di Federica Marengo sabato 20 dicembre 2025

-Nella mattina del 30 novembre, quarto e ultimo giorno della Sua permanenza a Istanbul, Papa Leone XIV, si è recato presso la Cattedrale Armena Apostolica, per la visita di Preghiera, nel corso della quale ha pronunciato un discorso di saluto al Patriarca armeno Sahak II , in cui , invitando a ripristinare l’unità nella Chiesa, attraverso un dialogo di carità, che non implica assorbimento o dominio, ma uno scambio di doni ricevuti dallo Spirito Santo da entrambe le Chiese, ha sottolineato: “In occasione del 1700° anniversario del primo Concilio ecumenico, la mia visita è naturalmente l’opportunità per celebrare il Credo Niceno. È da questa fede apostolica comune che dobbiamo attingere per recuperare l’unità che esisteva nei primi secoli tra la Chiesa di Roma e le antiche Chiese Orientali. Dobbiamo anche trarre ispirazione dall’esperienza della Chiesa nascente per ripristinare la piena comunione, una comunione che non implica assorbimento o dominio, ma piuttosto uno scambio dei doni che le nostre Chiese hanno ricevuto dallo Spirito Santo per la gloria di Dio Padre e l’edificazione del corpo di Cristo. Auspico che la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali possa riprendere prontamente il suo fecondo lavoro, alla ricerca di un modello di piena comunione «insieme, naturalmente», come auspicava Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica “Ut unum sint”. In questo cammino verso l’unità, siamo preceduti e circondati da “una grande schiera di testimoni”. Tra i santi della tradizione armena, vorrei ricordare il grande Catholicos e poeta del XII secolo Nerses IV Shnorhali, di cui abbiamo recentemente commemorato l’850° anniversario della morte, il quale ha lavorato instancabilmente per riconciliare le Chiese, al fine di realizzare la preghiera di Cristo “che tutti siano una cosa sola”. Possa l’esempio di San Nerses ispirarci e la sua preghiera sostenerci nel cammino verso la piena comunione”.
A seguire, il Pontefice, ha raggiunto la chiesa Patriarcale di San Giorgio, per partecipare alla Divina Liturgia, presieduta dal Patriarca Bartolomeo I, nella quale ha tenuto la Sua omelia.
Il Santo Padre, invocando l’impegno delle Chiese affinché prosegua il cammino di riconciliazione, nonostante gli ostacoli, ha evidenziato: “Per rimanere fedeli alla volontà del Signore di prenderci cura non solo dei nostri fratelli e sorelle nella fede, ma di tutta l’umanità e dell’intero creato, le nostre Chiese sono chiamate a rispondere insieme agli appelli che lo Spirito Santo rivolge loro oggi. Innanzitutto, in questo tempo di sanguinosi conflitti e violenze in luoghi vicini e lontani, i cattolici e gli ortodossi sono chiamati ad essere costruttori di pace. Si tratta certamente di agire e di porre delle scelte e dei segni che edificano la pace, ma senza dimenticare che essa non è solo il frutto di un impegno umano, bensì è dono di Dio. Perciò, la pace si chiede con la preghiera, con la penitenza, con la contemplazione, con quella relazione viva col Signore che ci aiuta a discernere parole, gesti e azioni da intraprendere, perché siano veramente a servizio della pace. Un’altra sfida che le nostre Chiese devono affrontare è la minacciosa crisi ecologica che, come Sua Santità ha spesso ricordato, richiede un’autentica conversione spirituale per cambiare direzione e salvaguardare il creato. Cattolici e ortodossi siamo chiamati a collaborare per promuovere una nuova mentalità in cui tutti si sentano custodi del creato che Dio ci ha affidato. Una terza sfida che vorrei menzionare è l’uso delle nuove tecnologie, specialmente nel campo della comunicazione. Consapevoli degli enormi vantaggi che esse possono offrire all’umanità, cattolici e ortodossi devono operare insieme per promuoverne un uso responsabile al servizio dello sviluppo integrale delle persone, e un’accessibilità universale, perché tali benefici non siano solo riservati a un piccolo numero di persone e a interessi di pochi privilegiati. Nel rispondere a queste sfide, sono fiducioso che tutti i cristiani, i membri di altre tradizioni religiose e molte donne e uomini di buona volontà possano cooperare in armonia e lavorare al bene comune”.
