza ad altrettanti gruppi etnici: questo evidenzia una straordinaria ricchezza culturale e umana; e vi confesso che si tratta di un aspetto che mi affascina molto, anche sul piano spirituale, perché immagino che questa enorme varietà sia una sfida per lo Spirito Santo, che crea l’armonia delle differenze!. Il vostro Paese, poi, oltre che di isole e di idiomi, è ricco anche di risorse della terra e delle acque. Questi beni sono destinati da Dio all’intera collettività e, anche se per il loro sfruttamento è necessario coinvolgere più vaste competenze e grandi imprese internazionali, è giusto che nella distribuzione dei proventi e nell’impiego della mano d’opera si tengano nel dovuto conto le esigenze delle popolazioni locali, in modo da produrre un effettivo miglioramento delle loro condizioni di vita. Questa ricchezza ambientale e culturale rappresenta al tempo stesso una grande responsabilità, perché impegna tutti, i governanti insieme ai cittadini, a favorire ogni iniziativa necessaria a valorizzare le risorse naturali e umane, in modo tale da dar vita a uno sviluppo sostenibile ed equo, che promuova il benessere di tutti, nessuno escluso, attraverso programmi concretamente eseguibili e mediante la cooperazione internazionale, nel mutuo rispetto e con accordi vantaggiosi per tutti i contraenti. Condizione necessaria per ottenere tali risultati duraturi è la stabilità delle istituzioni, la quale è favorita dalla concordia su alcuni punti essenziali tra le differenti concezioni e sensibilità presenti nella società. Accrescere la solidità istituzionale e costruire il consenso sulle scelte fondamentali rappresenta infatti un requisito indispensabile per uno sviluppo integrale e solidale. Esso richiede inoltre una visione di lungo periodo e un clima di collaborazione tra tutti, pur nella distinzione dei ruoli e nella differenza delle opinioni. Auspico, in particolare, che cessino le violenze tribali, che causano purtroppo molte vittime, non permettono di vivere in pace e ostacolano lo sviluppo. Faccio pertanto appello al senso di responsabilità di tutti, affinché si interrompa la spirale di violenza e si imbocchi invece risolutamente la via che conduce a una fruttuosa collaborazione, a vantaggio dell’intero popolo del Paese. Nel clima generato da questi atteggiamenti, potrà trovare un assetto definitivo anche la questione dello status dell’isola di Bougainville, evitando il riaccendersi di antiche tensioni. Consolidando la concordia sui fondamenti della società civile, e con la disponibilità di ciascuno a sacrificare qualcosa delle proprie posizioni a vantaggio del bene di tutti, si potranno mettere in moto le forze necessarie a migliorare le infrastrutture, ad affrontare i bisogni sanitari ed educativi della popolazione e ad accrescere le opportunità di lavoro dignitoso. Tuttavia, anche se a volte ce ne dimentichiamo, l’essere umano ha bisogno, oltre che del necessario per vivere, di una grande speranza nel cuore, che lo faccia vivere bene, gli dia il gusto e il coraggio di intraprendere progetti di ampio respiro e gli consenta di elevare lo sguardo verso l’alto e verso vasti orizzonti. L’abbondanza dei beni materiali, senza questo respiro dell’anima, non basta a dar vita a una società vitale e serena, laboriosa e gioiosa, anzi, la fa ripiegare su sé stessa. L’aridità del cuore le fa perdere l’orientamento e dimenticare la giusta scala dei valori; le toglie slancio e la blocca fino al punto , come accade in alcune società opulente , che essa smarrisce la speranza nell’avvenire e non trova più ragioni per trasmettere la vita. Per questo è necessario orientare lo spirito verso realtà più grandi; occorre che i comportamenti siano sostenuti da una forza interiore, che li metta al riparo dal rischio di corrompersi e di perdere lungo la strada la capacità di riconoscere il significato del proprio operare e di eseguirlo con dedizione e costanza. I valori dello spirito influenzano in notevole misura la costruzione della città terrena e di tutte le realtà temporali, infondono un’anima – per così dire –, ispirano e irrobustiscono ogni progetto. Lo ricordano anche il logo e il motto di questa mia visita in Papua Nuova Guinea. Il motto dice tutto con una sola parola: “Pray” ,“Pregare”. Forse qualcuno, troppo osservante del “politicamente corretto”, potrà