Dopo l’approvazione in via definitiva del Dl Cresita al Senato e la sua conversione in legge, verrà applicato l’articolo 46 del decreto che stabilisce a partire dal 6 settembre 2019 l’abolizione dell’immunità penale e amministrativa per i gestori, affittuari e proprietari dell’ex Ilva di Taranto, rilevata dal dicembre 2018 dalla multinazionale franco-indiana, Arcelor Mittal. L’azienda, quindi, ha annunciato che senza la protezione legale chiuderà il sito. Preoccupazione tra i lavoratori, per 1400 dei quali ,da lunedì ,scatterà la cassa integrazione e per i sindacati. Il ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, ha convocato un Tavolo al Ministero per discutere con l’azienda e i sindacati il 9 luglio. Altre vertenze poi, apertesi nelle ultime due settimane, quella della Jabil di Marcianise, che, nonostante la trattativa al Mise di giovedì scorso ha confermato la procedura di licenziamento per 350 dei 700 dipendenti e quella de La perla di Bologna, azienda di intimo di lusso made in Italy, acquisita nel 2018 da un imprenditore tedesco, coinvolto in una bufera finanziaria internazionale, che ha annunciato l’esubero di 120 lavoratori.
di Federica Marengo sabato 29 giugno 2019

Foto: dissidenzaquotidiana.it
“Il Governo continua a dirci di non preoccuparci, che troverà una soluzione, ma finora non c’è niente, quindi il 6 settembre, senza una soluzione che garantisca la protezione legale, l’impianto chiuderà: abbiamo ancora due mesi, spero che il Governo trovi una soluzione, siamo aperti a discutere con il Governo”. Così, l’ad di Arceloor Mittal, Geert Van Poelvoord, ha annunciato l’intenzione di chiudere lo stabilimento tarantino, qualora non fosse ripristinata la legge, fissata dal Governo Renzi nel 2015, sull’immunità penale e amministrativa dei gestori , affittuari dell’ex Ilva, che la Maggioranza giallo-verde, ha abrogato, introducendo nel Dl Crescita, approvato in via definitiva dal Senato e dunque, divenuto legge, l’articolo 46 che stabilisce l’abolizione dello scudo.
“Siamo estremamente chiari, non ce l’abbiamo con il Governo, avrà probabilmente dei motivi, ma noi non possiamo operare in condizioni di assenza di protezione legale, non possiamo far operare il nostro management con la responsabilità penale a suo carico. Ora, abbiamo due mesi di tempo e spero che il Governo trovi una soluzione. Nel frattempo continuiamo a mettere pienamente in pratica i nostri piani, non possiamo rallentare, perché, se come spero, il Governo risolverà la situazione il 6 settembre non saremmo in grado di rispettare quanto deciso”, ha spiegato poi il responsabile della multinazionale franco-indiana, che da lunedì 1 luglio farà scattare la cassa integrazione , per 1400 lavoratori, come comunicato il 5 giugno scorso, a causa della crisi del settore acciaio in Europa.
“L’avvio della Cig per i lavoratori dell’Ilva tramite comunicato stampa è un atteggiamento irresponsabile che mina l’equilibrio sociale del territorio di Taranto. Un equilibrio messo già a dura prova in questi decenni e che crea allarmismo e tensione, frutto anche delle dichiarazioni dell’ad di ArcelorMittal Europa, Geert Van Poelvoorde, sulla presunta chiusura dello stabilimento”, hanno replicato dal Mise (Ministero dello Sviluppo Econoico), mentre, il Vicepremier e ministro, Matteo Salvini, ospite della trasmissione di Rai Uno, Porta a Porta, si è espresso sulla vertenza, dicendo: “Con 15 mila posti di lavoro non si scherza. Io avrei mantenuto le garanzie legali per i manager ,perché non si può cambiare un contratto in corso d’opera”.
Esternazioni, alle quali il Vicepremier e Ministro pentastellato, Luigi Di Maio, ha così risposto, a distanza di un giorno, ospite anche lui della trasmissione Rai di Bruno Vespa: “Se si dice che ha ragione Arcelor Mittal, si danneggia una trattativa. Le crisi aziendali si affrontano con trattative serrate. La crisi aziendale non si risolve con un tweet o con un’affermazione nel suo salotto e mi dispiace che ci sia stata un’interferenza su questa trattativa, perché le interferenze la danneggiano. Io ho proposto ad Arcelor-Mittal e continuerò a proporlo nei prossimi giorni, una serie di tutele alternative che consentiranno loro di andare avanti con lo stabilimento. Loro lo stabilimento lo stanno mettendo a norma e questo dimostra tutta la loro buona fede. Sono d’accordo che l’azienda non può pagare per gli errori del passato”, ha sottolineato il capo pentastellato, concludendo: “Ma nessuno può dire allo Stato che chiude, se non fa una legge. Al centro ci sono i cittadini di Taranto, non le multinazionali”.
