Cominciamo oggi un viaggio, che durerà tutta l’estate, attraverso le vie principali di Napoli.
Primo itinerario del nostro tour estivo : il Centro storico, con i suoi Decumani e Cardini. Visiteremo insieme le chiese e i palazzi nobiliari che abbelliscono con la loro solenne monumentalità strade ricche di suoni e di colori, dove passato e presente si fondono, facendo rivivere, oggi, miti, storie, personaggi, tradizioni, saperi e mestieri di ieri.
Partiamo, quindi , dal “Decumano inferiore”, ovvero da “Spaccanapoli”, che inizia da Piazza del Gesù , dove, sul lato settentrionale, svetta la chiesa barocca del Gesù Nuovo o “Della Trinità Maggiore”, con al centro l’obelisco dell’Immacolata.
di Federica Marengo domenica 23 giugno 2019
L’estate, si sa: è la stagione delle vacanze o delle ore rubate al lavoro da trascorrere al mare. Le spiagge della costiera o delle isole del Golfo partenopeo, con gli ombrelloni, le sdraio, i costumi da bagno di ogni foggia, decorati con fantasie delle più bizzarre e il mare cristallino come un flut , sono le mete predilette, poiché ambite e sospirate durante tutto l’anno, figurarsi poi, quando la canicola avvolge la metropoli con la sua cappa di afosità opprimente e il barometro segna 40° all’ombra.
Tuttavia, in questo turbinio di camice sudate e ventilatori azionati no stop, h24, c’è chi, come me, sceglie di inoltrarsi nel Centro storico di Napoli, percorrendo a piedi, strade ricoperte di asfalto (ora più che mai) rovente, ma abbellite da edifici, la cui maestosità è talmente solenne, da far dimenticare qualsiasi arsura.
Quindi, se deciderete di venire con me, vi avverto: ci sarà da camminare e l’unico mare in cui ci immergeremo sarà quello della Storia. Ora, bando alle chiacchiere e cominciamo il nostro itinerario.
Eccoci, siamo all’inizio del Decumano inferiore e , per l’esattezza a Spaccanapoli. Vedo nei vostri occhi un velo di perplessità, deduco che sia stata suscitata in voi dalla parola: “decumano”. Avete ragione, bisogna chiarire.
Napoli, la città che voi tutti conoscete per i suoi simboli: la pizza, il Vesuvio e il mandolino, come tutte le metropoli ha avuto dei fondatori. No, so che cosa state pensando. Non l’ha fondata né Pulcinella né Totò, ma un popolo antico, fondatore della civiltà occidentale: i Greci.
Era la fine del VI secolo a.C. e la città di De Filippo, Troisi e Pino Daniele, si chiamava “Neapolis”, (dal Greco: “Città nuova”), perché riedificata nel terzo quarto dell’VIII secolo a.C, dopo una prima fondazione ad opera della popolazione ellenica dei Cumani.
“Neapolis”,era tra le colonie più importanti della Magna Graecia, e, come tale, fu dotata di un impianto urbanistico su modello greco. Suddiviso, dunque, in tre strade parallele l’una all’altra (larghe sei metri), chiamate “Plateiai”, che attraversavano il centro urbano dividendolo in quattro parti, tagliate a loro volta perpendicolarmente da Nord a Sud, da numerose strade più piccole (larghe 3 metri) dette: “Stenopoi”, l’impianto urbanistico della città era scandito da isolati quadrangolari regolari.
Più tardi, nel 326 a.C., la “Città Nuova” fu conquistata dai Romani , che ne conservarono lo schema stradale, mutandone sono la denominazione in “Decumani”(ex Plateiai), superiore, maggiore e inferiore” e “Cardini” (ex Stenopoi).
Ora, come vi ho detto in precedenza, ci troviamo al principio del Decumano Inferiore, ovvero : “Spaccanapoli”,chiamato così perché divide nettamente tra Nord e Sud, la città. Arricchito fra il Medioevo e l’Ottocento di chiese e palazzi nobiliari, il Decumano si estende lungo il suo asse fino a largo Corpo Napoli, passando per via Benedetto Croce, piazza San Domenico Maggiore e piazzetta Nilo.