stupirsi di questa scelta; ma in realtà si sbaglia, perché un popolo che prega ha un futuro, attingendo forza e speranza dall’alto. E anche l’emblema dell’uccello del paradiso, nel logo del viaggio, è simbolo di libertà: di quella libertà che niente e nessuno può soffocare perché è interiore, ed è custodita da Dio ,che è amore e vuole che i suoi figli siano liberi. Per tutti coloro che si professano cristiani , la grande maggioranza del vostro popolo , auspico vivamente che la fede non si riduca mai all’osservanza di riti e di precetti, ma che consista nell’amore, nell’amare Gesù Cristo e seguirlo, e che possa farsi cultura vissuta, ispirando le menti e le azioni e diventando un faro di luce che illumina la rotta. In questo modo, la fede potrà aiutare anche la società nel suo insieme a crescere e a individuare buone ed efficaci soluzioni alle sue grandi sfide. Illustri Signore e Signori, sono venuto qui per incoraggiare i fedeli cattolici a proseguire il loro cammino e per confermarli nella professione della fede; sono venuto a gioire con loro per i progressi che vanno facendo e a condividere le loro difficoltà; sono qui, come direbbe San Paolo, quale “collaboratore della vostra gioia”. Mi congratulo con le comunità cristiane per le opere di carità che svolgono nel Paese, e le esorto a cercare sempre la collaborazione con le istituzioni pubbliche e con tutte le persone di buona volontà, a partire dai fratelli appartenenti ad altre confessioni cristiane e ad altre religioni, a favore del bene comune di tutti i cittadini della Papua Nuova Guinea. La fulgida testimonianza del Beato Pietro To Rot , come affermò San Giovanni Paolo II durante la Messa per la Beatificazione ,“insegna a mettersi generosamente al servizio degli altri per garantire che la società si sviluppi in onestà e giustizia, in armonia e solidarietà”. Il suo esempio, insieme a quelli del Beato Giovanni Mazzucconi, del PIME, e di tutti i missionari che hanno annunciato il Vangelo in questa vostra terra, vi doni forza e speranza. San Michele Arcangelo, Patrono della Papua Nuova Guinea, vegli sempre su di voi e vi difenda da ogni pericolo, protegga le Autorità e tutte le genti di questo Paese. Eccellenza, Lei ha parlato delle donne. Non dimentichiamo che sono loro a portare avanti un Paese. Le donne hanno la forza di dare vita, di costruire, di far crescere un Paese. Non dimentichiamo le donne, che sono al primo posto dello sviluppo umano e spirituale. Eccellenza, Signore e Signori!. Inizio con gioia la mia visita in mezzo a voi. Vi ringrazio di avermi aperto le porte del vostro bel Paese, così lontano da Roma eppure così vicino al cuore della Chiesa cattolica. Perché nel cuore della Chiesa c’è l’amore di Gesù Cristo, che sulla croce ha abbracciato tutti gli uomini. Il suo Vangelo è per tutti i popoli, non è legato a nessun potere terreno, ma è libero per fecondare ogni cultura e far crescere nel mondo il Regno di Dio. Il Vangelo si incultura e le culture vanno evangelizzate. Possa questo Regno di Dio trovare piena accoglienza in questa terra, così che tutte le popolazioni della Papua Nuova Guinea, con la varietà delle loro tradizioni, vivano insieme in armonia e diano al mondo un segno di fraternità”.
Al termine del discorso, il Santo Padre, prima di far ritorno alla Nunziatura Apostolica, ha salutato alcuni bambini e rappresentanti dei popoli nativi, i rappresentanti del Governo, della Società Civile e del Corpo Diplomatico e i Leader di diversi Paesi e Organizzazioni del Pacifico, tra cui il Primo Ministro di Vanuatu, il Presidente di Nauru, il Primo Ministro del Regno di Tonga e il Segretario Generale del Pacific Islands Forum Secretariat.
Nel pomeriggio, invece, Papa Francesco ha fatto visita ai bambini di Street Ministry e Callan Services, presso la Caritas Technical Secondary School , dove è stato accolto dall’Arcivescovo di Port Moresby, Card. John Ribat, dalla Superiora della Comunità delle Caritas Sisters of Jesus , dalla Direttrice della Scuola e da due bambini in abito tradizionale che Gli hanno donato dei fiori.
Dopo un giro tra gli studenti e le studentesse della scuola, il Pontefice, ha preso posto sul palco, dove , ricevuto il benvenuto del Cardinale Arcivescovo di Port Moresby , ha assistito a una danza tradizionale e ha risposto alle domande di alcuni bambini.