Al termine della Divina Liturgia, il Santo Padre e il Patriarca Bartolomeo I, affacciati dal balcone del Fanar, la sede del Patriarcato, hanno impartito la Benedizione ecumenica congiunta alla folla, radunatasi nel cortile della chiesa di San Giorgio.
Poi, nel primo pomeriggio, l’aereo con a bordo Papa Leone XIV è decollato dall’aeroporto di Istanbul per Beirut, seconda tappa del Suo primo Viaggio Apostolico.
Prima di partire per il Libano, il Pontefice, nel corso della cerimonia di congedo dalla Turchia, ha pronunciato un breve discorso ,nel quale ha ringraziato sinceramente le autorità civili e religiose, il popolo turco e il Patriarcato Ecumenico “per la calorosa e fraterna accoglienza” riservataGli, esortando a “camminare insieme nella verità, nell’amicizia, confidando umilmente nell’aiuto di Dio”.
A bordo del volo, il Santo Padre ha tenuto una conferenza stampa, nella quale, rispondendo alle domande dei giornalisti e delle giornaliste, ha parlato del possibile ruolo di Paese mediatore rivestito dalla Turchia nelle guerre in corso in Medio Oriente e in Ucraina, sottolineando: “Certamente abbiamo parlato di tutte e due le situazioni. La Santa Sede già da diversi anni pubblicamente appoggia la proposta di una soluzione dei due Stati. Sappiamo tutti che in questo momento ancora Israele non accetta questa soluzione, ma la vediamo come unica soluzione che potrebbe offrire , diciamo ,una soluzione al conflitto che continuamente vivono. Noi siamo anche amici di Israele e cerchiamo con le due parti di essere una voce mediatrice che possa aiutare ad avvicinarci a una soluzione con giustizia per tutti. Abbiamo parlato di questo con il presidente Erdogan, lui certamente è d’accordo con questa proposta. La Turchia ha un ruolo importante che potrebbe giocare in questo. Lo stesso con l’Ucraina. Già qualche mese fa con la possibilità di dialogo tra le parti Ucraina e Russia, il presidente ha aiutato molto a convocare le due parti. Ancora non abbiamo visto purtroppo una soluzione, però oggi di nuovo ci sono proposte concrete per la pace. E speriamo che il presidente Erdogan con il suo rapporto con il presidente di Ucraina, della Russia e degli Stati Uniti, possa aiutare in questo senso a promuovere il dialogo, il cessate il fuoco e vedere come risolvere questo conflitto, questa guerra in Ucraina”.
Infine, Papa Leone XIV ha confermato la possibilità del viaggio ecumenico a Gerusalemme per il Giubileo della Redenzione, che si terrà nel 2033, in occasione dei 2000 anni.
Il Pontefice , quindi, è atterrato nel tardo pomeriggio all’aeroporto internazionale di Beirut-Hariri, dove ha tenuto una serie di incontri istituzionali.
Successivamente, il Santo Padre si è spostato in automobile verso il Palazzo Presidenziale, sulla collina di Baadba, accolto e salutato con afferro dalla gente per le strade della città, nonostante la pioggia battente.