Preoccupato, il sindaco di Taranto, Rinaldo Minucci, che , a margine di una conferenza di Eurofer, ha affermato: “Le dichiarazioni del gestore continuano a generare molta preoccupazione. Già al tavolo del CIS di lunedì scorso, a Taranto, avevo chiesto al Vicepremier Di Maio se stesse elaborando per precauzione un piano alternativo , ma la risposta non è stata convincente. In assenza di una soluzione al problema della protezione legale, l’ex stabilimento Ilva di Taranto chiuderà il 6 settembre. Spero che il Governo agisca in fretta per mettere in sicurezza la vicenda”.
Così , come, sul piede di guerra sono i sindacati, Fim, Fiom e Uil, che temono la multinazionale possa usare la cassa integrazione come elemento di pressione in funzione dell’immunità, mentre il Presidente Confapi (Confederazione italiana piccola e media industria privata), Maurizio Casasco, ha commentato: “Con preoccupazione Confapi sta seguendo gli sviluppi che riguardano le ex Ilva di Taranto, dove è in gioco la credibilità e la tenuta dell’intero sistema Paese, oltre al futuro non solo dei dipendenti diretti, ma anche di quelli dell’indotto che lavorano nella stragrande maggioranza per le nostre piccole e medie industrie. Facciamo appello al senso di responsabilità di tutte le parti in causa coinvolte , perché è inaccettabile portare avanti politiche industriali in un quadro di regole incerte e soggette a cambiamenti, che mette al rischio non solo la continuità industriale dell’ex Ilva, ma in generale gli investimenti nel nostro Paese. Il problema delle garanzie legali va risolto al più presto, occorre chiarezza, certezza delle regole e la definizione di un percorso condiviso che rimetta in moto lo stabilimento: un Paese moderno non può navigare a vista e rischiare che il 6 settembre chiuda una delle più importanti realtà industriali dell’Italia”.
“Ricatto inaccettabile”, quello dell’azienda franco-indiana per il Governatore della Puglia Michele Emiliano, che ha spiegato: “In Europa, non esiste nessuna legislazione che determini un’immunità penale con riferimento a qualunque tipo di impianto industriale, sebbene da rinnovare dal punto di vista tecnologico. Nella sostanza, in Europa, per avere la parità delle condizioni e, quindi, per non avere violazioni della concorrenza , è inimmaginabile che a qualcuno possa essere concesso addirittura di poter violare il diritto penale rimanendo immune da sanzioni. Questa è una condizione che, peraltro, dal mio punto di vista, sarebbe certamente saltata davanti alla Corte Costituzionale. Se le condizioni di partenza erano così illegittime dal punto di vista costituzionale, e anche, devo dire, dal punto di vista delle norme europee sulla concorrenza , beh, una grande azienda come Arcelor-Mittal, con i suoi esperti, avrebbe dovuto prevedere questa circostanza e non dare tanto peso a una situazione che io ho sempre contrastato; ho sempre detto che quei decreti che creano una sorta di extra territorialità della fabbrica erano illegittimi, che questa illegittimità era stata oggetto di un compromesso davanti alla Corte Costituzionale, ma che questo compromesso era connesso, condizionato al rispetto del termine del piano ambientale. Se qualcuno pensa di ricattare un Paese sovrano come l’Italia, che ha un interesse strategico su quella fabbrica, minacciando di andare via, probabilmente dopo aver preso l’elenco dei clienti, deve sapere che nel seguito avrà contro il Governo italiano, la Regione Puglia e tutte le persone per bene d’Europa. Non è questo il modo di comportarsi”.
Convocato, quindi, dal Mise un Tavolo tecnico martedì 9 luglio, alle 16:00, per effettuare un monitoraggio dell’accordo sindacale sottoscritto il 6 settembre 2018, al quale saranno presenti organizzazioni sindacali nazionali e territoriali di categoria e confederali, la direzione aziendale dell’Arcelor Mittal Investco Italy S.r.l e i Commissari Ardito, Danovi, Lupo.
Altra vertenza ,poi, apertasi nell’ultima settimana, quella della Jabil di Marcianise, multinazionale americana delle telecomunicazioni, specializzata in manifattura elettronica, i cui lavoratori sono in Cigs dal 2011 e la cui proroga di 12 mesi dopo l’ultimo rinnovo del novembre 2017, scadrà il prossimo 23 settembre. Gli amministratori delegati italiani, infatti, il 24 giugno scorso hanno comunicato, nel corso di un incontro presso la sede casertana di Confindustria, il licenziamento per 350 dei 700 dipendenti.
