Venerdì 25 gennaio, nella seconda giornata della GMG, papa Francesco ha celebrato la liturgia penitenziale nel carcere minorile di Pacora, dove ha confessato quattro ragazzi e una ragazza, detenuta per omicidio. Nel pomeriggio, invece, ha celebrato con i giovani il rito della Via Crucis, presso il Campo Santa Maria la Antigua Cinta Costera.
di Federica Marengo sabato 26 gennaio 2019
Ha percorso un tratto della periferia di Las Garzas di Pacora a bordo della papa mobile, poi, Francesco è sceso per salutare gli abitanti del quartiere e raggiungere il carcere minorile de Cuplimiento, dove, intorno alle 10:00, ha celebrato, per la prima volta nella storia di una GMG, la liturgia penitenziale. Sorta nel 2011, per volere dell’allora Presidente del Panama, Ricardo Martinelli, dopo il tragico incendio che devastò il carcere minorile della capitale e nel quale persero la vita 5 adolescenti, la struttura detiene ragazzi dai 15 ai 18 anni e si propone come unico modello virtuoso nella città quanto a recupero e reinserimento dei giovani al termine della pena.
Sì, perché qui, i giovani detenuti, tutti provenenti da fasce sociali disagiate e con alle spalle storie familiari dolorose, possono seguire un programma di recupero scolastico e frequentare laboratori per imparare mestieri: falegnameria, tappezzeria, serigrafia.
Ed è proprio a cinque di questi ragazzi, tra cui una sedicenne condannata per omicidio, che Papa Bergoglio ha voluto impartire il Sacramento della Confessione, per testimoniare che a tutti può essere data una seconda possibilità.
Iniziata, dunque, la liturgia, con il brano di Luca “Si fa più festa in cielo per un peccatore pentito, che per 99 gusti che non hanno bisogno di conversione”, secondo quanto riportato dai Media vaticani, ha poi detto ai minori detenuti : “Tutti abbiamo un orizzonte. Aprite la finestra del cuore e guardatelo. Combattete la cultura delle etichette, che squalificano le persone, come pure il tarlo del “Non puoi farcela”. Voi potete farcela, perché Gesù vi può dare la forza. Cambiare è possibile. Non credete a chi vi sussurra continuamente “Non puoi farcela”, “Non puoi farcela”. Attenti, a questo tarlo che vi rode dentro. E’ la posizione di chi è intimamente convinto che chi è nato pubblicano deve morire pubblicano, ma questo non è vero. Il Vangelo ci dice tutto il contrario. Misurate la distanza tra lo sguardo della mormorazione e del pettegolezzo di chi non sopporta che il Signore vada a pranzo con i pubblicani e con i peccatori e quello della conversione. Il Signore non vede etichette, né una condanna, vede dei figli. Invece, sembra più facile dare titoli ed etichette che congelano e stigmatizzano, non solo il passato,ma anche il presente e il futuro delle persone. Questo, rende lo sguardo sterile e infecondo, mentre la scelta di Gesù è quella di stare vicino e di offrire nuove opportunità. Le etichette, infatti, piacciono solo ai divisori : “Di qua, i buoni, di là, i cattivi ; di qua, i giusti, di là, i peccatori”. Ma ognuno di noi è molto di più delle sue etichette. Questo atteggiamento inquina tutto, perché alza un muro invisibile che fa pensare che, emarginando, segregando e isolando, si risolveranno magicamente tutti i problemi. Gesù, invece, rompe la logica che separa, esclude, isola e divide falsamente tra buoni e cattivi. E non lo fa per decreto o solo con buone intenzioni, ma creando legami”. “Una società si ammala”, ha poi concluso Francesco, “quando non è capace di far festa per la trasformazione dei suoi figli; quando vive la mormorazione che schiaccia e condanna, senza sensibilità. Una società è feconda, invece, quando sa generare dinamiche capaci di includere e integrare , cioè sa dare nuove possibilità ai suoi figli, impegnandosi a creare futuro con comunità, educazione e lavoro”.
In seguito, ringraziato dalla Direttrice del carcere, Emma Alva Tejada, per aver testimoniato che “un futuro senza violenza e trasgressione è possibile”, ha fatto ritorno al Campo Santa Maria la Antigua Cinta Costera, dove, nel pomeriggio, ha presieduto alla Via Crucis con circa 400 mila giovani.
Quindici le stazioni, ciascuna rappresentata da giovani appartenenti a un paese o a un’isola del Sud America (Honduras, Cuba, Salvador, Guatemala, Costa Rica, Venezuela, Haiti, Brasile, Santo Domingo, Colombia, Portorico, Belize, Messico, Nicaragua e Panama) e dedicata a un tema specifico (gli abusi e le violenze sulle donne, il rifiuto verso gli immigrati, l’indifferenza verso i poveri, l’incuria nei riguardi del Creato, la persecuzione degli indigeni, la corruzione, il terrorismo, la cultura della “non vita” e dell’aborto) da ricondurre a un’unica trama narrativa: le inquietudini, i drammi e le speranze dei popoli latinoamericani.
“Il cammino di Gesù verso il Calvario”, ha detto Papa Bergoglio al termine del rito, “è un cammino di sofferenza e solitudine che continua ai nostri giorni. Lui cammina e soffre con i tanti volti che soffrono l’indifferenza soddisfatta e anestetizzante della nostra società, che consuma e si consuma, che si ignora e ignora il dolore dei fratelli. Molte sono le facce del dolore attuale: da quello occulto e indignato di quanti , invece della solidarietà, da parte di una società sazia di abbondanza, incontrano rifiuto, dolore e miseria e oltretutto sono additati e trattati come i portatori e i responsabili di tutti i mali sociali, al dolore dei popoli originari della casa comune, dei bimbi non nati e di quelli a cui si nega il diritto umano all’infanzia e al futuro”.
Quindi, per nulla intenzionato a rassegnarsi,ha domandato alla folla di giovani in ascolto : “Come reagiamo di fronte a Gesù che soffre?, siamo capaci di restare come Maria ai piedi della Croce?”, rispondendo, in conclusione: “La Vergine, donna del sì, è modello del discepolo. E, dunque, della Chiesa che vuole essere discepola credibile del Risorto. Da Lei impariamo a stare con Gesù e , dunque, con i suoi preferiti : gli ultimi, gli abbandonati, gli esclusi, i dimenticati. Come Maria impariamo a dire : “Sono qui, insieme a tuo Figlio, per ospitare il tuo Regno nel cuore””.
©Riproduzione riservata