E’ iniziata giovedì 17 ottobre e si concluderà domenica 27, presso l’Auditorium Parco della Musica,della Capitale, la 14.ma edizione della Festa del Cinema di Roma, che ogni anno, nelle categorie “Selezione Ufficiale” e “Tutti ne parlano”, offre il meglio delle nuove uscite cinematografiche nazionali e internazionali. Presentato nel secondo giorno della manifestazione, dedicata quest’anno alle donne e alle dive, come Greta Garbo, icona presa a simbolo della kermesse, il documentario “Pavarotti”, sulla vita e la carriera del tenore Luciano Pavarotti, diretto da Ron Howard, ex attore divenuto celebre per la serie Tv “Happy Days”, da qualche decennio regista di film Oscar, come “A Beautiful Mind”, “Il codice Da Vinci” e “Angeli e demoni”, questi ultimi tratti dai thriller omonimi di Dan Brown. Spazio, poi, anche per l’amarcord, nella sezione “Alice nella città”, che propone alle giovani generazioni dei classici del grande schermo restaurati. Proiettato per l’occasione, a trentuno anni dall’uscita nelle sale: “Compagni di scuola” di Carlo Verdone, che in una conversazione a margine della visione del film, ha svelato alcuni aneddoti sulla realizzazione della commedia.
di Federica Marengo sabato 19 ottobre 2019
Il mito di Roma, di Cinecittà, della “Hollywood sul Tevere”, rivive da circa quattordici anni ogni autunno grazie alla Festa del Cinema, che si svolge nella Capitale, presso l’Auditorium Parco della Musica. Anche quest’anno, la manifestazione diretta dal docente e critico Antonio Monda, iniziata giovedì scorso, 17 ottobre, e , che si concluderà domenica 27, offre un ricco calendario di proiezioni tra le più attese a livello nazionale e internazionale.
Ieri, secondo giorno di kermesse, mentre ancora era forte la eco del successo di “Motherless Brooklyn-I segreti di una città”, un noir diretto e interpretato da Edward Norton, il regista Ron Howard, ex attore divenuto celebre negli anni Settanta, con la serie Tv “Happy Days”, già autore di pellicole da Oscar e pluripremiate come “A Beautiful Mind”, “Il codice Da Vinci” e “Angeli e demoni”, tratte queste ultime dagli omonimi romanzi di Dan Brown, ha presentato “Pavarotti”, il suo secondo documentario, dopo quello del 2016 sui “Beatles”, dedicato alla vita e alla carriera del tenore modenese Luciano Pavarotti, scomparso nel 2007, in seguito a una malattia.
“Pavarotti era interessante come soggetto , perché era molto conosciuto nel mondo come artista, ma si sapeva ben poco della sua vita. Io, da non esperto di lirica , ho capito che la sua vita aveva qualcosa di analogo all’opera : in alcune sue esibizioni sentivo che cantava , ma anche che forse quella non era solo una recita , aveva invece un reale rapporto emotivo con la sua vita , così abbiamo costruito il film intorno a delle arie. La famiglia poi si è mostrata molto disponibile ad essere intervistata e a darci accesso a un materiale inedito, che mostra ancora di più l’onestà e la positività di Pavarotti”, ha dichiarato ai giornalisti, a margine della proiezione, il regista americano, spigando il lavoro paziente di selezione delle immagini, private e di scena, scelte per realizzare il film, nel quale, al racconto della vita del “tenore pop”, si alterano le testimonianze e le interviste di amici e colleghi, come Placido Domingo e José Carreras, con i quali nel 1990 diede vita al trio che, in occasione dei Mondiali di calcio, incantò, restando nella storia della musica e dello Spettacolo, la platea delle Terme di Caracalla, con un indimenticabile “Nessun dorma” dalla Turandot di Giacomo Puccini.
Come pure ricca di senso è la testimonianza del cantante degli U2, Bono Vox, con il quale Pavarotti, duettò in numerose edizioni del “Pavarotti and friends”, l’evento canoro cui il tenore dava vita ogni anno , a partire dal 1994, per finanziare campagne benefiche e con il quale avvicinò la lirica e l’ opera alla musica pop, inaugurando un genere destinato ad avere successo e a fare proseliti negli anni, anche tra i giovani.
“E’ stato difficile scegliere cosa raccontare. La sua è stata una vita da opera, una vita come quelle che rappresentava sulla scena”, ha continuato Howard, descrivendo la vita del tenore, la cui carriera si è intrecciata alle vicende familiari, agli amori, per la prima moglie, Adua e le figlie Cristiana e Giuliana, e per la seconda, Nicoletta Mantovani, che lo ha reso padre per la terza volta di Alice.