A seguire, il Pontefice, ha rivolto un saluto ai bambini e alle bambine, agli studenti e alle studentesse, dicendo: “Sono molto contento di incontrarvi e di condividere con voi questo momento di festa. Ringrazio anche i vostri compagni, che mi hanno fatto due domande impegnative. Uno di loro mi ha chiesto: «Perché non sono come gli altri?». Davvero mi viene una sola risposta a questa domanda ed è: «Perché nessuno di noi è come gli altri: perché siamo tutti unici davanti a Dio!». Perciò, non solo confermo che “c’è speranza per tutti” , come è stato detto , ma aggiungo anche che ciascuno di noi, nel mondo, ha un ruolo e una missione che nessun altro può svolgere e che questo, anche se comporta delle fatiche, dona allo stesso tempo un mare di gioia, in modo diverso per ogni persona. La pace e la gioia è per tutti. È vero, tutti abbiamo dei limiti, delle cose che sappiamo fare meglio, e altre che invece facciamo fatica o non possiamo fare mai, ma non è questo che determina la nostra felicità: piuttosto è l’amore che mettiamo in qualsiasi cosa facciamo, doniamo e riceviamo. Donare amore, sempre, e accogliere a braccia aperte l’amore che riceviamo dalle persone che ci vogliono bene: è questa la cosa più bella e più importante della nostra vita, in qualsiasi condizione e per qualsiasi persona, anche per il Papa, sapete? La nostra gioia non dipende da altro: la nostra gioia dipende dall’amore!. E questo ci porta all’altra domanda: «Come possiamo rendere più bello e felice il nostro mondo?». Certamente con la stessa “ricetta”: imparando giorno per giorno ad amare Dio e gli altri con tutto il cuore! E cercando di apprendere , anche a scuola , tutto quello che possiamo, per farlo nel modo migliore, studiando e impegnandoci al massimo in ogni opportunità che ci viene offerta per crescere, migliorare e affinare i nostri doni e le nostre capacità. Avete mai visto come si prepara un gatto quando deve fare un bel salto? Prima si concentra e punta tutte le sue forze e i suoi muscoli nella direzione giusta. Magari lo fa in un momento veloce, e non lo notiamo nemmeno, ma lo fa. E così anche noi: concentrare tutte le nostre forze sulla meta, che è l’amore per Gesù e in Lui per tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sulla nostra strada, e poi con slancio riempire tutto e tutti con il nostro affetto! In questo senso, nessuno di noi è “di peso” ,come avete detto : tutti siamo doni bellissimi di Dio, un tesoro gli uni per gli altri!. Grazie, bambini, grazie tante per questo incontro, e grazie a tutti voi che lavorate insieme, qui, con amore. Tenete sempre accesa questa luce, che è un segno di speranza non solo per voi, ma per tutti quelli che incontrate, e pure per il nostro mondo, a volte tanto egoista e preoccupato delle cose che non contano. Tenete accesa la luce dell’amore! E mi raccomando, pregate anche per me!”.
Poi, il Santo Padre ha benedetto i presenti e , congedatosi, ha raggiunto in auto il Santuario di Maria Ausiliatrice per l’incontro con i Vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, i Sacerdoti, i Diaconi, i Consacrati e le Consacrate, i Seminaristi e i Catechisti.
Accolto dall’Arcivescovo di Port Moresby, Card. John Ribat, M.S.C., dal Presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, Mons. Otto Separy, Vescovo di Bereina, dal Rettore del Santuario, e da due bambini in abito tradizionale ,che Gli hanno donato dei fiori, Papa Francesco ha raggiunto l’ingresso laterale del Santuario, dove il Rettore gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione.
Quindi, salutato il Presidente della Conferenza Episcopale , ha dapprima ascoltato le testimonianze di una suora, di un sacerdote, di un catechista e di una rappresentante del Sinodo sulla sinodalità, e poi ha pronunciato il Suo discorso.