Davanti a noi, Piazza del Gesù, dove si affacciano, sul lato settentrionale, l’antico complesso conventuale gesuitico, oggi sede del Liceo Classico “Genovesi” , la Casa Professa dei Padri Gesuiti e la chiesa del Gesù Nuovo o “Della Trinità Maggiore”, con al centro l’obelisco dell’Immacolata.
Chiesa barocca, costruita fra il 1584 e il 1601, la Chiesa del Gesù Nuovo, si erge sulle strutture quattrocentesche, di età aragonese, del Palazzo dei Sanseverino, Principi di Salerno, di cui ha conservato la facciata realizzata nel 1470 da Novello da San Lucano, come ricorda la targa apposta sul portone d’ingresso. Passato dagli eredi Sanseverino, agli Spagnoli di don Pedro di Toledo, di Filippo II e di don Pedro Giròn, il palazzo nobiliare nel 1584 fu venduto ai Gesuiti, che incaricarono della ristrutturazione i confratelli Giuseppe Valeriano e Pietro Provedi.
I lavori, finanziati da Isabella Feltria Della Rovere , principessa di Bisignano (moglie di Niccolò Bernardino Sanseverino, ultimo esponente del ramo dei Sanseverino principi di Bisignano), terminarono nel 1601 e la chiesa, chiamata “Del Gesù Nuovo”, per distinguerla dall’altra, già esistente, “Del Gesù Vecchio”, fu consacrata il 7 ottobre con una solenne cerimonia nella quale l’edificio fu intitolato alla Madonna Immacolata, patrona del casato del viceré don Pedro Giròn, come riconoscimento per la sua mediazione nella vendita alla confraternita religiosa dell’antico palazzo.
Soggetta, per via di un terremoto, al crollo della cupola nel 1688, (quest’ultima ricostruita fra il 1693 e il 1695 da Arcangelo Guglielmelli, e rinforzata con contro pilastri e sottarchi da Ferdinando Fuga nel 1717) , la chiesa, nel 1767, passò ai Francescani riformati dei conventi di Santa Croce e della Trinità di Palazzo, dopo che i Gesuiti furono banditi dal Regno di Napoli e, per questo, ridenominata: “Della Trinità Maggiore”.
La Compagnia di Gesù, tornata in possesso dell’edificio per due volte nel 1804 e nel 1821, grazie ai Borbone, dopo l’espulsione subita durante il periodo napoleonico, vi presiedette ininterrottamente.
Così, la chiesa , scampata miracolosamente alla distruzione nel corso della Seconda Guerra Mondiale , quando il soffitto della navata centrale fu raggiunto da un a bomba sganciata durante un raid aereo, nel 1975 è stata nuovamente restaurata dai padri della Confraternita di Sant’Ignazio di Loyola.
La facciata della chiesa è, in realtà, quella del preesistente palazzo dei Principi di Sanseverino, ed è realizzata con bugne, ovvero, pietre di piperno a forma di piramidi, aggettanti verso l’esterno, proprie del Rinascimento veneto. Esse presentano dei segni incisi dai tagliapietra napoletani, i quali sarebbero stati adoperati per individuare le diverse squadre di lavoro in cui gli scalpellini erano suddivisi.
Il portale,anch’esso del palazzo nobiliare e, risalente agli inizi del XVI secolo, fu tuttavia rimaneggiato per volere dei Gesuiti, che fecero apportare modifiche ai bassorilievi, alle mensole, su cui poggia il fregio superiore, e al cornicione. La cornice del portale, infatti, fu prolungata per inserire ai lati, due colonne corinzie di granito rosso, un frontone spezzato, sormontato per ogni lato da due cherubini in marmo e, in alto, lo stemma della Compagnia di Gesù , sorretto da due cherubini più grandi, realizzato da Pietro e Bartolomeo Ghetti.
Al centro del frontone , più giù del basamento dello stemma, fu scolpita una decorazione in altorilievo , raffigurante una testa di cherubino con ai lati due grandi ali, sotto cui si trovano motivi a forma di mucchio di frutta.