All’interno del Palazzo Presidenziale , dopo aver piantumato e benedetto in giardino un “cedro dell’amicizia”, simbolo del Libano, con il Presidente libanese Aoun e aver firmato il Libri d’Onore, Papa Leone XIV ha incontrato le autorità, i rappresentanti della società civile e il corpo diplomatico e ha tenuto un discorso, nel quale, ringraziando per l’accoglienza, ha evidenziato: “È una grande gioia incontrarvi e visitare questa terra in cui “pace” è molto più di una parola: qui la pace è un desiderio e una vocazione, è un dono e un cantiere sempre aperto. Voi siete investiti di autorità in questo Paese, ciascuno nei propri ambiti e con ruoli specifici. È alla luce di questa autorità che desidero rivolgervi la parola di Gesù, scelta come ispirazione fondamentale di questo mio viaggio: “Beati gli operatori di pace!”. Certo, vi sono milioni di Libanesi, qui e nel mondo intero, che servono la pace silenziosamente, giorno dopo giorno. A voi, però, che avete compiti istituzionali importanti all’interno di questo popolo, è destinata una speciale beatitudine se a tutto potrete dire di avere anteposto l’obiettivo della pace. Desidero, in questo nostro incontro, riflettere un po’ con voi su che cosa significhi essere operatori di pace entro circostanze molto complesse, conflittuali e incerte. Oltre alle bellezze naturali e alle ricchezze culturali del Libano, già elogiate da tutti i miei Predecessori che hanno visitato il vostro Paese, risplende una qualità che distingue i Libanesi: siete un popolo che non soccombe, ma che, di fronte alle prove, sa sempre rinascere con coraggio. La vostra resilienza è caratteristica imprescindibile degli autentici operatori di pace: l’opera della pace, infatti, è un continuo ricominciare. L’impegno e l’amore per la pace non conosce paura di fronte alle sconfitte apparenti, non si lascia piegare dalle delusioni, ma sa guardare lontano, accogliendo e abbracciando con speranza tutte le realtà. Ci vuole tenacia per costruire la pace; ci vuole perseveranza per custodire e far crescere la vita”.
Quindi, dopo essersi soffermato sulle caratteriste degli operatori di pace, quali: la capacità di ricominciare attraverso l’ardua via della riconciliazione, l’apertura verso il futuro e la capacità di rimanere, collaborando giorno per giorno allo sviluppo della civiltà dell’amore e della pace, il Pontefice ha evidenziato il ruolo delle donne per custodire e costruire la pace, dicendo: “Non dimentichiamo che le donne hanno una specifica capacità di operare la pace, perché sanno custodire e sviluppare legami profondi con la vita e con le persone. La loro partecipazione alla vita sociale e politica, così come a quella delle proprie comunità religiose, similmente all’energia che viene dai giovani, rappresenta in tutto il mondo un fattore di vero rinnovamento. Beate, dunque, le operatrici di pace e beati i giovani che restano o che ritornano, perché il Libano sia ancora una terra piena di vita”.
Infine, il Santo Padre ha sottolineato un’altra caratteristica propria della cultura libanese: avere a cuore la musica: “Questo tratto della vostra cultura ci aiuta a comprendere che la pace non è soltanto il risultato di un impegno umano, per quanto necessario: la pace è un dono che viene da Dio e che, innanzitutto, abita il nostro cuore. È come un movimento interiore che si riversa verso l’esterno, abilitandoci a lasciarci guidare da una melodia più grande di noi stessi, quella dell’amore divino. Chi danza avanza leggero, senza calpestare la terra, armonizzando i propri passi con quelli degli altri. Così è la pace: un cammino mosso dallo Spirito, che mette il cuore in ascolto e lo rende più attento e rispettoso verso l’altro. Possa crescere fra voi questo desiderio di pace che nasce da Dio e può trasformare già oggi il modo di guardare gli altri e di abitare insieme questa Terra che Egli ama profondamente e continua a benedire”.
Terminato l’incontro con le autorità libanesi, Papa Leone XIV si è recato ad Harissa, presso il Monastero delle Sorelle Carmelitane della Theotokos, per una visita in cui ha ricordato il valore di umiltà, preghiera e sacrificio, “cuore della loro vocazione”.