Il Pontefice ha detto: “Il bel Santuario in cui ci troviamo, che si ispira a quella storia, può essere un simbolo anche per noi, particolarmente in riferimento a tre aspetti del nostro cammino cristiano e missionario, come hanno sottolineato le testimonianze che abbiamo ascoltato: il coraggio di cominciare, la bellezza di esserci e la speranza di crescere. Primo: il coraggio di cominciare. I costruttori di questa chiesa hanno iniziato l’impresa facendo un grande atto di fede, che ha portato i suoi frutti, e che però è stato possibile solo grazie a tanti altri inizi coraggiosi, di chi li ha preceduti. I missionari sono arrivati in questo Paese alla metà del XIX secolo e i primi passi del loro lavoro non sono stati facili, anzi alcuni tentativi sono falliti. Ma loro non si sono arresi: con grande fede e con zelo apostolico hanno continuato a predicare il Vangelo e a servire i fratelli, ricominciando molte volte dove non avevano avuto successo, con tanti sacrifici. Ce lo ricordano queste vetrate , che adesso non si vedono perché è notte , attraverso le quali la luce del sole ci sorride nei volti dei Santi e Beati: donne e uomini di ogni provenienza, legati alla storia della vostra comunità: Pietro Chanel, protomartire dell’Oceania, Giovanni Mazzucconi e Pietro To Rot, martiri della Nuova Guinea, e poi Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Mary McKillop, Maria Goretti, Laura Vicuña, Zeffirino Namuncurà, Francesco di Sales, Giovanni Bosco, Maria Domenica Mazzarello. Tutti fratelli e sorelle che, in modi e tempi diversi, cominciando e ricominciando tante volte opere e cammini, hanno contribuito a portare il Vangelo tra voi, con una variopinta ricchezza di carismi, animati dallo stesso Spirito e dalla stessa carità. È grazie a loro, alle loro “partenze” e “ripartenze” ,i missionari sono donne e uomini di “partenza”, e se tornano, di “ripartenza”: questa è la vita del missionario, partire e ripartire , è grazie a loro che siamo qui e che oggi, nonostante le sfide che pure non mancano, continuiamo ad andare avanti, senza paura , non so se sempre , sapendo che non siamo soli, che è il Signore che agisce, in noi e con noi rendendoci, come loro, strumenti della sua grazia. Questa è la nostra vocazione: essere strumenti. E in proposito, anche alla luce di ciò che abbiamo sentito, vorrei raccomandarvi una via importante verso cui dirigere le vostre “partenze”: quella delle periferie di questo Paese. Penso alle persone appartenenti alle fasce più disagiate delle popolazioni urbane, come anche a quelle che vivono nelle zone più remote e abbandonate, dove a volte manca il necessario. E ancora penso a quelle emarginate e ferite, sia moralmente che fisicamente, dal pregiudizio e dalla superstizione, a volte fino a rischio della vita. A questi fratelli e sorelle ,la Chiesa desidera essere particolarmente vicina, perché in loro Gesù è presente in modo speciale ,e dove c’è Lui, il nostro capo, ci siamo anche noi, sue membra, appartenenti allo stesso corpo, «ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture». E per favore, non dimenticatevi: vicinanza, vicinanza! Voi sapete che i tre atteggiamenti più belli sono la vicinanza, la compassione e la tenerezza. Se una consacrata o un consacrato, un prete, un vescovo, i diaconi non sono vicini, non sono compassionevoli e non sono teneri, non hanno lo Spirito di Gesù. Non dimenticate questo: vicinanza, compassione, tenerezza. E questo ci porta al secondo aspetto: la bellezza di esserci. Possiamo vederla simboleggiata nelle conchiglie kina, con cui è ornato il presbiterio di questa chiesa, e che sono segno di prosperità. Esse ci ricordano che qui il tesoro più bello agli occhi del Padre siamo noi, stretti attorno a Gesù, sotto il manto di Maria, spiritualmente uniti a tutti i fratelli e le sorelle che il Signore ci ha affidato e che non possono essere qui, accesi dal desiderio che il mondo intero possa conoscere il Vangelo e condividerne con noi la forza e la luce. Come si fa a trasmettere ai giovani l’entusiasmo della missione?. Non penso che ci siano “tecniche” per questo. Un modo collaudato, però, è proprio quello di coltivare e condividere con loro la nostra gioia di essere Chiesa , casa accogliente fatta di pietre vive, scelte e preziose, poste dal Signore le une accanto alle altre e cementate dal suo amore. Così, richiamando l’esperienza del Sinodo, stimandoci e rispettandoci a vicenda e mettendoci al servizio gli uni degli altri, possiamo mostrare a loro e a chiunque ci incontri quanto è bello seguire insieme Gesù e annunciare il suo Vangelo. La bellezza di esserci, allora, non si sperimenta tanto in occasione dei grandi eventi e nei momenti di successo, quanto piuttosto nella fedeltà e nell’amore con cui ogni giorno ci si impegna a crescere insieme. E così giungiamo al terzo e ultimo aspetto: la speranza di crescere. In questa Chiesa c’è un’interessante “catechesi in immagini” del passaggio del Mar Rosso, con le figure di Abramo, Isacco e Mosè: i Patriarchi resi fecondi dalla fede, che per aver creduto hanno ricevuto in dono una numerosa discendenza. E questo è un segno importante, perché incoraggia anche noi, oggi, ad avere fiducia nella fecondità del nostro apostolato, continuando a gettare piccoli semi di bene nei solchi del mondo. Sembrano minuscoli, come un granello di senape, ma se ci fidiamo e non smettiamo di spargerli, per grazia di Dio germoglieranno, daranno un raccolto abbondante e produrranno alberi capaci di accogliere gli uccelli del cielo. Lo dice San Paolo, quando ci ricorda che la crescita di ciò che noi seminiamo non è opera nostra, ma del Signore, e lo insegna la Madre Chiesa, quando sottolinea che, pur attraverso i nostri sforzi, è Dio «a far sì che venga il suo regno sulla terra». Perciò noi continuiamo ad evangelizzare, pazientemente, senza lasciarci scoraggiare da difficoltà e incomprensioni, nemmeno quando queste si presentano là dove meno vorremmo incontrarle: in famiglia, ad esempio. Cari fratelli e sorelle, ringraziamo insieme il Signore per come il Vangelo attecchisce e si diffonde in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone. Continuate così la vostra missione, come testimoni di coraggio, di bellezza e di speranza! E non dimenticate lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. Sempre avanti con questo stile del Signore! Vi ringrazio per quello che fate, vi benedico tutti di cuore e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me, perché ne ho bisogno, grazie!”.