Nell’incontro, svoltosi il 27 giugno al Mise,al quale hanno partecipato oltre ai sindacati nazionali e territoriali dei metalmeccanici (Fim-Cisl) e il sindaco di Marcianise , Antonello Velardi, i vertici italiani dell’azienda hanno ribadito i licenziamenti.
“Come Fim Cisl Campania e di Caserta abbiamo confermato la nostra assoluta indisponibilità a trattare sui licenziamenti, vanno invece ricercate soluzioni occupazionali e di lavoro. Rivendichiamo un progetto industriale per Marcianise che metta al centro il lavoro, e in particolare il rispetto degli accordi. Come Fim Campania e di Caserta riteniamo sia un dovere delle Istituzioni locali e nazionali favorire in ogni modo un progetto industriale che rilanci l’occupazione, in particolare in un territorio come quello della Regione Campania ed in particolare di Caserta, che già ha subito negli ultimi anni un forte depauperamento in termini produttivi ed occupazionali con la chiusura di decine di aziende”, ha scritto in una nota il sindacato, mentre i lavoratori continuano il loro presidio presso la sede dell’azienda e il deputato di Articolo 1 –Leu, Guglielmo Epifani, ha firmato un’interrogazione parlamentare all’indirizzo del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.
Previsto per lunedì 1 luglio un nuovo Tavolo azienda-sindacati, stavolta, nella sede della Confindustria di Caserta.
Una crisi occupazionale, che non risparmia neppure il Nord. Ultimo, in ordine di tempo, il caso dell’azienda di intimo di lusso made in Italy La Perla, fondata negli anni Cinquanta dalla sarta bolognese, Ada Masotti, venduta nel 2007 al fondo americano Jh Partners, acquisita nel 2013 dall’ex patron di Fastweb Silvio Sacaglia e rilevata nel febbraio 2018 dall’imprenditore Lars Windhorst, proprietario della società di investimenti Tennor Holding, dopo un contenzioso legale con il proprietario italiano, mediante la controllata dalla società d’investimento olandese Sapinda Holdings (sempre di proprietà del finanziere tedesco), che pochi giorni fa ha comunicato l’intenzione di procedere a un esubero di 100-120 dipendenti del sito di Bologna
I vertici dell’azienda, nel comunicato ufficiale, hanno motivato gli esuberi con la necessità di attuare una razionalizzazione delle funzioni non collegate alla produzione diretta, (che viene realizzata in Portogallo), ovvero, gli impieghi del comparto creativo,( sarte e designer) , al fine di mettere in atto una“riorganizzazione necessaria per mantenere l’attività a Bologna”.
Ma i sindacati Ficltem Cgil, Uilca Uil e Femca Cisl, che hanno appreso dell’intenzione dell’azienda durante uno degli incontri periodici per aggiornamenti sull’andamento, hanno dichiarato la loro “contrarietà a tale intenzione che metterebbe a rischio la continuità produttiva del sito di Bologna impoverendo il bagaglio professionale che ha reso La Perla il marchio riconosciuto in tutto il mondo”, proclamando lo stato dia agitazione e un pacchetto di 16 ore di sciopero.
Un incontro dei sindacati con l’azienda è stato fissato per martedì 2 luglio alle 16:00, presso la sede della Regione Emilia Romagna, e sarà preceduto da uno sciopero e da un presidio.
Tuttavia, secondo un’inchiesta del Financial Times, ripresa da Business Insider Italia, dietro i licenziamenti dell’azienda bolognese, vi sarebbero le audaci attività finanziarie dell’imprenditore Windhorst, al centro di una vera e propria bufera finanziaria, con echi anche a Londra, che coinvolgerebbe un fondo di investimenti internazionale.
Per il quotidiano inglese, infatti, i bond La Perla sarebbero stati venduti dal veicolo finanziario olandese proprio per finanziare l’acquisizione dell’azienda di lingerie da parte del finanziere tedesco.
Da allora, infatti, secondo il giornale economico della City, per finanziare la ristrutturazione del gruppo, il manager tedesco avrebbe emesso un bond da 500 milioni, di cui 350 milioni sarebbero stati erogati , tramite la Tennor Holding ad H20 Assest Managment, sussidiaria con base a Londra, della banca di investimento francese Natixis , il cui chief executive, Bruno Crastes, era stato nominato membro del comitato consultivo proprio della Tennor Holding del Ceo Windhorts e dunque, in potenziale conflitto di interessi.
Lo scandalo finanziario sollevato dal Financial Times, quindi, ha determinato una fuga di capitali dal fondo( i sei fondi facenti capo ad H20 avrebbero registrato un out flow di capitali da 1,4 miliardi, mentre Natixis, avrebbe bruciato in Borsa, a Parigi, 2 miliardi di market value), con conseguente svalutazione dei bond, (anche quelli de La Perla), che potrebbe aver indotto Sapinda, la holding olandese, che ha acquisito l’azienda bolognese, a decidere per i licenziamenti.
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