Nella mattina del 1° dicembre, seconda giornata della seconda tappa in Libano del Suo Viaggio Apostolico, il Pontefice visitato e pregato sulla tomba di San Charbel Maklūf, presso il Monastero di San Maroun, ad Annaya, chiedendo la pace per il mondo.
Il Santo Padre ha poi rivolto un saluto al Superiore Generale del Monastero e ai presenti, confratelli e consorelle, nel quale, parlando dell’eredità e degli insegnamenti di San Charbel, ha detto:
“Lo Spirito Santo lo ha plasmato, perché a chi vive senza Dio insegnasse la preghiera, a chi vive nel rumore insegnasse il silenzio, a chi vive per apparire insegnasse la modestia, a chi cerca le ricchezze insegnasse la povertà. Sono tutti comportamenti contro-corrente, ma proprio per questo ne siamo attratti, come l’acqua fresca e pura per chi cammina in un deserto. In particolare, a noi vescovi e ministri ordinati, San Charbel richiama le esigenze evangeliche della nostra vocazione. Ma la sua coerenza, tanto radicale quanto umile, è un messaggio per tutti i cristiani. E poi c’è un altro aspetto che è decisivo: San Charbel non ha mai smesso di intercedere per noi presso il Padre Celeste, fonte di ogni bene e di ogni grazia. Già durante la sua vita terrena molti andavano da lui per ricevere dal Signore conforto, perdono, consiglio. Dopo la sua morte tutto questo si è moltiplicato ed è diventato come un fiume di misericordia. Anche per questo, ogni 22 del mese, ci sono migliaia di pellegrini che vengono qui da diversi Paesi per passare una giornata di preghiera e di ristoro dell’anima e del corpo”.
A conclusione del Suo discorso di saluto, Papa Leone XIV ha chiesto l’intercessione di San Chabel per la comunione e l’unità nella Chiesa , in famiglia, nelle comunità parrocchiali e diocesane e la pace per il mondo.
Successivamente, spostatosi in auto presso il Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa, il Pontefice ha incontrato i Vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate e gli operatori pastorali, che hanno raccontato storie di solidarietà, guerra, migrazione e di pastorale carceraria, prima che pronunciasse il Suo discorso, nel quale ha sottolineato come “rimanere ancorati al cielo sia l’unico modo di costruire la pace”.
Nel pomeriggio, invece, il Santo Padre ha tenuto un incontro ecumenico e interreligioso in Piazza dei Martiri a Beirut, dove , insieme con gli altri leader religiosi, ha invocato il dono della pace e, al termine della celebrazione, ha piantumato insieme con loro un ulivo, simbolo, per l’appunto, di pace.
Nel Suo discorso, Papa Leone XIV ha sottolineato: “Sebbene il ministero pubblico di Gesù si sia svolto principalmente in Galilea e in Giudea, i Vangeli riportano anche episodi in cui egli visitò la regione della Decapoli , nonché i dintorni di Tiro e Sidone , dove incontrò la donna siro-fenicia, la cui incrollabile fede lo portò a guarire sua figlia. Perciò, questa terra significa più di un semplice luogo d’incontro tra Gesù e una madre implorante: diventa un luogo in cui umiltà, fiducia e perseveranza superano ogni barriera e incontrano l’amore sconfinato di Dio, che abbraccia ogni cuore umano. In effetti, questo è “il nucleo stesso del dialogo interreligioso: la scoperta della presenza di Dio al di là di ogni confine e l’invito a cercarlo insieme con riverenza e umiltà”. Se il Libano è rinomato per i suoi maestosi cedri, anche l’olivo rappresenta una pietra miliare del suo patrimonio. L’olivo non solo abbellisce lo spazio in cui ci riuniamo oggi, ma è anche lodato nei testi sacri del Cristianesimo, dell’Ebraismo e dell’Islam, servendo come simbolo senza tempo di riconciliazione e pace. La sua lunga vita e la straordinaria capacità di prosperare anche negli ambienti più difficili simboleggiano resistenza e speranza, nonché quel perdurante impegno, che è necessario per coltivare una convivenza pacifica. Da questo albero è tratto un olio che guarisce , un balsamo per le ferite fisiche e spirituali , manifestando la compassione infinita di Dio per tutti coloro che soffrono. Inoltre, l’olio fornisce anche luce, richiamando l’appello ad illuminare i nostri cuori attraverso la fede, la carità e l’umiltà. Come le radici dei cedri e degli ulivi penetrano in profondità e si estendono ampiamente sulla terra, così anche il popolo libanese è sparso in tutto il mondo, ma unito dalla forza duratura e dal patrimonio senza tempo della vostra terra natale. La vostra presenza qui e nel mondo arricchisce la terra con il vostro patrimonio millenario, ma rappresenta anche una vocazione. In una globalità sempre più interconnessa, siete chiamati a essere costruttori di pace: a contrastare l’intolleranza, superare la violenza e bandire l’esclusione, illuminando il cammino verso la giustizia e la concordia per tutti, attraverso la testimonianza della vostra fede”.