Terminato il Suo intervento, il Pontefice ha benedetto i presenti e scambiato doni, per poi fermarsi a salutare i fedeli e le fedeli e rientrare alla Nunziatura Apostolica.
Nella giornata dell’8 settembre , invece, il Santo Padre ha raggiunto il Sir John Guise Stadium per la celebrazione della Santa Messa, alla presenza di 35.000 fedeli. Dopo la proclamazione del Vangelo, dunque, ha pronunciato l’ Omelia: “La prima parola che oggi il Signore ci rivolge è: «Coraggio, non temete!». Il profeta Isaia lo dice a tutti coloro che sono smarriti di cuore. Egli in questo modo incoraggia il suo popolo e, pur in mezzo alle difficoltà e alle sofferenze, lo invita a levare lo sguardo in alto, verso un orizzonte di speranza e di futuro: Dio viene a salvarci, Egli verrà e, in quel giorno, «si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi». Questa profezia si realizza in Gesù. Nel racconto di San Marco vengono messe in evidenza soprattutto due cose: la lontananza del sordomuto e la vicinanza di Gesù. La lontananza del sordomuto. Quest’uomo si trova in una zona geografica che, con il linguaggio di oggi, chiameremmo “periferia”. Il territorio della Decapoli si trova oltre il Giordano, lontano dal centro religioso che è Gerusalemme. Ma quell’uomo sordomuto vive anche un altro tipo di lontananza; egli è lontano da Dio e, è lontano dagli uomini perché non ha la possibilità di comunicare: è sordo e quindi non può ascoltare gli altri, è muto e quindi non può parlare con gli altri. Quest’uomo è tagliato fuori dal mondo, è isolato, è prigioniero della sua sordità e del suo mutismo e, perciò, non può aprirsi agli altri per comunicare. E allora possiamo leggere questa condizione di sordomuto anche in un altro senso, perché può accaderci di essere tagliati fuori dalla comunione e dell’amicizia con Dio e con i fratelli quando, più che le orecchie e la lingua, ad essere bloccato è il cuore. Ci sono una sordità interiore e un mutismo del cuore che dipendono da tutto ciò che ci chiude in noi stessi, ci chiude a Dio e, ci chiude agli altri: l’egoismo, l’indifferenza, la paura di rischiare e di metterci in gioco, il risentimento, l’odio, e l’elenco potrebbe continuare. Tutto ciò ci allontana: da Dio, ci allontana dai fratelli, e anche da noi stessi; e ci allontana dalla gioia di vivere. A questa lontananza, fratelli e sorelle, Dio risponde con il contrario, con la vicinanza di Gesù. Nel suo Figlio, Dio vuole mostrare anzitutto questo: che Egli è il Dio vicino, il Dio compassionevole, che si prende cura della nostra vita, che supera tutte le distanze. E nel brano del Vangelo, infatti, vediamo Gesù che si reca in quei territori periferici, uscendo dalla Giudea, per andare incontro ai pagani. Con la sua vicinanza, Gesù guarisce, guarisce il mutismo e la sordità dell’uomo: quando infatti ci sentiamo lontani, oppure scegliamo di tenerci a distanza , a distanza da Dio, a distanza dai fratelli, a distanza da chi è diverso da noi , allora ci chiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi e finiamo per ruotare solo intorno al nostro io, sordi alla Parola di Dio e al grido del prossimo e perciò incapaci di parlare con Dio e col prossimo. E voi, fratelli e sorelle, che abitate questa terra così lontana, forse avete l’immaginazione di essere separati, separati dal Signore, separati dagli uomini, e questo non va, no: voi siete uniti, uniti nello Spirito Santo, uniti nel Signore! E il Signore dice ad ognuno di voi: “Apriti!”. Questa è la cosa più importante: aprirci a Dio, aprirci ai fratelli, aprirci al Vangelo e farlo diventare la bussola della nostra vita. Anche a voi oggi il Signore dice: “Coraggio, non temere, popolo papuano! Apriti! Apriti alla gioia del Vangelo, apriti all’incontro con Dio, apriti all’amore dei fratelli”. Che nessuno di noi rimanga sordo e muto dinanzi a questo invito. E in questo cammino vi accompagni il Beato Giovanni Mazzucconi: tra tanti disagi e ostilità, egli ha portato Cristo in mezzo a voi, perché nessuno restasse sordo dinanzi al gioioso Messaggio della salvezza, e a tutti si potesse sciogliere la lingua per cantare l’amore di Dio. Che sia così, oggi, anche per voi!”.