Sui due stipiti del portone, invece, accanto ai capitelli delle due colonne, furono apposti gli stemmi dei Sanseverino e dei Della Rovere , riprodotti, in dimensioni maggiori , anche sulla sommità dell’estremo margine destro e sinistro della facciata, (nelle parti prive di bugne), mentre sull’architrave fu inserito un altro fregio con cinque testine, da cui si dipartono curve e volute in forma di nastro, che sorreggono quattro festoni di frutta con emblemi principeschi dei Sanseverino e dei Della Rovere, alternati da due corone.
Spicca, poi, sulla sommità della facciata, sopra il finestrone centrale , un quadro con la scritta : “Non est in alio aliquo salus” (“Non c’è salvezza in nessun altro all’infuori di Cristo”).
Tornando alle bugne che rivestono la facciata, esse hanno dato luogo a una curiosa leggenda secondo cui, in epoca rinascimentale, quando il principe, Roberto Sanseverino, fece edificare il palazzo, esistevano in città dei maestri della pietra capaci di caricarla di energia positiva, apponendovi dei simboli, legati alle scienze esoteriche e alle arti magiche e alchemiche, in grado di convogliare tutte le energie benevole dall’esterno all’interno dell’edificio. Ma, per imperizia o per volontà dei costruttori, le pietre segnate non furono collocate correttamente , determinando l’effetto opposto: tutta l’energia positiva venne convogliata dall’interno all’esterno, attirando sul palazzo una serie di iatture: dalla confisca dei beni dei Sanseverino, alle numerose cacciate dei Gesuiti, passando per incendi e ripetuti crolli della cupola.
Ma torniamo a noi. Entrando, ci troviamo di fronte a un impianto a croce greca, con braccio longitudinale lievemente allungato, ricco di decorazioni marmoree, eseguite nel 1630 da Cosimo Fanzago.
Al centro, poi, una cupola, in corrispondenza del transetto e, ai lati, dieci cappelle, cinque per lato, due delle quali poste accanto all’abside, lungo la parete del presbiterio.
Sulla controfacciata, in corrispondenza della navata centrale, sopra il portale principale, scorgiamo un grande affresco rappresentante l’episodio biblico della Cacciata di Eliodoro dal Tempio, realizzato da Francesco Solimena nel 1725.
Sempre sulla controfacciata, questa volta a livello delle navate laterali e sopra i due portali minori, troviamo due affreschi più piccoli della scuola del Solimena, risalenti al 1726, che raffigurano San Luigi Gonzaga e San Stanislao Kostka, realizzati per celebrare la canonizzazione di due giovani gesuiti.
Le volte a botte sono intervallate da cornici dorate, dotate di rosoni, che delimitano e mettono in risalto le diverse serie di affreschi. In particolare, la volta della navata centrale e quella del transetto furono affrescate fra il 1636 e il 1638 da Belisario Corenzio e ridipinte, nel 1688, da Paolo De Matteis, per via dei danni provocati dal terremoto.
Il ciclo di affreschi della navata centrale è dedicato a scene bibliche e miracoli, con i due affreschi più grandi di Paolo De Matteis, rappresentanti Il trionfo dell’Immacolata e di San Michele sui demoni e La circoncisione e l’imposizione del nome di Gesù. Negli otto riquadri laterali, poi, scorgiamo, dalla controfacciata verso la cupola: un Episodio della vita di San Giuliano da Cuneca, San Paolo libera un’ossessa, L’Agnello dell’Apocalisse sul libro dei Sette Sigilli e Davide abbatte Golia.
Sul lato sinistro, invece, vediamo: Sant’Ignazio di Antiochia dato in pasto ai leoni, San Pietro e San Giovanni risanano il paralitico, Gesù tra i martiri e Giosuè ferma il sole e conduce alla vittoria il popolo d’Israele.