Ancora, nel tardo pomeriggio, terminato l’incontro ecumenico e interreligioso, il Pontefice ha incontrato i giovani nel piazzale antistante il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti( Bkerké), ai quali ha rivolto un discorso, in cui ha esortato questi ultimi a fare buon uso del dono che hanno, “il tempo”, per sognare , compire il bene e costruire la pace e per cercare relazioni solide e durature “in un mondo che sembra porre scadenze persino all’amore”.
A seguire, concluso l’incontro con i Giovani, il Santo Padre ha ricevuto presso la Nunziatura , lo Sheikh Abdul Latif Derian, Gran Mufti del Paese, lo Sheikh Ali al-Khatib, Vice Presidente del Consiglio Supremo Islamico Sciita, lo Sheikh Ali Kaddour, Presidente del Consiglio Islamico Alawita, e lo Sheikh Sami Abu al-Muna, leader della Comunità Drusa, con cui ha parlato dei buoni rapporti tra le diverse comunità religiose, auspicando che si conservi la pluralità e la convivenza che rendono unico il Libano , mettendo fine alla violenza che ostacola la serenità e la vita stessa delle comunità.
Nella terza mattinata della seconda tappa in Libano del Suo primo Viaggio Apostolico, Papa Leone XIV, ha visitato l’ospedale De La Croix (Jal ed Dib) , gestito dalle suore francescane della Croce, e ha incontrato gli operatori e gli assistiti.
Il Pontefice ha quindi rivolto un saluto ai presenti, nel quale ha detto: “ Questo ospedale è stato fondato dal Beato Padre Jacques, Padre Yaakub, instancabile apostolo della carità di cui ricordiamo la santità della vita, che si è manifestata in particolare nell’amore per i più poveri e sofferenti. Le Suore Francescane della Croce, da lui fondate, continuano la sua opera e svolgono un prezioso servizio: grazie, care Sorelle, per la missione che portate avanti con gioia e dedizione!. Vorrei anche salutare con tanta gratitudine il personale dell’Ospedale. La vostra presenza competente e premurosa e la cura degli ammalati sono un segno tangibile dell’amore compassionevole di Cristo. Siete come il buon samaritano, che si ferma presso chi è ferito e se ne prende cura per sollevarlo e guarirlo. A volte può sopraggiungere la stanchezza o lo scoraggiamento, soprattutto per le condizioni non sempre favorevoli in cui vi trovate a lavorare; vi incoraggio a non perdere la gioia di questa missione e, nonostante qualche difficoltà, vi invito ad avere sempre davanti a voi il bene che avete possibilità di realizzare. È una grande opera agli occhi di Dio!. Quanto si vive in questo luogo è un monito per tutti, per la vostra terra ma anche per l’intera umanità: non possiamo dimenticarci dei più fragili, non possiamo immaginare una società che corre a tutta velocità aggrappandosi ai falsi miti del benessere, ignorando tante situazioni di povertà e di fragilità. In particolare noi cristiani, che siamo la Chiesa del Signore Gesù, siamo chiamati a prenderci cura dei poveri: il Vangelo stesso ce lo chiede e , non dimentichiamolo , il grido dei poveri che attraversa anche la Scrittura ci interpella: “Sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo”. A voi, cari fratelli e sorelle segnati dalla malattia, vorrei solo ricordare che siete nel cuore di Dio nostro Padre. Egli vi porta sul palmo delle sue mani, vi accompagna con amore, vi offre la sua tenerezza attraverso le mani e i sorrisi di chi si prende cura della vostra vita. A ciascuno di voi oggi il Signore ripete: ti amo, ti voglio bene, sei mio figlio! Non dimenticatelo mai!”.