Terminata la celebrazione, Papa Francesco ha recitato l’Angelus, dicendo: “Cari fratelli e sorelle, prima di concludere questa celebrazione, ci rivolgiamo alla Vergine Maria con la preghiera dell’Angelus. A lei affido il cammino della Chiesa in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone. Maria aiuto dei cristiani , vi accompagni e vi protegga sempre: rafforzi l’unione delle famiglie, renda belli e coraggiosi i sogni dei giovani, sostenga e consoli gli anziani, conforti i malati e i sofferenti!. E da questa terra così benedetta dal Creatore, vorrei insieme a voi invocare, per intercessione di Maria Santissima, il dono della pace per tutti i popoli. In particolare, lo chiedo per questa grande regione del mondo tra Asia, Oceania e Oceano Pacifico. Pace, pace per le Nazioni e anche per il creato. No al riarmo e allo sfruttamento della casa comune! Sì all’incontro tra i popoli e le culture, sì all’armonia dell’uomo con le creature!. Maria ,Regina della pace, aiutaci a convertirci ai disegni di Dio, che sono disegni di pace e di giustizia per la grande famiglia umana!. In questa domenica, in cui ricorre la festa liturgica della Natività di Maria, il nostro pensiero lo rivolgiamo al Santuario di Lourdes, che purtroppo è stato colpito da un’inondazione”.
Poi, benedetta la folla dei fedeli e delle fedeli, ha incontrato il Primo Ministro di Papua Nuova Guinea e ,congedatosi dalle Autorità civili e religiose, è rientrato in Nunziatura Apostolica.
Altra tappa della giornata dell’8 settembre , l’incontro con i fedeli della Diocesi di Vanimo nella spianata antistante la Cattedrale. Il Pontefice, arrivato all’aeroporto locale, è stato accolto dal Vescovo della Diocesi, Mons. Francis Meli, con cui si è recato alla spianata dove, ricevuto il saluto di benvenuto dallo stesso Vescovo, Mons. Francis Meli, e dopo aver ascoltato le testimonianze di un catechista, di una religiosa e di una famiglia, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso, nel quale ha detto: “Sono contento di incontrarvi in questa terra meravigliosa, terra giovane e missionaria!. Come abbiamo sentito, dalla metà del XIX secolo la missione qui non si è mai interrotta: religiose, religiosi, catechisti e missionari laici non hanno smesso di predicare la Parola di Dio e di offrire aiuto ai fratelli, nella cura pastorale, nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria e in molti altri ambiti, affrontando non poche difficoltà, per essere per tutti strumento “di pace e di amore”. Così le chiese, le scuole, gli ospedali e i centri missionari testimoniano attorno a noi che Cristo è venuto a portare salvezza a tutti, perché ciascuno fiorisca in tutta la sua bellezza per il bene comune. Voi qui siete “esperti” di bellezza, perché siete circondati di bellezza! Vivete in una terra magnifica, ricca di una grande varietà di piante e di uccelli, in cui si resta a bocca aperta davanti ai colori, suoni e profumi, e allo spettacolo grandioso di una natura che esplode di vita, evocando l’immagine dell’Eden!.Ma questa ricchezza il Signore ve l’affida come un segno e uno strumento, perché viviate anche voi così, uniti in armonia con Lui e con i fratelli, rispettando la casa comune e custodendovi a vicenda. Guardandoci attorno, vediamo quanto è dolce lo scenario della natura. Ma rientrando in noi stessi, ci accorgiamo che c’è uno spettacolo ancora più bello: quello di ciò che cresce in noi quando ci amiamo a vicenda. E la nostra missione è proprio questa: diffondere ovunque, attraverso l’amore di Dio e dei fratelli, la bellezza del Vangelo di Cristo !. Abbiamo sentito come alcuni di voi, per farlo, affrontano lunghi viaggi, per raggiungere anche le comunità più lontane, a volte