La cupola, ricostruita nel 1786 e rafforzata nel 1975 da una struttura in calcestruzzo armato, è costituita da una calotta sferica, ripartita in finestre lunettate, decorate con stucchi e motivi che riprendono il soffitto a cassettoni dorati, e da pennacchi affrescati con le immagini dei quattro evangelisti, unico ciclo superstite di quelli realizzati da Giovanni Lanfranco nella prima metà del Seicento.
Portandoci presso l’abside, scorgiamo un gruppo di affreschi dedicato alla Vergine Maria, realizzato da Massimo Stanzione fra il 1639 e il 1640, in occasione della celebrazione dei cento anni dalla fondazione della Compagnia. Presenti, sulle due semilunette della parete di fondo, in cui si racconta l’inizio della vita di Maria, a sinistra: Anna e Gioacchino cacciati dal Tempio e lo Sposalizio e, a destra: Gioacchino riceve in sogno l’annuncio della nascita di Maria.
Sulla volta, divisa in otto riquadri, vediamo : la Natività di Maria, la Presentazione di Maria al Tempio, lo Sposalizio della Vergine, l’Annunciazione, la Visitazione, il Sogno di Giuseppe, la Dormitio Virginis e le Esequie della Vergine e, infine, al centro della volta, l’Assunzione e l’Incoronazione della Vergine.
La parete di fondo , realizzata su progetto di Cosimo Fanzago tra il XVII e XVIII secolo, è rivestita da marmi policromi con l’innesto di sei colonne corinzie di alabastro, al cui centro si apre una nicchia nella quale è stata riposta la statua della Madonna Immacolata, scolpita da Antonio Busciolano nel 1859. La scultura di marmo bianco poggia su un globo blu di lapislazzuli, attraversato da una fascia dorata e circondato da un gruppo marmoreo di cherubini.
Globo e cherubini, realizzati fra il 1742 e il 1743 da Matteo Bottiglieri e Francesco Pagano,su progetto di Domenico Antonio Vaccaro, poggiano su un piedistallo in marmo grigio , decorato con foglie stilizzate e due grandi volute laterali in marmo bianco. Ai lati del piedistallo, due angeli grandi e due cherubini. L’assieme, poi, poggia su un basamento in marmi policromi che sovrasta l’altare.
Ai lati della statua dell’Immacolata, troviamo due altorilievi marmorei , riconducibili alla scuola di Vaccaro, che raffigurano Sant’Ignazio di Loyola e San Francesco Saverio, sotto i quali sono presenti due statue di Busciolano, rappresentanti San Pietro e San Paolo.
Sulle pareti laterali dell’abside, vediamo due nicchie che racchiudono un coretto e un portale sottostante decorati, realizzati fra il 1759 e il 1762, su progetto di Giuseppe Astarita. I due portali sono sormontati entrambi da due angeli in marmo bianco, (opera di Francesco Pagano e Matteo Bottiglieri), che sorreggono lo stemma mariano, sormontato da una conchiglia e circondato da volute.
Il portale è affiancato da due colonne corinzie, che sostengono un basamento, sorretto a sua volta da un coretto, caratterizzato da un ‘elegante balaustra, al di sopra della quale vi è un parapetto a grata, circondato da volute.
L’altare maggiore, terminato nel 1857, ideato dal gesuita Ercole Giuseppe Grossi e ,progettato da Raffaele Postiglione, presenta decorazioni incentrate sul tema dell’Eucarestia, realizzate da vari artisti sotto la guida di Alfonso Vinzi, prefetto della chiesa.
Il tabernacolo, la cu porticina è stata realizzata da Francesco Liberti, comprende quattro colonnine allineate in lapislazzuli, su fondo verde di malachite. Ai lati, scorgiamo sei nicchie a forma di conchiglia, contenenti busti in bronzo nero, raffiguranti Santi , la cui vita e le cui opere sono legate al Mistero dell’Eucarestia. Da sinistra si vedono: Santa Giuliana di Liegi, San Stanislao Kostka e il Beato Lanfranco di Canterbury, a destra, invece: San Tommaso d’Aquino, San Francesco Borgia e San Gaetano Thiene. I due busti centrali , quelli di Beato Lanfranco di Canterbury e di San Tommaso d’Aquino , sono di Costantino La Barbera, gli altri , di Gennaro Calì.
