di Federica Marengo giovedì 30 ottobre 2025

-Domenica 26 ottobre, Papa Leone XIV ha presieduto nella Basilica Vaticana la Messa in occasione del Giubileo delle Équipe Sinodali e degli organi di partecipazione.
Al termine della proclamazione del Vangelo, il Pontefice ha pronunciato la Sua omelia, nella quale si è soffermato sul “mistero” della Chiesa, sottolineando che essa “non è una semplice istituzione religiosa né si identifica con le gerarchie e con le sue strutture”, ma che , come ricordato dal Concilio Vaticano II, “è il segno visibile dell’unione tra Dio e l’umanità, del suo progetto di radunarci tutti in un’unica famiglia di fratelli e sorelle e di farci diventare suo popolo: un popolo di figli amati, tutti legati nell’unico abbraccio del suo amore”.
Per il Santo Padre, dunque, alla luce di tale “mistero”, si può comprendere anche il significato delle équipe sinodali e degli organi di partecipazione, che “esprimono quanto accade nella Chiesa, dove le relazioni non rispondono alle logiche del potere ,ma a quelle dell’amore”, “regola suprema”, in base alla quale, “nessuno è chiamato a comandare, tutti sono chiamati a servire; nessuno deve imporre le proprie idee”, tutti devono reciprocamente ascoltarsi , tutti sono chiamati a partecipare e nessuno possiede la verità tutta intera, “verità che va cercata umilmente, tutti insieme”.
Quindi, per Papa Leone XIV è proprio la parola “insieme” ad esprimere “ la chiamata alla comunione nella Chiesa”, come ha ricordato Papa Francesco nel Suo ultimo messaggio, in occasione della Quaresima: “Camminare insieme, essere sinodali, questa è la vocazione della Chiesa. I cristiani sono chiamati a fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi stessi. Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio”.
Poi, il Pontefice, riferendosi al brano del Vangelo del giorno, incentrato sulle figure del fariseo e del pubblicano, ha sottolineato: “Il fariseo e il pubblicano salgono tutti e due al Tempio a pregare, potremmo dire che “salgono insieme” o comunque si ritrovano insieme nel luogo sacro; eppure, essi sono divisi e tra loro non c’è nessuna comunicazione. Tutti e due fanno la stessa strada, ma il loro non è un camminare insieme; tutti e due si trovano nel Tempio, ma uno si prende il primo posto e l’altro rimane all’ultimo; tutti e due pregano il Padre, ma senza essere fratelli e senza condividere nulla. Ciò dipende soprattutto dall’atteggiamento del fariseo. La sua preghiera, apparentemente rivolta a Dio, è soltanto uno specchio in cui egli guarda sé stesso, giustifica sé stesso, elogia sé stesso. È ossessionato dal proprio io e, in tal modo, finisce per ruotare intorno a sé stesso senza avere una relazione né con Dio e né con gli altri”.
Per il Pontefice, ciò può succedere anche nella Comunità cristiana, “quando l’io prevale sul noi, generando personalismi che impediscono relazioni autentiche e fraterne; quando la pretesa di essere migliori degli altri, come fa il fariseo col pubblicano, crea divisione e trasforma la Comunità in un luogo giudicante ed escludente; quando si fa leva sul proprio ruolo per esercitare il potere e occupare spazi”.
Perciò, ha evidenziato il Santo Padre, “È al pubblicano che dobbiamo guardare e, con la sua stessa umiltà, dobbiamo tutti riconoscerci bisognosi di Dio e bisognosi gli uni degli altri, esercitandoci nell’amore vicendevole, nell’ascolto reciproco, nella gioia del camminare insieme”, sapendo che: “il Cristo appartiene a coloro che sentono umilmente, non a coloro che si innalzano al di sopra del gregge”.
Pertanto, essendo le équipe sinodali e gli organi di partecipazione “immagine della Chiesa che vive nella comunione”, Papa Leone XIV ha esortato all’ascolto dello Spirito, al dialogo, alla fraternità e alla parresìa, per “camminare insieme alla ricerca di Dio” e per rendere collegiale e accogliente lo spazio ecclesiale, in modo da “abitare con fiducia e con spirito nuovo le tensioni che attraversano la vita della Chiesa , tra unità e diversità, tradizione e novità, autorità e partecipazione , lasciando che lo Spirito le trasformi, perché non diventino contrapposizioni ideologiche e polarizzazioni dannose”, ma siano armonizzate e orientate dallo Spirito Santo verso un discernimento comune, che “richiede libertà interiore, umiltà, preghiera, fiducia reciproca, apertura alle novità e abbandono alla volontà di Dio” e “non affermazione di un punto di vista personale o di gruppo” “né somma di pareri individuali”.