lasciando la propria casa. Fanno una cosa bellissima, ed è importante che non siano lasciati soli, ma che tutta la comunità li sostenga, perché possano svolgere serenamente il loro mandato, specialmente quando devono conciliare le esigenze della missione con le responsabilità della famiglia. C’è però anche un altro modo in cui possiamo aiutarli, ed è che ciascuno di noi promuova l’annuncio missionario là dove vive : a casa, a scuola, negli ambienti di lavoro, perché dappertutto, nelle foreste, nei villaggi e nelle città, alla bellezza dei panorami corrisponda la bellezza di una comunità in cui ci si vuole bene, come Gesù ci ha insegnato quando ci ha detto: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”. Formeremo così, sempre più, come una grande orchestra , capace, con le sue note, di ricomporre le rivalità, di vincere le divisioni, personali, familiari e tribali ; di scacciare dal cuore delle persone la paura, la superstizione e la magia; di porre fine a comportamenti distruttivi come la violenza, l’infedeltà, lo sfruttamento, l’uso di alcool e droghe: mali che imprigionano e rendono infelici tanti fratelli e sorelle, anche qui. Ricordiamolo: l’amore è più forte di tutto questo e la sua bellezza può guarire il mondo, perché ha le sue radici in Dio. Diffondiamolo, perciò, e difendiamolo, anche quando il farlo può costarci qualche incomprensione, qualche opposizione. Ce lo ha testimoniato, con le parole e con l’esempio, il Beato Pietro To Rot , sposo, padre, catechista e martire di questa terra , che ha donato la sua vita proprio per difendere l’unità della famiglia di fronte a chi voleva minarne le fondamenta. Cari amici, molti turisti, dopo aver visitato il vostro Paese, tornano a casa dicendo di aver visto “il paradiso”. Si riferiscono, in genere, alle attrazioni paesaggistiche e ambientali di cui hanno goduto. Noi però sappiamo che, come abbiamo detto, il tesoro più grande non è quello. Ce n’è un altro, più bello e affascinante, che si trova nei vostri cuori e che si manifesta nella carità con cui vi amate. È questo il dono più prezioso che potete condividere e far conoscere a tutti, rendendo Papua Nuova Guinea famosa non solo per la sua varietà di flora e di fauna, per le sue spiagge incantevoli e per il suo mare limpido, ma anche e soprattutto per le persone buone che vi si incontrano; e lo dico specialmente a voi, bambini, con i vostri sorrisi contagiosi e con la vostra gioia prorompente, che sprizza in ogni direzione. Siete l’immagine più bella che chi parte da qui può portare con sé e conservare nel cuore!. Vi incoraggio, perciò, ad abbellire sempre più questa terra felice con la vostra presenza di Chiesa che ama. Vi benedico e prego per voi. E vi raccomando: anche voi pregate per me. Grazie”.
Al termine del Suo discorso, Papa Francesco ha deposto la Rosa d’Oro dinanzi alla statua della Vergine Maria e, dopo la preghiera di consacrazione a Maria da parte del Vescovo, la benedizione e il canto finale, ha compiuto un giro in auto tra i circa 20.000 fedeli presenti, salutati i quali ha raggiunto la Holy Trinity Humanistic School di Baro per un incontro privato con un gruppo di missionari.
Conclusosi l’incontro con i missionari, il Pontefice ha fatto ritorno in aereo a Port Moresby.
Nella giornata del 9 settembre, il Santo Padre ha tenuto un incontro con i giovani, circa 10.000 , secondo le autorità locali, presso il Sir John Guise Stadium. Qui, dopo l’indirizzo di omaggio del Responsabile della Youth Commission, il Vescovo di Kimbe, Mons. John Bosco Auram, cui ha fatto seguito una rappresentazione teatrale, Papa Francesco ha ascoltato le testimonianze di una giovane della Catholic Professional Society, di un ragazzo e di una ragazza.