A seguire, il Santo Padre, si è recato al porto di Beirut, dove si è raccolto in preghiera silenziosa davanti al monumento che commemora le vittime dell’esplosione dell’agosto 2020, che ha ucciso oltre 240 persone e ne ha ferite 7 mila, per poi deporre una ghirlanda e salutare i sopravvissuti e i familiari delle vittime che chiedono giustizia e verità.
Poi, Papa Leone XIV si è spostato in auto presso il Beirut Waterfront, dove ha presieduto la Santa Messa, nella quale , dopo la proclamazione del Vangelo, ha pronunciato la Sua omelia, dicendo: “Da questa spianata che si affaccia sul mare, anch’io posso contemplare la bellezza del Libano cantata dalla Scrittura. Il Signore vi ha piantato i suoi alti cedri, nutrendoli e saziandoli , ha reso profumate le vesti della sposa del Cantico dei Cantici col profumo di questa terra e a Gerusalemme, città santa rivestita di luce per la venuta del Messia, Egli annuncia: “La gloria del Libano verrà a te, con cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi”. Allo stesso tempo, però, tale bellezza è oscurata da povertà e sofferenze, da ferite che hanno segnato la vostra storia – sono appena stato a pregare nel luogo dell’esplosione, al porto; è oscurata da tanti problemi che vi affliggono, da un contesto politico fragile e spesso instabile, dalla drammatica crisi economica che vi opprime, dalla violenza e dai conflitti che hanno risvegliato antiche paure. In uno scenario di questo tipo, la gratitudine cede facilmente il posto al disincanto, il canto della lode non trova spazio nella desolazione del cuore, la sorgente della speranza viene disseccata dall’incertezza e dal disorientamento. La Parola del Signore, però, ci invita a trovare le piccole luci splendenti nel cuore della notte, sia per aprirci alla gratitudine che per spronarci all’impegno comune a favore di questa terra. Come abbiamo ascoltato, il motivo del ringraziamento di Gesù al Padre non è per opere straordinarie, ma perché rivela la sua grandezza proprio ai piccoli e agli umili, a coloro che non attirano l’attenzione, che sembrano contare poco o niente, che non hanno voce. Il Regno che Gesù viene a inaugurare, infatti, ha proprio questa caratteristica di cui ci ha parlato il profeta Isaia: è un germoglio, un piccolo virgulto che spunta su un tronco, una piccola speranza che promette la rinascita quando tutto sembra morire. Così viene annunciato il Messia e, venendo nella piccolezza di un germoglio, può essere riconosciuto solo dai piccoli, da coloro che senza grandi pretese sanno riconoscere i dettagli nascosti, le tracce di Dio in una storia apparentemente perduta. È un’indicazione anche per noi, perché possiamo avere occhi per riconoscere la piccolezza del germoglio che spunta e cresce pur dentro avvenimenti dolorosi. Piccole luci che risplendono nella notte, piccoli virgulti che spuntano, piccoli semi piantati nell’arido giardino di questo tempo storico possiamo vederli anche noi, anche qui, anche oggi. Penso alla vostra fede semplice e genuina, radicata nelle vostre famiglie e alimentata dalle scuole cristiane; penso al lavoro costante delle parrocchie, delle congregazioni e dei movimenti per andare incontro alle domande e alle necessità della gente; penso ai tanti sacerdoti e religiosi che si spendono nella loro missione in mezzo a molteplici difficoltà; penso ai laici come voi impegnati nel campo della carità e nella promozione del Vangelo nella società. Per queste luci che faticosamente cercano di illuminare il buio della notte, per questi germogli piccoli e invisibili che aprono però la speranza nel futuro, oggi dobbiamo dire come Gesù: “ti rendiamo lode, o Padre!”