Il livello sottostante è occupato da una fascia con motivi decorativi a foglie d’acanto, che formano spirali con simboli eucaristici. Il basamento dell’altare , che comprende al centro la mensa, è ripartito in tre bassorilievi in bronzo nero: a sinistra La cena di Emmaus di Gennaro Calì, al centro, nel paliotto, L’ultima cena (trasposizione del dipinto di Leonardo Da Vinci), ancora di Calì, e a destra La promessa dell’Eucarestia fatta da Gesù a Cafarnao di Salvatore Irdi.
Alle due estremità del basamento, due busti di Gennaro Calì, rappresentanti San Paolo e San Cirillo di Gerusalemme, in bronzo nero, come le due piccole statue ai lati del bassorilievo dell’Ultima Cena, che rappresentano Aronne e Melchiesedek, realizzate da Giuseppe Sorbilli.
Ai lati dell’altare maggiore , vediamo invece due gruppi scultorei porta candelabro in marmo, raffiguranti i simboli dei quattro evangelisti. In ciascun dei gruppi, scolpiti da Gennaro Calì , Giuseppe Sorbilli ed Enrico Gova, l’angelo, che sorregge il candelabro, poggia su un’aquila, che a sua volta poggia su un leone ed un bue.
All’interno delle ultime due arcate, che separano la navata centrale dalle due navate laterali, in corrispondenza della zona antistante l’abside, troviamo due organi a canne sopraelevati. L’organo a sinistra, non più funzionante, realizzato nel 1640 da Vincenzo Miraglia e quello di destra, in funzione, realizzato da Pompeo Franco. La presenza degli strumenti, tuttavia, è insolita per una chiesa dei gesuiti, in quanto le Costituzioni di Sant’Ignazio di Loyola, padre fondatore dell’ordine, non prevedevano il canto liturgico, perché considerato un’attività che sottraeva tempo alla cura pastorale. Nella chiesa del Gesù Nuovo, invece, l’inserimento degli organi fu appositamente richiesta dai due finanziatori e benefattori della chiesa, la principessa Isabella Feltria Della Rovere e il viceré duca di Ossuna, che affidarono il progetto a Giuseppe Valeriano.
La struttura degli organi, che fu completata nel 1617, fu rinforzata mediante due archi ribassati, coprendo così totalmente gli affreschi presenti all’interno delle arcate.
La navata destra, che ha lo stesso schema di quella a sinistra, è ripartita, in successione, in due cappelle laterali, la cappella del transetto e le due presbiteriali, una sulla parete di fondo ed una accanto all’abside della navata mediana.
La prima cappella è dedicata a San Carlo Borromeo e presenta sulle pareti decorazioni in marmo di Costantino Marasi e Vitale Finelli, mentre ai lati, è ornata da due sculture del Fanzago : un Sant’Aspreno e Sant’Aniello, scolpite nel 1620. Allo stesso anno, appartengono anche gli angeli nel timpano della parete principale. Quanto poi alla volta e alla pala d’altare, esse sono di Giovanni Bernardino Azzolino.
La seconda cappella (chiamata anche “della Visitazione”), è dedicata a San Giuseppe Moscati e presenta un altare con sopra un dipinto di Massimo Stanzione sulla Visitazione, circondato da decorazioni in marmi policromi del Fanzago. La cupola della campata antistante è invece ornata con un affresco di Luca Giordano, mentre gli Angeli nelle nicchie sono di Andrea Falconi.
Accanto all’altare del lato destro del transetto troviamo poi la cappella di San Francesco Saverio, decorato con dipinti di Luca Giordano, con decorazioni marmoree di Giuliano Finelli, Donato Vannelli e Antonio Solaro e con sculture di Cosimo Fanzago.