In seguito, il Santo Padre ha tenuto il Suo discorso: “Cari giovani, buongiorno!. Vi dico una cosa: sono felice di questi giorni trascorsi nel vostro Paese, dove convivono mare, montagne e foreste tropicali; ma soprattutto un Paese giovane abitato da tanti giovani! E il volto giovane del Paese abbiamo potuto contemplarlo tutti, anche attraverso la bella rappresentazione che abbiamo visto qui. Grazie! Grazie per la vostra gioia, per come avete narrato la bellezza di Papua “dove l’Oceano incontra il cielo, dove nascono i sogni e sorgono le sfide”; e soprattutto grazie perché avete lanciato a tutti un augurio importante: “affrontare il futuro con sorrisi di speranza!”. Con sorrisi di gioia.Cari giovani, non volevo ripartire da qui senza incontrarvi, perché voi siete la speranza per il futuro.E come si costruisce il futuro? Che senso vogliamo dare alla nostra vita? Vorrei lasciarmi interpellare da queste domande, a partire da un racconto che si trova all’inizio della Bibbia: il racconto della Torre di Babele. Lì vediamo che si scontrano due modelli, due modi opposti di vivere e di costruire la società: uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli. Confusione da una parte e armonia dall’altra. Questo è importante. E io vi domando, adesso, cosa scegliete voi? Il modello della dispersione o il modello dell’armonia? Cosa scegliete voi?. Siete bravi! C’è una storia che racconta la Scrittura: che, dopo il diluvio universale, i discendenti di Noè si dispersero in diverse isole, ciascuno «secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie». Senza annullare le differenze, Dio concesse loro un modo per entrare in comunicazione e per unirsi; infatti, «tutta la terra aveva un’unica lingua». E questo significa che il Signore ci ha creati per avere un buon rapporto con gli altri. State attenti: non ci ha creato per la confusione, ma per avere un buon rapporto. E questo è molto importante. E davanti a queste differenze di lingue, che dividono, che disperdono, ci vuole una sola lingua che ci aiuti ad essere uniti. Ma io vi domando: qual è la lingua che favorisce l’amicizia, che abbatte i muri di divisione e che ci apra la via per entrare, tutti, in un abbraccio fraterno? Qual è questa lingua? Io vorrei sentire qualcuno di voi coraggioso. Chi è capace di dirmi qual è questa lingua? Chi è il più coraggioso, alzi la mano e venga qui avanti. “L’amore”. Siete convinti di questo? Pensate un po’. E contro l’amore, cosa c’è? L’odio. Ma c’è anche una cosa forse più brutta dell’odio: l’indifferenza verso gli altri. Avete capito che cos’è l’odio e cos’è l’indifferenza? Avete capito?. Sapete che l’indifferenza è una cosa molto brutta, perché tu lasci gli altri sulla strada, non ti interessi di aiutare gli altri. L’indifferenza ha le radici dell’egoismo. Sentite, nella vita, voi che siete giovani, dovete avere l’inquietudine del cuore di prendersi cura degli altri. Voi dovete avere l’inquietudine di fare amicizia fra voi. E voi dovete avere cura di una cosa che io vi dirò adesso, che forse sembra un po’ strana. Una cosa che io dirò adesso e che forse sembra un po’ strana. C’è un rapporto molto importante nella vita del giovane: c’è la vicinanza ai nonni. Siete d’accordo?. Adesso, tutti insieme diciamo: “Viva i nonni!”. Torniamo al racconto biblico dei discendenti di Noè. Ognuno parlava una diversa lingua, anche tanti dialetti. Vi domando: quanti dialetti ci sono qui? Uno? Due? Tre? Ma voi, avete una lingua comune? Pensate bene: avete una lingua comune. La lingua del cuore! La lingua dell’amore! La lingua della vicinanza!. E anche, la lingua del servizio. Vi ringrazio della vostra presenza qui. E mi auguro che tutti voi parliate la lingua più profonda: che tutti voi siate “wantok” dell’amore!. Cari giovani, sono contento del vostro entusiasmo e sono contento di tutto quello che fate, quello che pensate. Ma mi domando ,state attenti alla domanda! , un giovane, può sbagliare. E una persona adulta, può sbagliare?. E un vecchio come me, può sbagliare?. Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. Questo è importante. Noi non siamo superman. Noi possiamo sbagliare. E questo ci dà anche una certezza: che dobbiamo sempre correggerci. Nella vita tutti possiamo cadere, tutti. Ma c’è una canzone molto bella, mi piacerebbe che voi l’imparaste, è una canzone che cantano i giovani quando stanno salendo sulle Alpi, sulle montagne. La canzone dice così: “Nell’arte di salire, quello che importante non è non cadere, ma non rimanere caduto”. Avete capito questo?. Nella vita tutti possiamo cadere, tutti! È importante non cadere? È importante non cadere? Vi domando. Sì, ma cosa è più importante? . Non rimanere caduti. E se tu vedi un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa devi fare? Ridere di quello?. Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi. Pensate che noi soltanto in una situazione della vita possiamo guardare l’altro dall’alto in basso: per aiutarlo a sollevarsi. Per aiutarlo a sollevarsi. Siete d’accordo o non siete d’accordo?. Se uno di voi è caduto, è un po’ giù nella vita morale, se è caduto, tu, voi, dovete dargli una botta, così?. Bravi, bravi. Adesso ripetiamo insieme, per finire. Nella vita l’importante non è non cadere, ma non rimanere caduto .Cari giovani, vi ringrazio della vostra gioia, della vostra presenza, delle vostre illusioni”.
Finito il Suo discorso, dopo l’esecuzione di una danza tradizionale, la recita del Padre Nostro e la benedizione finale, Papa Francesco ha lasciato lo Stadio per raggiungere in auto l’Aeroporto Internazionale di Port Moresby per la cerimonia di congedo dalla Papua Nuova Guinea.
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