Un’esistenza , quella di “Big Luciano”, segnata dai successi, dalla vendita di oltre 100 milioni di dischi, ma anche da una sorprendente e inusuale, per artisti del suo calibro, umiltà, che lo induceva allo studio ,all’esercizio rigoroso e continuo, ma anche alla genuinità e alla prossimità alla gente, che intendeva avvicinare al melodramma, perché diceva : “l’opera è una forma d’arte nata per il popolo”.
Un ritratto , dunque, prodotto dalla Nexo Digital, nelle sale soltanto per tre giorni , dal 28 al 30 ottobre, da cui emerge una costante: l’amore, in nome del quale Pavarotti ha vissuto l’intera esistenza: amore per la lirica, la famiglia, gli amici, la buona tavola , la gente, il pubblico e grazie al quale non si è risparmiato fino alla fine, quando , seppur ammalato, ha continuato a donare il suo talento e la sua esperienza ai giovani allievi.
Insomma, una favola o più realisticamente, la storia di un uomo, che ha creduto fino in fondo nei sogni e, con ottimismo e perseveranza, li ha realizzati, trasformandosi da figlio di un fornaio e maestro di Ginnastica, in una superstella dell’opera e in un mito senza tempo.
Proseguendo poi, sempre sul filone dell’amarcord, nella stessa giornata, nella sezione “Alice nella città”, in cui vengono riproposti per i giovani classici restaurati, è stato proiettato, in una sala strapiena di adolescenti, a trentuno anni dalla sua uscita, il film di Carlo Verdone, “Compagni di scuola”.
Presenti, oltre al regista-attore, parte del cast: da Nancy Brilli a Christian De Sica, passando per Fabio Traversi, il bistrattato “Fabris” della pellicola.
Malgrado i ragazzi, accorsi per incontrare Verdone, non fossero ancora nati nel 1988, anno in cui il film fu proiettato nelle sale per la prima volta, tutti hanno scandito, più o meno all’unisono, le battute, mandate a memoria, perché la vicenda dei compagni di classe, che si rincontrano a quindici anni di distanza dalla Maturità, mettendo a nudo tutte le proprie solitudini e debolezze, è una tragicommedia universale e senza tempo, in cui tutti possono riconoscersi, e che per questo viene tramandata di generazione in generazione , di genitore in figlio.
“Sono molto emozionato di vedere in sala un film dell’88 ed è vero che è ispirato a qualcosa di vero. Ci fu una cena nell’’83 o ’84, un amico mi disse: “stiamo organizzando di trovarci tutti quelli della III A” e io andai. Arrivai in un ristorante sulla Flaminia e li trovai tutti che ridevano. Dal lì, la serata è degenerata perché hanno incominciato a prendere di mira un amico, che poi è scomparso; pezzi di abbacchio e pollo addosso a quel ragazzo, finché venne l’oste che ci voleva cacciare. Fu una serata difficilissima, perché, nonostante fossero tutti professionisti, con famiglia, coi figli, si erano messi a replicare i meccanismi del liceo. Da quella mia esperienza e poi dalla visione de “Il grande freddo” venne l’idea del film, che per me fu un grande passo perché volevo dimostrare di saper gestire un cast corale e, infatti, di personaggi ce ne sono 23. Devo molto a questo cast, perché puoi essere un regista bravo finché ti pare , ma un film non si fa mai da solo”, ha raccontato Verdone, a margine della proiezione, continuando: “Quando il film uscì temevo il giudizio del pubblico perché io venivo dalla commedia brillante, dialettale. Certo avevo già fatto “Io e mia sorella”.Quando uscì, lo sceneggiatore De Bernardi lo vide a Firenze al primo spettacolo e c’erano 12/15 persone, che sembrano poche, ma non erano male. I miei amici andarono al Metropolitan in via del Corso, tutti uscivano storditi perché non ritrovavano i miei personaggi ,ma ne erano rimasti colpiti, perché era un film cinico e vero. La mia segreteria telefonica era piena di messaggi che dicevano: “Il film è bello, ma certo un pugno, ma tu stai bene?Chiamami”. Fu uno choc anche per i recensori. La critica mi diede due stelle e io ci rimasi male, ma mio padre mi rassicurò, dicendomi che il film sarebbe cresciuto. E se siamo oggi qua, ancora numerosi, a parlarne, significa che il film è immortale, perché racconta la fragilità degli uomini e sarà sempre attuale”.
Se avete una reunion di classe, siete avvisati.
©Riproduzione riservata