In alto a sinistra, al centro e a destra dell’altare vediamo le tele di Luca Giordano su San Francesco Saverio (San Francesco Saverio trova il Crocifisso in mare, Il santo caricato dalle croci ed Il santo che battezza gli Indiani) , risalenti al 1690-1692. Inoltre, sulla parete di destra, troviamo una Madonna del Rosario di Fabrizio Santa Fede e sulla volta, cicli di affreschi su San Francesco Saverio realizzati dal Corenzio e dal De Matteis. Ai lati dell’altare, invece, vediamo due sculture del Fanzago, rappresentanti Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, entrambe del 1621 e un dipinto di San Francesco in estasi dell’Azzolino.
Sulla parete sinistra della cappella, scorgiamo la tela di Ludovico Mazzanti, raffigurante La Vergine bambina con Sant’Anna, San Giuseppe, San Gioacchino, San Francesco De Geronimo e San Ciro, risalente al 1720. Sempre a sinistra dell’altare , vediamo una porta che dà accesso all’oratorio di San Giuseppe Moscati, dopo sono esposti gli antichi arredi delle stanze del santo,( sala da letto e studio), donate dalla sorella del medico santo alla congregazione dei Gesuiti di Napoli, alcuni manoscritti, sue fotografie storiche e dei Rosari.
Oltrepassato il transetto, si aprono le due cappelle presbiteriali della navata destra : la cappella di San Francesco Borgia, sulla parete di fondo, abbellita unicamente con opere del Settecento, (essendo stata distrutta dopo il terremoto del 1688), quali: gli affreschi di Angelo Mozzillo e la pala d’altare San Francesco Borgia in preghiera davanti al Santissimo Sacramento di Sebastiano Conca, contornati dai marmi disegnati da Giuseppe Astarita, e quella del Sacro Cuore, adibita ad abside destro della chiesa.
Quest’ultima, invece, presenta sulla volta e sulle pareti laterali affreschi di Belisario Corenzio con Storie degli angeli, risalenti al 1605 e marmi, con analoga datazione, realizzati dai fratelli Mario e Costantino Marasi.
Giunti al termine della nostra prima tappa, in giro per i cardi e i decumani del Centro storico di Napoli, ci accingiamo ad uscire dalla chiesa del Gesù Nuovo. Davanti a noi, l’obelisco dell’Immacolata o guglia dell’Immacolata. Di età barocca, è l’ultimo, in ordine cronologico, dei tre obelischi ( gli altri due sono quelli di San Gennaro e San Domenico) della città ad essere stato eretto.
Al centro dell’ “insula gesuitica”, comprendente la chiesa del Gesù Nuovo, il Palazzo delle Congregazioni e la Casa Professa dei Padri Gesuiti, edifici costruiti fra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, la guglia fu eretta intorno alla metà del Settecento per volere del gesuita, padre Francesco Pepe, su progetto di Giuseppe Genoino, ricorrendo a una colletta pubblica.
L’obelisco, che fu innalzato nel luogo dove sorgeva una statua equestre di Filippo V, realizzata da Lorenzo Vaccaro nel 1705, per celebrare la visita del re spagnolo, avvenuta qualche anno prima, e distrutta dagli Austriaci nel 1707 al loro ingresso in città, in seguito alla sconfitta degli Spagnoli, è alto 22 metri ed è ispirato alle molteplici macchine da festa presenti in quei secoli.
A Matteo Bottiglieri , si devono le statue che decorano la balaustra sopra il primo ordine del monumento (Sant’Ignazio, San Francesco Borgia, San Francesco Saverio e San Francesco in Regis) e due dei quattro altorilievi posti ancora al secondo ordine, raffiguranti La Purificazione e L’Incoronazione.
A Francesco Pagano, sono attribuiti invece: gli altri due mezzo-rilievi rappresentanti L’Annunciazione e La Natività, i due medaglioni raffiguranti San Luigi Gonzaga e San Stanislao Kostka e, sulla sommità del monumento, la statua di rame dell’Immacolata, in cima alla quale, ogni 8 dicembre,viene posta dai Vigili del Fuoco una corona di fiori, in segno di omaggio.
Spostandoci, poi, sul lato opposto, scorgiamo il complesso conventuale di Santa Chiara.
Ci incamminiamo, allora, per scoprire un altro tesoro d’Arte e la sua storia.
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