. Ti ringraziamo perché sei con noi e non ci lasci vacillare. Allo stesso tempo, questa gratitudine non deve rimanere una consolazione intimistica e illusoria. Deve portarci alla trasformazione del cuore, alla conversione della vita, a considerare che è proprio nella luce della fede, nella promessa della speranza e nella gioia della carità che Dio ha pensato la nostra vita. E, perciò, tutti noi siamo chiamati a coltivare questi virgulti, a non scoraggiarci, a non cedere alla logica della violenza e all’idolatria del denaro, a non rassegnarci dinanzi al male che dilaga. Ciascuno deve fare la sua parte e tutti dobbiamo unire gli sforzi perché questa terra possa ritornare al suo splendore. E abbiamo un solo modo per farlo: disarmiamo i nostri cuori, facciamo cadere le corazze delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all’incontro reciproco, risvegliamo nel nostro intimo il sogno di un Libano unito, dove trionfino la pace e la giustizia, dove tutti possano riconoscersi fratelli e sorelle e dove, finalmente, possa realizzarsi quanto ci descrive il profeta Isaia: «Il lupo dimorerà con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme». Questo è il sogno a voi affidato, è ciò che il Dio della pace mette nelle vostre mani. Libano, rialzati! Sii casa di giustizia e di fraternità! Sii profezia di pace per tutto il Levante!”.
Al termine della celebrazione, il Pontefice ha lanciato un appello ai Cristiani del Levante: “Il Medio Oriente ha bisogno di atteggiamenti nuovi, per rifiutare la logica della vendetta e della violenza, per superare le divisioni politiche, sociali e religiose, per aprire capitoli nuovi all’insegna della riconciliazione e della pace. La via dell’ostilità reciproca e della distruzione nell’orrore della guerra è stata percorsa troppo a lungo, con i risultati deplorevoli che sono sotto gli occhi di tutti. Occorre cambiare strada, occorre educare il cuore alla pace. Da questa piazza, prego per il Medio Oriente e per tutti i popoli che soffrono a causa della guerra. Offro anche preghiere auspicando una pacifica soluzione delle attuali controversie politiche in Guinea Bissau. E non dimentico le vittime dell’incendio a Hong Kong e le loro famiglie. Prego in modo speciale per l’amato Libano! Chiedo nuovamente alla comunità internazionale di non risparmiare alcuno sforzo nel promuovere processi di dialogo e riconciliazione. Rivolgo un accorato appello a quanti sono investiti di autorità politica e sociale, qui e in tutti i Paesi segnati da guerre e violenze: ascoltate il grido dei vostri popoli che invocano pace! Mettiamoci tutti al servizio della vita, del bene comune, dello sviluppo integrale delle persone. E a voi, cristiani del Levante, cittadini a pieno titolo di queste terre, ripeto: coraggio! Tutta la Chiesa guarda a voi con affetto e ammirazione. La Vergine Maria, Nostra Signora di Harissa, vi protegga sempre!”.