Ancora, rivolgendosi alle équipe sinodali e agli organi di partecipazione, il Pontefice ha detto: “Dobbiamo sognare e costruire una Chiesa umile. Una Chiesa che non sta dritta in piedi come il fariseo, trionfante e gonfia di sé stessa, ma si abbassa per lavare i piedi dell’umanità; una Chiesa che non giudica come fa il fariseo col pubblicano, ma si fa luogo ospitale per tutti e per ciascuno; una Chiesa che non si chiude in sé stessa, ma resta in ascolto di Dio per poter allo stesso modo ascoltare tutti”, invitando a “ costruire una Chiesa tutta sinodale, tutta ministeriale, tutta attratta da Cristo e perciò protesa al servizio del mondo”.
In ultimo, in conclusione della Sua omelia, il Santo Padre ha invocato su tutti e sulla “Chiesa sparsa nel mondo”, l’intercessione della Vergine Maria, citando le parole di Don Tonino Bello e ha chiesto al Signore la grazia di essere “radicati nell’amore di Dio”, ed “ed essere, come Chiesa, testimoni di unità e di amore”.
A seguire, terminata la Messa, Papa Leone XIV, dalla finestra dello studio, nel Palazzo Apostolico Vaticano ,ha pronunciato un breve discorso e ha recitato la preghiera dell’Angelus con i fedeli ed i pellegrini riunitisi in Piazza San Pietro, tornando sul brano del Vangelo odierno con protagonisti un fariseo e un pubblicano che pregano nel tempio.
Il Pontefice , quindi, ha riflettuto su queste due figure, sottolineando: il fariseo “ vanta un lungo elenco di meriti. Le opere buone che compie sono molte, e per questo si sente migliore degli altri, che giudica in modo sprezzante. Sta in piedi, a testa alta. Il suo atteggiamento è chiaramente presuntuoso: denota un’osservanza della Legge esatta, sì, ma povera d’amore, fatta di “dare” e di “avere”, di debiti e crediti, priva di misericordia. Anche il pubblicano sta pregando, ma in modo molto diverso. Ha tanto da farsi perdonare: è un esattore al soldo dell’Impero romano, e lavora con un contratto di appalto che gli permette di speculare sui proventi a scapito dei suoi stessi connazionali. Eppure, alla fine della parabola, Gesù ci dice che proprio lui, tra i due, è quello che torna a casa “giustificato”, cioè perdonato e rinnovato dall’incontro con Dio. Perché?. Anzitutto, il pubblicano ha il coraggio e l’umiltà di presentarsi davanti a Dio. Non si chiude nel suo mondo, non si rassegna al male che ha fatto. Lascia i luoghi in cui è temuto, al sicuro, protetto dal potere che esercita sugli altri. Viene al Tempio da solo, senza scorta, anche a costo di affrontare sguardi duri e giudizi taglienti, e si mette davanti al Signore, in fondo, a testa bassa, pronunciando poche parole: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Quindi, ha continuato il Santo Padre, “ Gesù ci dà un messaggio potente: non è ostentando i propri meriti che ci si salva, né nascondendo i propri errori, ma presentandosi onestamente, così come siamo, davanti a Dio, a sé stessi e agli altri, chiedendo perdono e affidandosi alla grazia del Signore”.
Allo stesso modo, “Sant’Agostino paragona il fariseo a un malato che, per vergogna e orgoglio, nasconde al medico le sue piaghe, e il pubblicano a un altro che, con umiltà e saggezza, mette a nudo davanti al dottore le proprie ferite, per quanto brutte a vedersi, chiedendo aiuto. E conclude: “Non ci stupisce se quel pubblicano, che non ebbe vergogna a mostrare la sua parte malata, se ne tornò guarito”.
Da ciò, Papa Leone XIV, affidando tutti a Maria, “modello di santità”, ha esortato i fedeli e le fedeli a non avere paura di riconoscere gli errori, di metterli a nudo e affidarli a Dio, affinché cresca in noi il Suo Regno, che “non appartiene ai superbi, ma agli umili”, e che si coltiva, nella preghiera e nella vita, attraverso l’onestà, il perdono e la gratitudine.
Dopo la preghiera dell’Angelus e, prima dei saluti, il Pontefice , contemplando i misteri di Cristo insieme con la Vergine Maria , ha espresso vicinanza e affetto alle popolazioni del Messico orientale, colpite da un’ alluvione e ha pregato nuovamente per la pace e per gli operatori di pace e, per quanti: bambini, madri, padri e anziani sono vittime delle guerre.
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