Nato da un monologo scritto per la contromanifestazione “Erosive”, organizzata in concomitanza con il Festival della Bellezza ,svoltosi all’Arena di Verona nel settembre 2020, “Brutta. Storia di un corpo come tanti”, edito da Rizzoli,è un pamphlet attraversato da ironia, pubblicato nel settembre 2021, nel quale la scrittrice, giornalista e speaker radiofonica, Giulia Blasi, già autrice di saggi, cerca di rispondere all’interrogativo: “Chi ha detto che, per occupare uno spazio pubblico, per vivere appieno in società, una donna debba per forza essere bella?”, partendo dalla propria storia e dal rapporto con il proprio corpo nel tempo, nelle varie fasi della crescita. L’autrice , quindi, recuperando ricordi e aneddoti, eventi di infanzia, adolescenza ed età matura, ha raccontato in maniera schietta e ironica di come uniche armi di difesa dall’infelicità adolescenziale siano state la scrittura e il femminismo, arrivando alla conclusione che il punto non è la liberazione individuale dagli stereotipi di bellezza dettati dalla società,ma la liberazione collettiva dall’obbligo , in quanto donne, di essere belle per essere considerate, obbligo non imposto invece agli uomini.
di Federica Marengo domenica 23 gennaio 2022
“Il libro nasce dopo il monologo che avevo letto due anni fa a una manifestazione , in occasione del Festival dell’Eros e della Bellezza, all’Arena di Verona, per riflettere sul perché alle donne non fosse concesso essere brutte e men che meno rivendicare la propria bruttezza. Da qui, l’idea che si potesse esplorare il tema, partendo dalla mia esperienza personale e dal rapporto con il mio corpo”. Così, la scrittrice , giornalista e speaker radiofonica, Giulia Blasi, in un’intervista rilasciata in occasione dell’uscita del libro “Brutta. Storia di un corpo come tanti”, edito da Rizzoli, nel settembre scorso.
Già autrice di “Nudo d’uomo con calzino” e de “Il mondo prima che arrivassi tu”, per Einaudi-Stile Libero, “Siamo ancora tutti vivi” per Mondadori, “Se basta un fiore” per Piemme, “Manuale per ragazze rivoluzionarie” e “Rivoluzione Z” per Rizzoli, con una scrittura semplice, scorrevole e ironica , ha provato a rispondere nel suo pamphlet alla domanda : “Chi ha detto che per occupare uno spazio pubblico, per essere appieno in società, una donna debba per forza essere bella?”, raccontando ai lettori, mediante un dialogo diretto, gli eventi che, dall’infanzia all’età matura, hanno segnato la percezione del suo corpo e di come questa abbia inciso sulla sua esistenza.
Nel libro, si susseguono per ogni fase della vita aneddoti che evidenziano il rapporto controverso con il suo aspetto, a cominciare dalla nascita, quando il padre l’apostrofò in maniera scherzosa con l’aggettivo “brutta”, passando per l’adolescenza, funestata dalla necessità di indossare gli indispensabili occhiali da vista e, per l’innamoramento per il più bello della scuola e il giudizio non troppo lusinghiero di quest’ultimo sul suo aspetto, venuto a sapere della sua infatuazione, fino alla piena maturità e ai mutamenti del corpo causati dalla menopausa (un vero tabù per l’universo femminile) e dal suo adattarsi ad essa.
Un percorso, insomma ,attraverso le tappe della crescita,in cui la costante è il giudizio da parte degli uomini sul suo corpo, così come su quello delle sue amiche, come unico metro di valutazione del valore di una donna, cosa che non accade agli uomini, la cui scarsa avvenenza viene ,quasi sempre, commutata in “fascino”.
Inoltre, a detta della scrittrice, per alcuni uomini, essere “brutta” è sinonimo di essere “femminista”, perché: “se una donna è bella non ha nulla da contestare ai maschi o da rivendicare”, quindi, il femminismo non sarebbe altro che una sorta di rancore della donna non particolarmente avvenente nei confronti dell’uomo.
Una strumentalizzazione del corpo femminile, dunque, che, introiettata sin da bambine, conduce le donne a comportarsi con automatismi come guardarsi allo specchio per controllare la compiuta (o meno) adesione a uno stereotipo estetico dettato dalla società e dalla Moda, che non contempla la comparsa di rughe o rotoli di adipe, rendendoli dei tabù, tali da farle sentire sempre inadeguate, non all’altezza.
In questo quadro, dunque, non importa,ed è comunque relegato in secondo piano, quanto si sia intelligenti o se si abbia qualcosa da dire , ma come si appare: se bella, non si corre certo il rischio di essere tenuta in disparte. Quindi, questa la tesi della Blasi, “essere bella” diventa una necessità sociale, non a caso, infatti, la parola “brutta” viene spesso utilizzata come sinonimo di “nullità” per ferire e umiliare, specialmente se metro di misura per tale giudizio è lo sguardo dell’uomo, a cui le donne hanno concesso troppa importanza.
Ecco, allora , che l’obiettivo del pamphlet, non è la liberazione individuale , ma la liberazione collettiva dall’obbligo di essere belle per poter essere considerate e , come afferma la stessa autrice: “Occupare spazio da brutte, sentendosi brutte, sapendosi brutte senza attribuire importanza a ciò”, perché l’intento non è quello di una rassegnata e “retorica” accettazione di sé, ma di rivendicare il proprio diritto a non essere bella.
“La liberazione”, ha detto infatti la Blasi, “arriverà solo quando e se noi donne saremo in grado di uscire dalla logica del capitalismo che attacca cartellini del prezzo a tutto e a tutti e che, anche ai corpi, attribuisce un valore spendibile a livello sociale. Ne usciremo quando l’attenzione , la seduzione e la bellezza saranno solo un discorso privato , fra persone, e non un discorso pubblico e quando le donne ( e,in generale, le minoranze , i soggetti deboli, tutti quelli che preferiamo non vedere , a meno che non ci diano soddisfazione estetica), potranno vivere nel mondo senza temere costantemente per la propria incolumità , con la stessa pienezza di ogni altro essere umano. Bisogna rivendicare il diritto a esistere a prescindere dall’aspetto : questo , influenza la possibilità di occupare spazio pubblico. Non ci sono suggerimenti nel libro, perché il tema è individuale. Una strada è andare in terapia, ma il punto è ciò che facciamo collettivamente , come gestiamo la pressione imposta. Siamo in grado di isolarla e di non farla influire su di noi e sul giudizio che diamo su noi stesse?. E’ un libro in cui “spacchetto” l’idea collettiva di corpo e lo faccio attraverso il mio corpo. Nessun suggerimento dunque: ognuna faccia un po’ come si sente, ma ricordiamoci che non abbiamo il dovere di amarci”.
Insomma, ci ricorda la scrittrice, attraverso il libero e le sue interviste: “La storia del corpo di una donna è sempre qualcosa di più che la storia di un corpo : è la storia di tutto quello che su quel corpo si gioca, passa e lo attraversa. E’ un insieme di storie diverse , molto diverse , che convergono su un unico punto focale: se sei una donna, non ti puoi mai dimenticare di avercelo, un corpo. Le donne non riescono ancora oggi a disfarsi delle catene del carico fisico ed emotivo del corpo, perché concettualmente legato da sempre all’essenza stessa della donna, che deve incarnare determinate qualità estetiche e, di conseguenza, comportamentali e morali. È un altro carico di lavoro che ci tocca fare, altre energie mentali da impiegare, altra fatica”.
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