Giunto al termine del Suo primo Viaggio Apostolico, il Santo Padre, nel corso della cerimonia di congedo presso l’Aeroporto Internazionale Rafiq Hariri di Beirut, ha tenuto un discorso, nel quale, ringraziando le alte cariche istituzionali e le autorità civili e religiose, ed estendendo il saluto anche alle regioni non visitate , quali: Tripoli e il nord, la Beqaa, Tiro, Sidone, i luoghi biblici, “tutte le zone e in particolare il sud, che vivono una situazione di conflitto e incertezza”, ha detto: “Partire è più difficile che arrivare. Siamo stati insieme, e in Libano stare insieme è contagioso: ho trovato qui un popolo che non ama l’isolamento, ma l’incontro. Così, se arrivare significava entrare con delicatezza nella vostra cultura, lasciare questa terra è portarvi nel cuore. Noi non ci lasciamo, dunque, ma essendoci incontrati andremo avanti insieme. E speriamo di coinvolgere in questo spirito di fraternità e di impegno per la pace tutto il Medio Oriente, anche chi oggi si considera nemico. Sono grato, dunque, dei giorni trascorsi con voi e mi rallegro aver potuto realizzare il desiderio del mio amato Predecessore, Papa Francesco, che tanto avrebbe voluto essere qui. Lui, in realtà, è con noi, cammina con noi insieme ad altri testimoni del Vangelo che ci attendono nell’abbraccio eterno di Dio: siamo eredi di ciò che hanno creduto, della fede, della speranza e dell’amore che li hanno animati. Ho visto di quanta venerazione il vostro popolo circonda la Beata Vergine Maria, tanto cara sia ai cristiani sia ai mussulmani. Ho pregato alla tomba di San Charbel, percependo le profonde radici spirituali di questo Paese: quanta linfa dalla vostra storia può sostenere il difficile cammino verso il futuro! Mi ha toccato il cuore la breve visita al porto di Beirut, dove l’esplosione ha devastato non soltanto un luogo, ma tante vite. Ho pregato per tutte le vittime e porto con me il dolore e la sete di verità e di giustizia di tante famiglie, di un intero Paese. Ho incontrato, in questi pochi giorni, molti volti e stretto tante mani, ricevendo da questo contatto fisico e interiore un’energia di speranza. Siete forti come i cedri, gli alberi delle vostre belle montagne, e pieni di frutti come gli ulivi che crescono in pianura, nel sud e vicino al mare. Saluto, a questo proposito, tutte le regioni del Libano che non è stato possibile visitare: Tripoli e il nord, la Beqa’ e il sud del Paese, Tiro, Sidone , luoghi biblici , tutte quelle aree, specialmente nel sud, che sperimentano una continua situazione di conflitto e di incertezza. A tutti il mio abbraccio e il mio augurio di pace. E anche un accorato appello: cessino gli attacchi e le ostilità. Nessuno creda più che la lotta armata porti qualche beneficio. Le armi uccidono, la trattativa, la mediazione e il dialogo edificano. Scegliamo tutti la pace come via, non soltanto come meta!. Ricordiamo quanto vi disse San Giovanni Paplo II: “Il Libano, più che un Paese è un messaggio”. Impariamo a lavorare insieme e a sperare insieme, perché sia realmente così. Dio benedica i Libanesi, tutti voi, il Medio Oriente e l’intera umanità! Grazie e arrivederci!”.
Poi, l’aereo con a bordo Papa Leone XIV è decollato dall’aeroporto internazionale di Beirut ed è atterrato all’aeroporto di Fiumicino, a Roma, nel tardo pomeriggio.
Nel corso della conferenza stampa a bordo dell’aereo, il Pontefice , rispondendo alle domande dei cronisti e delle croniste, ha sottolineato il ruolo diplomatico della Santa Sede , che lavora “dietro le quinte” alle trattative di pace , perché le parti lascino le armi e ha dichiarato che spera di recarsi in Algeria per visitare i luoghi di Sant’Agostino, “ma anche per poter continuare il discorso di dialogo, di costruzione di ponti fra il mondo cristiano e il mondo musulmano”.
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